Prima la disperazione nel realizzare di avere avuto un time-out a disposizione nei secondi finali di gara-1. Poi quei lunghi minuti passati in panchina prima dell'overtime. Quando "King" James non si sarebbe comportato da leader verso i suoi compagni: "Davvero volete criticarmi?"
CLEVELAND, OHIO — “Davvero volete riportarmi di nuovo a gara-1? Proprio ora che ero riuscito a togliermela dalla testa?”. LeBron James in conferenza stampa alla vigilia di gara-3 sembra non crederci. Si è già giocata gara-2, le squadre si sono spostate dalla California al suo (amato) Northeast Ohio eppure gli viene chiesto di nuovo del maledetto finale della prima partita della serie, quella persa soltanto all’overtime, che lui e i Cavs rischiano di rimpiangere a lungo, forse per sempre. “Perché c’è un video che è diventato virale in rete di quei tre minuti tra la fine dei regolamentari e l’inizio dei supplementari…”, fa notare uno dei giornalisti in conferenza stampa. “Davvero? è diventato virale?”, si informa James, prima di ricordare a tutti che — come da tradizione — nelle settimane dei playoff e delle finali anche quest’anno è in vigore il suo black out social, che lo porta ad astenersi dal frequentare i suoi seguitissimi account e ignorare tutto il chiacchiericcio mediatico (da lui stesso criticato) che si svolge sulle varie piattaforme dei social media. “Maledette telecamere”, si lascia scappare con un sorriso, prima di accettare di ripercorrere in prima persona, momento per momento, gli ultimi concitati attimi del quarto quarto di gara-1 e quegli interminabili minuti passati in panchina, prima del via del primo tempo supplementare. “Sono andato a sedermi in panchina e ho provato a rimettere in ordine nella mia testa tutti gli eventi occorsi in quei pochi secondi, dai palleggi verso metà campo di J.R. [Smith], al tiro libero sbagliato di G-Hill, a Draymond Green che sul libero entra prima del dovuto in area, commettendo una violazione. E chiedendomi anche se avessi avuto o meno una linea di penetrazione verso il canestro. Insomma, avevo un sacco di pensieri per la testa”, ammette comprensibilmente James. Che poi racconta: “Prima che J.R. cercasse di passare il pallone all’ultimo secondo a Hill ho provato a chiamare time-out, rivolgendomi verso l’arbitro più vicino, che penso fosse Ed Molloy. Non sapevo se avessimo il tempo necessario per farlo, perché ero ancora sotto shock per quello che era appena successo, ma sono rientrato in panchina pensando che avrei potuto chiamare un time-out. Poi ricordo di essermi detto che forse era meglio non averlo fatto, che fortunatamente gli arbitri non me l'avevano concesso: non volevo un altro incidente alla C-Webb [Chris Webber, che con la maglia di Michigan in finale NCAA contro North Carolina chiamò un time-out nei secondi finali della partita che la sua squadra non aveva, ndr], perché se fosse successo gli Warriors avrebbero avuto i tiri liberi del tecnico automatico, e la partita sarebbe finita lì”.
Il rammarico per quel time-out mai chiesto
Ma la parte più interessante — di quegli attimi frenetici e della ricostruzione di “King” James — deve ancora arrivare: “Ho chiesto al mio coaching staff se avessimo ancora un time-out, e mi hanno risposto di sì. Immagino che la mia reazione l’abbiate vista tutti, a questo punto…”, scherza il n°23, che inquadrato dalle (maledette) telecamere si porta le mani sul volto e incredulo cerca di nascondersi al mondo, piegandosi disperato su se stesso. Una disperazione dovuta “al fatto di sapere che avremmo potuto avere un ultimo possesso dopo il rimbalzo d’attacco”, un possesso che forse — se disegnato durante il time-out ed eseguito a dovere — avrebbe potuto evitare il tempo supplementare e “una sconfitta che ci ha spezzato il cuore”, dice James. Che qualcuno tra i gioranalisti presenti in conferenza stampa prova anche a incolpare per l’atteggiamento tenuto da quel momento in poi in panchina, poco collaborativo e di supporto ai compagni chiamati a dover disputare i cinque minuti decisivi di una partita di finale NBA, che forse dal loro leader avrebbero gradito un po’ più di aiuto (in questo caso psicologico). “Me? Volete criticare me? Volete davvero dirmi che qualcuno mi ha criticato”, si domanda incredulo il n°23 dei Cavs. “No dai, davvero, non ci credo”, replica tra il divertito e l’offeso. “Siamo arrivati fin qui a giocarci le finali NBA: cosa posso fare di più per aiutare i miei compagni?", quasi a sottolineare (neppure troppo indirettamente) tutti i suoi meriti — non ultimi anche i 51 punti messi a segno in gara-1 — nei successi dei Cavs in questi playoff. "Esatto, ha chiuso con 51, 8 rimbalzi e 8 assist per cui credo abbia già fatto tanto", gli dà man forte Kevin Love. "Ci ha guidato in gara-1 come ha sempre fatto, non solo durante la stagione regolare ma anche nelle scorse annate. Credo sia naturale per uno come lui produrre uno sforzo del genere ed essere frustrato dal non vederlo ricompensato con una vittoria". Se poi alla sconfitta si uniscono anche le critiche, però, LeBron James non ci sta: "Non mi importa, davvero. Non mi importa per nulla". E con queste parole chiude, stavolta forse sì definitivamente, il capitolo su gara-1.