Andare a ripercorrere le tre prestazioni stagionali del n°13 dei Rockets contro gli Spurs (in altrettante vittorie) permette di tratteggiare i tanti aspetti del suo gioco con cui il mancino di Houston può far male agli avversari: dalla lunetta, con i passaggi, con i suoi punti
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Quando Houston e San Antonio si ritrovano davanti per il primo dei quattro scontri stagionali (l’ultimo va in scena domenica, in diretta alle 21.30 su Sky Sport 1 e in streaming aperto a tutti su skysport.it), i Rockets hanno vinto soltanto due degli ultimi 11 scontri disputati contro gli Spurs (senza contare il ko subìto in semifinale di conference nei playoff, 4-2). Ora però alla corte di Mike D’Antoni a dar man forte a James Harden è arrivato anche Chris Paul, e le cose sono destinate a cambiare. è evidente al termine della gara del 15 dicembre, quando l’ex playmaker dei Clippers chiude con 28 punti, 8 assist e 7 recuperi guidando i suoi alla vittoria 124-109 e sopperendo anche a una delle peggiori serate al tiro del suo partner-in-crime James Harden, che manda a bersaglio solo 6 dei 18 tiri presi a fa addirittura peggio dall’arco (2/11). Il totale messo a referto dal “Barba”, però, inizia a gettare una luce sulla multi-dimensionalità dell’ex sesto uomo di Oklahoma City: Harden infatti chiude anch’egli, al pari di Paul, con 28 punti, la metà dei quali ottenuti dalla lunetta (14/16). Un luogo familiare al n°13 dei Rockets, che finora in stagione ha tentato 664 liberi, 10.1 a sera (dati che lo pongono al primo posto nella lega in entrambe le categorie), quasi 60 in più rispetto al secondo giocatore della lista (Giannis Antetokounmpo). Se poi si considera che Harden li realizza con oltre l’86% — 8.7 punti a gioco fermo a gara, anche qui primo in tutta la NBA — è facile capire l’impatto di questo tipo di dimensione del gioco offensivo del mancino di Los Angeles, che ha elevato ad arte la capacità di procurarsi falli, prima perfezionando il cosiddetto movimento rip-through (col quale va a cercare le braccia protese dell’avversario per procurarsi il contatto falloso) e poi anche un’ulteriore evoluzione dello stesso trucchetto, piaciuta poco alla NBA che proprio prima del via di questa stagione ha voluto fare chiarezza su quali falli fossero da considerare sul tiro con una nuova regola ufficiosamente ribattezzata proprio “Harden rule”.
L’Harden passatore
Dopo aver rifilato la bellezza di 124 punti alla difesa di San Antonio a metà dicembre, nel secondo match stagionale disputato il primo giorno di febbraio a cambiare è la ricetta (la difesa dei Rockets tiene gli uomini di coach Popovich a 91 punti, con il 42.2% dal campo e solo il 25% dall’arco, forzando 16 palle perse da cui gli uomini di Mike D'Antoni ricavano 27 punti) ma non il risultato finale: secondo successo stagionale per Houston e altri 28 punti per James Harden. Il “Barba” questa volta è molto più preciso al tiro (10/20 dal campo, 5/12 dall’arco) ma soprattutto affianca alla propria produzione offensiva anche 11 assist, mettendo in mostra un’altra caratteristica del suo gioco che lo rende uno dei candidati più credibili (se non il candidato) al premio di MVP stagionale. Dopo aver chiuso la scorsa stagione come miglior passatore NBA (11.2 a sera), pur dividendo i compiti di regia con Chris Paul Harden quest’anno si è confermato tra gli assist men di élite della lega, dietro solo a Russell Westbrook e LeBron James con i suoi 8.7 passaggi smarcanti a serata. Il suo apporto all’attacco dei Rockets, quindi, non si esaurisce sfruttando il suo potenziale offensivo, ma anche armando la mano di tutti quei tiratori (da Eric Gordon a Ryan Anderson, da Gerald Green allo stesso Chris Paul) perfettamente complementari al suo gioco e in grado di raccogliere gli scarichi del n°13 di Houston e punire gli aiuti degli avversari con il tiro da fuori.
L’Harden realizzatore
Il terzo derby texano della stagione è la perfetta occasione per mettere poi in mostra un altro aspetto ancora del gioco a 360 gradi di James Harden, quel suo illimitato potenziale offensivo che ha fatto dire di lui a Mike D’Antoni “è l’attaccante più forte che io abbia mai allenato”. Perché se per la terza volta su tre incontri il totale a fine serata del mancino di Houston è ancora di 28 punti (con percentuali sinistramente simili a quelle del primo incontro, 6/17 dal campo, un identico 2/11 dall’arco e altri 14 liberi a segno, stavolta senza neppure un errore) questa volta il bottino è ottenuto in soli tre quarti e 29 minuti di gioco, restando seduto tutto l’ultimo periodo, con la partita ormai decisa a favore dei suoi. Non a caso il miglior marcatore di tutta la lega — e l’unico sopra i 30 punti a sera, a quota 30.7 — Harden nella gara del 12 marzo contro San Antonio dimostra come può accendersi in un attimo e decidere una partita: suoi infatti 8 punti in fila in un parziale di 16-4 che spacca in due la gara e suoi anche 16 dei 34 punti di Houston nel terzo periodo, a testimonianza di una potenza di fuoco che lo rende il pericolo pubblico n°1 per qualsiasi difesa NBA. Quella di San Antonio — sotto 0-3 in stagione — dimostra di non aver trovato la chiave per fermarlo, ma le resta un ultimo tentativo nel quarto e ultimo incontro stagionale di domenica.