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NBA, Gregg Popovich, Kawhi Leonard e gli Spurs visti da vicino: parla Rudy Gay

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Il caso Leonard? "Se ne è parlato in maniera esagerata". Gregg Popovich? "Conoscendolo ti accorgi che è diverso da come viene dipinto". L'ex giocatore dei Kings racconta la sua prima stagione in nero-argento, e cosa rende speciale giocare a San Antonio

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La stagione dei San Antonio Spurs si è conclusa con una secca – quanto prevedibile – eliminazione al primo turno di playoff contro Golden State. Una stagione difficile, che ha avuto tanti momenti difficili (su tutti il protrarsi dell’infortunio a Kawhi Leonard e la sua assenza per tutta la stagione tranne nove gare) ma anche qualche lato positivo. Sicuramente un LaMarcus Aldridge ritrovato, dopo le chiacchiere estive con coach Gregg Popovich, ma anche l’impatto sicuramente positivo di un veterano al primo impatto con l’ambiente e la cultura Spurs come Rudy Gay. Quasi dimenticato dopo tre anni e mezzo nel gulag di Sacramento (con cifre  più che positive, ma mai oltre le 33 vittorie stagionali) e reduce dall’infortunio al tendine d’Achille sostenuto nel gennaio 2017, l’ex giocatore di UConn ha rinunciato a oltre 14 milioni di dollari per approdare alla corte di Gregg Popovich, e tornare a respirare aria (e cultura) vincente. Un azzardo che a fine stagione può considerarsi vincente, perché Gay – pur mandando a libri la sua media punti più bassa di sempre (neppure 12 punti a partita) con l’eccezione dell’annata da rookie a Memphis – ha senza dubbio portato il suo contributo nella difficile annata nero-argento, apprezzando moltissimo l’ambiente della franchigia da più parti considerata modello in tutta la lega. “Non c’è un’altra organizzazione di questo livello nella NBA, sembra davvero di stare in famiglia, e non c’è un’altra squadra che esprime una pallacanestro di squadra come gli Spurs, dove tutti giocano al servizio di tutti”, il riassunto, sintetico ma preciso, di quanto l’ex Kings ha trovato in Texas. Dove, ovviamente, ha potuto (e dovuto) vivere sulla propria pelle anche le dinamiche che hanno tenuto banco per tutto l’anno rendendo l’ultima stagione di San Antonio sicuramente diversa – e più controversa – rispetto a tutte quelle dell’ultimo ventennio. A partire, ovviamente, dal caso Leonard: “Il modo in cui è stato trattato è stato sicuramente esagerato – afferma sicuro Gay – ma in parte è anche normale, perché se hai una squadra che punta al titolo è prassi che ci siano tanti giornalisti al seguito e tanta attenzione. La verità è che è dura vivere un’intera stagione infortunato, e così è stato anche per lui. È dura dover stare seduti sapendo di poter contribuire ma non potendo farlo. So di cosa parlo, ci sono passato anch’io. Per questo ci sentivamo spesso, gli spedivo delle foto ogni tanto e parlavamo parecchio, ma non c’è molto che si possa dire o fare in casi come questi: deve solo lavorare e tornare in forma, e spero sinceramente sia sempre più vicino al ritorno in campo”.

A scuola da Popovich

Un altro ritorno atteso – dopo che il lutto per la morte della moglie Erin lo ha tenuto lontano dalla panchina nelle ultime tre gare della serie contro gli Warriors – è quello di Gregg Popovich, altra figura quasi mitologica negli spogliatoi nero-argento. “C’è una percezione di lui in giro nella lega e poi c’è la realtà delle cose, è coach Pop è diverso da quello che si dice in giro su di lui. Non totalmente diverso, ma diverso – anche se in realtà la stessa cosa succede con la maggior parte delle persone. Con lui ci sono giorni in cui arriviamo in palestra e si parla di pallacanestro a un livello di conoscenza altissima, e poi invece ce ne sono altri in cui si discute di politica o di vita normale, di quello che succede in giro per il mondo. Popovich è una di quelle persone che ti fa guardare alle cose in maniera diversa”. Anche la prospettiva di Gay è dovuta cambiare arrivando in Texas, in primis nella riduzione del contratto (dopo un primo anno a quasi 8.5 milioni di dollari, sta al giocatore decidere se esercitare l’opzione anche per il secondo, sostanzialmente alla stessa cifra) e poi nell’adattarsi a uscire dalla panchina, un ruolo che per un giocatore che per tre volte in carriera ha viaggiato a più di 20 punti di media ha comportato non pochi aggiustamenti. Il fatto che ci sia riuscito egregiamente è testimoniato dai 32 minuti a sera concessigli in campo durante i playoff da Popovich prima e Messina poi, che Gay ha utilizzato per viaggiare oltre i 12 punti e i 5 rimbalzi e mezzo a sera (anche se solo con il 22% da tre punti, mai la sua specialità). Il primo anno del n°22 in nero-argento è quindi da considerarsi un successo: ora, alla vigilia del suo 32° compleanno, sta a lui decidere se continuare l’avventura o cercare stimoli diversi altrove: “Deciderò in estate, ma quello che è certo è che dal rientro dall’infortunio la mia fame di pallacanestro è ancora più alta: voglio che l’anno prossimo sia ancora meglio di questo appena concluso”.