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NBA, Warriors: le parole di Curry, Durant e Green in attesa di gara-1

NBA

Mauro Bevacqua

Le motivazioni dopo la sconfitta in gara-7 dello scorso anno. La voglia di rivincità. La pressione di un anello da vincere a tutti i costi. Le parole di Curry, Green e Durant: "Voglio solo essere il miglior me stesso possibile", dice il n°35 degli Warriors

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OAKLAND — Rieccoli qui, di nuovo tutti assieme, di nuovo su fronti opposti della barricata. La trilogia, come tutti la chiamano, la fa da padrone anche nella prima conferenza stampa degli Warriors, alla vigilia di gara-1: “Certo che c’è la motivazione che ci arriva dalla sconfitta dello scorso anno — dice Steph Curry — ma in realtà le lezioni da cui possiamo trarre profitto sono sia quelle del 2015 quando abbiamo vinto che quelle del 2016 quando abbiamo perso. Non voglio più sentirmi come mi sono sentito l’anno scorso, farò tutto quello che è in mio potere per evitarlo ma spero che l’aver provato entrambe le esperienze ci possa mettere nelle migliori condizioni per vincere di nuovo e arrivare al nostro obiettivo: il titolo NBA”. Un po’ più in cerca di rivincite appare essere Draymond Green: “Quando perdi contro una squadra la vuoi incontrare di nuovo, è nella natura di chiunque ami competere. Poi certo, ogni avversario mi andava bene pur di poter tornare di nuovo in finale, ma visto che sono nuovamente i Cavs tanto meglio: il nostro obiettivo è vincere, indipendentemente da chi incontriamo”. Le emozioni di giocarsi nuovamente l’anello sono alte per tutte, per Green — “ha poco a che fare col fatto che l’anno scorso sono stato sospeso per gara-5” — e per Kevin Durant, il nuovo arrivato, tornato in finale per la prima volta dopo l’unica esperienza del 2012. “Certo che ho fame di vittorie, ma il mio approccio verso questo sport rimane quello di sempre, ed è fatto di amore verso la pallacanestro, attenzione a ogni dettaglio, etica del lavoro. No, non ho paura di voler strafare e cercare di vincere da solo: il basket non è il golf, non è il tennis, è un gioco di squadra e solo di squadra si può vincere. Io però voglio essere il miglior Kevin Durant possibile: questa è l’unica pressione che sento ed è quella che mi metto addosso io da solo”. 

Durant su Steve Nash: “Se solo non stesse sempre in spiaggia…”

Più che un uomo schiacciato dalla pressione, KD è apparso tranquillo e anche spiritoso alla vigilia di una gara-1 tanto attesa e voluta, dopo il trasferimento estivo dai Thunder agli Warriors. A un giornalista che gli ha chiesto se considerava il 2016-17 la sua miglior annata NBA ha risposto con la faccia seria: “Non lo so, non posso mica fare io il tuo lavoro”, prima di aggiungere rapido: “Era solo una battuta, la realtà è che oggi non penso a fare questo tipo di valutazioni; forse le farò una volta chiusa la carriera”. Una carriera che da quest’anno ha potuto contare anche su un consigliere/consulente in più, il due volte MVP NBA Steve Nash: “Il suo aiuto è stato importante, soprattutto nei consigli sull’importanza dell’equilibrio del mio corpo durante l’azione. Mi piacerebbe che venisse da noi più spesso, ma invece lui preferisce starsene in spiaggia a Los Angeles da qualche parte…”, ha aggiunto con il sorriso. Anche Steph Curry è stato importante e funzionale nel processo di inserimento di Durant a Golden State: “Da ottobre a dicembre ci siamo studiati, per capire entrambi come funzionare al meglio assieme. Più minuti abbiamo passato in campo assieme più l’intesa è cresciuta. Con l’inizio dell’anno nuovo abbiamo messo una marcia in più, ma poi Kevin si è infortunato e abbiamo dovuto cambiare di nuovo assetto. La sua assenza però in un certo ci ha solo rinforzato, perché quando è tornato avevamo di nuovo imparato a giocare anche senza di lui e riassorbirlo è stato semplice”.

Pressione? Quale pressione?

“Ci ha dato un’opzione offensiva in più per tutto l’anno — l’opinione di Draymond Green — un altro go-to-guy da cui andare quando magari qualche tiro non entra. Mi piace sottolineare anche il suo enorme contributo in difesa, spesso non riconosciuto, che a mio avviso ne fa uno dei migliori della lega anche nella metà campo dietro. KD ne ha viste tante, ha giocato al livello più alto ma non ha ego e si comporta come se fosse semplicemente uno del gruppo. La pressione — per lui e per tutti noi — esiste solo se permetti che esista. Qui a Golden State è l’obiettivo è vincere, e la pressione viene come conseguenza dell’obiettivo che ti poni tu per primo, non certo per quello che dice la gente”. Della stessa idea anche Steph Curry, le cui parole chiudono il cerchio: “Non credo che Kevin senta più pressione di quella che sente ognuno di noi: è la stessa per tutti, vincere le prossime quattro partite e portarci a casa l’anello”. Quasi un’abitudine, quando per tre anni a giugno ci si ritrova sempre in finale: “Ho imparato a prendermi cura di più del mio corpo: diciamo che non mi lamento più quando il coach mi fa uscire due-tre minuti prima durante una gara di stagione regolare”, ha aggiunto Curry col sorriso. Perché le sfide importanti sono altre. Gara-1 nella notte tra giovedì e venerdì, ad esempio.