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NBA, capolinea Clippers: è tempo di rifondare?

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Stefano Salerno

Doc Rivers a colloquio con Blake Griffin e Chris Paul: una scena che rischiamo di non rivedere più dalla prossima stagione (Getty Images)

I Clippers hanno vinto soltanto tre serie di playoff negli ultimi sei anni, sempre rimontati negli ultimi cinque dopo essere stati in vantaggio. Con Paul, Griffin e Redick che andranno a caccia di un nuovo contratto in estate, è arrivato il momento delle decisioni importanti

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Non è di certo una singola partita a fare la differenza, ma il successo per 104-91 in gara-7 degli Utah Jazz contro i Clippers è lo spartiacque di una stagione che assume connotati diametralmente opposti per due franchigie che stanno ormai da diversi mesi percorrendo strade antitetiche. La squadra di Salt Lake City ritrova così una semifinale di Conference a distanza di 7 anni da quella persa nettamente contro i Lakers (diventati poi campioni NBA nel 2010) e conferma quanto di buono fatto vedere in questa regular season. Infatti, nonostante Rudy Gobert  abbia realizzato soltanto un punto in 13 minuti di utilizzo limitato a causa dei problemi di falli, i ragazzi di coach Quin Snyder hanno continuato a eseguire cambiando interpreti, ma non copione; alla fine sono 12 i giocatori scesi in campo tra le fila dei Jazz e ben sei quelli in doppia cifra. “Questo è quello che abbiamo fatto in tutta la stagione; credere in tutti i ragazzi a disposizione, senza distinzione. Sapere che in caso di necessità chiunque sarà pronto”. In sostanza, la nemesi di quello che hanno rappresentato i Clippers negli ultimi sei anni, spesso e volentieri costretti a fare affidamento soltanto sulle capacità realizzative di Chris Paul o di Blake Griffin. “o” e non “e” perché anche la sfiga ci ha messo ovviamente lo zampino in queste stagioni, costringendo i losangelini a fare i conti con un roster limitato non solo per l’incapacità di trovare dei sostituti all’altezza durante l’off-season, ma anche perché la lista degli infortunati non è mai stata vuota a sufficienza nel momento del bisogno. Su quella maglia in fondo “c’è sempre scritto Clippers”, direbbe qualcuno.

Buttare tutto giù e ripartire da zero?

La sintesi migliore è quella fatta da J.J. Redick, lucido nel definire a fine gara la sensazione provata per l’ennesima eliminazione come “un disappunto ricorrente”. Eh già, perché al sesto anno terminato troppo presto diventa difficile continuare ad appellarsi all’assenza per infortunio di Blake Griffin nelle ultime quattro sfide della serie, piuttosto che alla mancata lucidità dovuta alla stanchezza accumulata in una stagione a dir poco travagliata. No, tutto questo non basta a giustificare la quinta eliminazione consecutiva ai playoff essendo stati in vantaggio nella serie che li ha poi visti sconfitti. Mai nessuno nella storia NBA aveva sciupato così tanto e il fatto che una squadra mai scesa sotto il 60% di vittorie in regular season, porti a casa soltanto tre serie playoff vinte (tutte curiosamente in gara-7) negli ultimi sei anni è sintomatico di come in realtà non si sia mai raggiunta la maturità/completezza/convinzione/chimica necessaria per riuscire a fare risultato da aprile inoltrato in poi. “Saremo costretti a leggere il nostro necrologio per i prossimi tre mesi”, ha commentato Doc Rivers dopo il ko di ieri, il primo a essere salito sul banco degli imputati nel processo che a Los Angeles non possono che definire fallimento.

Le cifre della free agency dei Clippers

Il mercato quest’anno potrebbe dunque riservare un bel po’ di sorprese, visto che Paul, Griffin e Redick sono liberi dal prossimo 30 giugno di poter andare a caccia di un nuovo contratto. Scontato infatti che sia CP3 che il numero 32 dei Clippers non eserciteranno l’opzione che i loro accordi prevedevano per la stagione 2017-18, rinunciando così rispettivamente a 24.3 e 21.3 milioni di dollari. Entrambi infatti possono ambire già da questa estate a cifre ben più cospicue: rifirmare con i Clippers vorrebbe dire per Chris Paul incassare all’incirca 205 milioni di dollari nei prossimi cinque, mentre accasandosi con altri le cifre scenderebbero a 152 milioni in quattro anni. Per Blake Griffin, il discorso è lo stesso: o 175 milioni in cinque anni restando a Los Angeles, o 130 in quattro da un’altra parte. Il terzo è J.J. Redick il quale, dopo aver incassato 7.3 milioni quest’anno, può ambire a un contratto da 18-20 milioni stagionali nonostante le enormi difficoltà manifestate nella serie contro i Jazz: 9 punti di media tirando con il 38% dal campo e una gara-7 chiusa con soli tre punti e l’evidente incapacità di costruire per se stesso un’opzione alternativa alla rigida marcatura pensata su di lui dai Jazz. Soprattutto per Paul però la questione assume anche dei connotati personali: alla soglia dei 32 anni infatti diventa primario per la point guard numero 3 garantirsi prima di tutto una possibilità concreta di poter competere ad alto livello sin da subito, prima ancora di dare la caccia alle decine di milioni che in molti non avrebbero difficoltà a garantirgli. Un progetto vincente potrebbe pesare molto più del numero di zeri sotto cui mettere la firma.

Quindi, cosa conviene fare?

La domanda più ricorrente dunque in casa Clippers è: cosa conviene fare? Resettare tutto e ripartire da zero, con il forte rischio di ritornare a essere lo zimbello della lega? Provare a mantenere questo nucleo e tentare di creare un nuovo gruppo attorno ai Big Three? Perdere a zero giocatori del calibro di Griffin e Paul sarebbe un dramma a livello salariale, visto che vorrebbe dire rinunciare a pedine da poter eventualmente scambiare e che possono fare gola a molti. Allo stesso tempo, garantire il massimo a entrambi ridurrebbe al minimo il margine di manovra "per tutto il resto", dovendo poi rinunciare non soltanto a Redick, ma a tutti i giocatori di quel livello, puntando per l’ennesima volta su bandiere non ancora del tutto ammainate (ciao Pierce!) e sperando di pescare qualcosa di buono tra le poche briciole che una lega così competitiva lascia a disposizione. L’unico per ora sicuro di essere a bordo anche il prossimo anno è DeAndre Jordan, che due anni fa era stato a lungo corteggiato proprio dai compagni che adesso potrebbero dirgli addio dopo averlo convinto a non prendere la strada direzione Dallas. “Ci sono un sacco di decisione che andranno prese. Abbiamo tanti free agent in squadra e molti di loro sono giocatori di assoluto livello, che possono ambire a giocare in qualsiasi squadra della lega. Negli ultimi anni questo è stato di gran lunga una delle migliori franchigie sia per il talento espresso che per la tenacia dimostrata; per questo sono orgoglioso e felice di essere circondato da tutti loro e spero di poterli ritrovare qui all’inizio della prossima stagione”. La loro presenza, così come quella di Doc Rivers in panchina, è tutt'altro che scontata.