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NBA Finals, insieme ad Amira alla scoperta del Warriors Dance Team

NBA

Mauro Bevacqua

Sono belle e sono soprattutto brave: entriamo a conoscere da vicino il mondo di un dance team NBA attraverso le parole di Amira, il capitano delle cheerleader di Golden State

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OAKLAND — In tv le vediamo esibirsi a ogni singolo time-out, prendere il campo con grande autorità e mettere in scena uno spettacolo entusiasmante e pieno di energia in quei pochi minuti in cui sono chiamate a rubare la scena alle grandi superstar NBA, da Kevin Durant a LeBron James. Poi — nel vivere sul posto le finali NBA — la loro presenza è ancora più evidente, perché quando il palazzetto è ancora mezzo vuoto prima del via di una partita o nei giorni di pausa tra una sfida e un’altra sono proprio loro a prendere possesso del parquet, mandando a memoria routine di ballo sempre più difficili. Parliamo ovviamente delle cheerleader NBA — in questo caso delle Warriors Dancers, il corpo di ballo che accompagna lo spettacolo casalingo di Steph Curry e soci. Abbiamo voluto incontrare Amira per indagare un po’ di più una realtà che è quasi sinonimo di sport americano, e nessuna persona meglio del capitano delle Warriors Dancers — “Sono al mio sesto anno nella squadra”, ci dice orgogliosa — poteva guidarci attraverso le mille curiosità di un mondo ancora poco indagato. Alla base di tutto, non è difficile intuirlo, c’è la passione per la danza: “Io ho iniziato a ballare quando avevo tre anni e le mille lezioni a cui ho preso parte mi hanno spinto  inizialmente a fare qualche piccola gara finché poi non mi sono decisa a iscrivermi alle audizioni per diventare una cheerleader dei Golden State Warriors”, racconta Amira. 

Competizione a passi di danza

“Ogni squadra NBA all’inizio della stagione organizza i propri tryout, un processo di selezione che dura un’intera settimana. Nei primi giorni vengono provate tutta una serie di routine di ballo, quindi si viene sottoposti a un colloquio simile a quelli che avvengono in ogni posto di lavoro — con interviste personali condotte nel nostro caso da un panel di giudici — a cui fanno seguito due giorni di boot camp, ovvero un’intensa preparazione fisica che porta all’audizione finale, dove vengono riprovate tutte le routine imparate nei primi giorni”. La competizione è altissima, e il sogno di esibirsi alla Oracle Arena e molto spesso in tv nazionale attira fa gola davvero a molte. “Ogni anno il numero delle ragazze che si presentano con la speranza di entrare a far parte della squadra è tra le 200 e le 250, ma di queste ce la fanno solo in 18/20, a seconda anche di quante ragazze vengono confermate dalla stagione precedente”.

Allenamenti e duro lavoro, come una vera squadra

“Una volta concluse le selezioni — continua a raccontarci Amira — tra di noi si instaura un rapporto che è in tutto e per tutto simile a quello di una vera e propria squadra, perché se questa parola descrive perfettamente la filosofia degli Warriors in campo si presta allo stesso modo benissimo anche a riassumere il nostro lavoro. La mentalità è proprio quella del gruppo e non potrebbe essere altrimenti, visto che lavoriamo assieme dai due ai sette giorni alla settimana, a seconda di quello che il calendario NBA prevede. Siamo un gruppo molto unito, si sviluppa una comunanza che ci permette di lavorare e di divertirci allo stesso tempo tutte assieme: mi verrebbe da dire che l’altruismo e lo spirito di gruppo che contraddistingue gli Warrios in campo è perfettamente emulato da quello del nostro dance team”. Anche perché l’impegno richiesto a queste ragazze non è per nulla da poco: “Alle partite interne degli Warriors — due, a volte anche tre nell’arco di sette giorni — si sommano altri tre allenamenti settimanali, ognuno dei quali dura tre ore e mezza. La prima mezz’ora la dedichiamo al fitness, il resto prevede l’apprendimento di tutte le nostre routine di ballo: dobbiamo mandare a memoria ogni singolo movimento previsto da ogni diversa routine, che cambia in occasione di ogni partita. A ogni gara presentiamo infatti due nuove routine e con rarissime eccezioni non riproponiamo mai le stesse in serate diverse. Le routine eseguite durante gara-2 — disputata domenica pomeriggio — abbiamo iniziato a impararle mercoledì sera, per cui abbiamo avuto un totale di tre giorni e mezzo per essere pronte: è impegnativo, ma a noi piace rinnovarci, fare sempre cose nuove”. 

Jazz o hip-hop, l’importante è che piaccia

La danza è importante, ma altrettanto importante è la musica: “La selezione è normalmente nelle mani della nostra allenatrice, ma essendo il capitano del dance team ogni tanto io ne approfitto per mettere bocca sulla scelta dei brani — cercando magari di stare al passo con quelle che sono le canzoni più popolari del momento o magari studiando un mix di vecchi successi da riproporre. Oggi come oggi, ad esempio, a me piace da morire esibirmi sul ritmo di Snap your fingers ma di solito l’ultima parola sulle scelte musicali rimane comunque nelle mani della nostra allenatrice Sabrina e della coreografa. Per ogni partita vengono normalmente selezionate per noi una routine jazz e una hip-hop, ma trovano spazio anche delle hit R’n’B o qualsiasi canzone che sia super popolare in un singolo momento alla radio e capace di accendere i tifosi”. Perché alla fine, ci ricorda Amira, “è il loro entusiasmo e la loro partecipazione a dirci se abbiamo fatto bene il nostro lavoro”.