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NBA Draft: alla scoperta di Jaren Jackson Jr., il lungo più moderno della classe 2018

NBA

Versatilità difensiva e tiro in attacco: il figlio del veterano Jaren ha un profilo moderno e richiestissimo tra i lunghi della NBA contemporanea, potendo dare il suo contributo in entrambe le metà campo. Scopriamo insieme pregi e difetti del prodotto di Michigan State

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Nella marcia di avvicinamento al Draft, è facile farsi attrarre dal “potenziale” di un giovane prospetto – tanto da far passare in secondo piano quello che già sanno fare a una giovane età. Molti di quei giocatori non raggiungono completamente il potenziale a disposizione, e per questo risultano in definitiva peggiori di giocatori scelti dopo di loro ma in grado di assicurare un rendimento minimo più alto, il cosiddetto “floor”, il pavimento sotto al quale non si può scendere. Jaren Jackson Jr. è un raro tipo di giocatore in grado di assicurare entrambe le casistiche: da un lato, è il prospetto più “sicuro” tra quelli in top-5 perché è già in grado di fare tante cose sui due lati del campo che lo rendono un giocatore schierabile già adesso; dall’altro è uno dei più giovani in assoluto presenti in questo Draft essendo nato il 15 settembre 1999, ben 16 mesi dopo Mohamed Bamba e 14 di Deandre Ayton, due dei lunghi che certamente si giocheranno un posto in top-5 con lui, Luka Doncic e Marvin Bagley III. Inoltre, nel suo unico anno al college agli ordini di Tom Izzo a Michigan State ha fatto vedere solo in parte quello che è in grado di fare soprattutto nella metà campo offensiva, peraltro giocando quasi stabilmente da 4 invece che da 5, posizione che con ogni probabilità ricoprirà nel suo futuro a lungo termine in NBA. Anche nell’improbabile caso in cui non dovesse migliorare più di così, però, Jackson sarebbe già un lungo da NBA: le dimensioni sono quelle giuste, le capacità difensive per proteggere il ferro e cambiare sugli esterni anche, e in attacco è un tiratore di livello tale da poter quantomeno non compromettere le spaziature – che di per sé è tanto di guadagnato per un centro nella pallacanestro moderna. Jackson però è molto più di così, e per questo secondo alcuni tra cinque anni potrebbe rivelarsi addirittura il miglior giocatore uscito da questo Draft.

Storia personale: sulle orme di papà Jaren

Il “Junior” alla fine del suo nome a questo punto dovrebbero già aver fatto drizzare le orecchie ai più nostalgici di voi: Jaren è infatti figlio del veterano NBA Jaren Jackson, che tra gli anni ’90 e i primi 2000 ha girato diverse squadre (dai New Jersey Nets agli Orlando Magic passando anche da Golden State, Los Angeles sponda Clippers, Portland, Philadelphia, Houston e Washington) trovando successo soprattutto con la maglia dei San Antonio Spurs. Papà Jaren era una guardia tiratrice dal talento limitato ma dall’efficacia assicurata, dando il suo contributo soprattutto in uscita dalla panchina grazie alle sue doti balistiche e conquistando il titolo del 1999 da protagonista della rotazione. Quel 1999 è un po’ l’anno attorno al quale gira la sua vita, visto che nel settembre è poi nato il piccolo Jaren, che però è un giocatore del tutto diverso rispetto al padre – non fosse altro per i 211 centimetri di altezza, quasi 20 più del genitore – pur avendo ereditato da lui la capacità di tiro. Il figliolo possiede infatti la sua precisione (quasi il 40% da tre e quasi l’80% ai liberi) pur avendo una meccanica di tiro molto meno compatta e “ortodossa” rispetto al babbo, tendendo a spingere il pallone da davanti al volto con un punto di rilascio piuttosto basso.

Punti di forza: versatilità difensiva, capacità di tiro e potenziale in attacco

Il tiro, però, è solo uno dei tanti punti di forza del giovane Jackson. Per parlare di lui bisogna innanzitutto sottolineare le straordinarie doti difensive: il prodotto di Michigan State, pur giocando stabilmente da 4, si è affermato come uno dei migliori stoppatori della NCAA mostrando grande capacità di anticipazione e di lettura delle traiettorie avversarie, utilizzando i 223 centimetri della sua apertura di braccia per arrivare ovunque, soprattutto con l’amata mano sinistra. Jackson però non è solo un protettore del ferro, ma un difensore moderno a tutto tondo: grazie alla sua versatilità, alla sua velocità di base e ai suoi istinti è in grado di cambiare con profitto sugli esterni e contenerne le penetrazioni, raggiungendo il giusto equilibrio tra presenza interna e perimetrale. Jackson promette già adesso di saper “ancorare” una difesa, come dimostrato anche nell’ultima stagione a Michigan State dove ha avuto eccellenti risultati. A questo aggiunge però delle doti offensive ancora tutte da esplorare: nel sistema di Tom Izzo era il quinto giocatore in ordine gerarchico in attacco, limitando quindi il suo coinvolgimento al solo tiro dalla lunga distanza e alle piccole giocate (tagli al tempo giusto, corsa in transizione, ottima selezione delle sue conclusioni) che di sicuro non sporcano il foglio per la squadra che lo sceglierà, mostrando però del potenziale inesplorato per quanto riguarda la capacità di mettere palla per terra contro i recuperi difensivi.

Punti deboli: è un giocatore franchigia o solo un "pezzo"?

Ovviamente Jackson non è un giocatore finito né tantomeno perfetto: innanzitutto deve ancora completare la sua maturazione fisica, tanto che tra i punti di domanda più grandi su di lui ci sono la mancanza di forza e intensità sia a rimbalzo difensivo nel fare taglia fuori sia nell’impedire le penetrazioni in palleggio. Nonostante le ottime misure, a Jackson sembra mancare un po’ di esplosività quando parte da situazione stanziale, difetto che si nota specialmente nella capacità di finire nel pitturato (dove mostra anche un tocco solo nella media) e quando deve creare dal palleggio, avendo bisogno di un vantaggio da attaccare per essere efficace piuttosto che procurarne uno per i suoi. Inoltre paga un po’ di inesperienza e di gioventù in termini di prevedibilità del suo gioco (tende a fidarsi quasi esclusivamente della mano sinistra) e soprattutto nel saltare sulle finte avversarie, difetto che gli ha portato diversi problemi di falli nel corso della sua esperienza collegiale.

Fit e comparison: un giovane Serge Ibaka che incontra Myles Turner?

Per tutti questi ultimi difetti rimane il dubbio che Jaren Jackson Jr. sia più un “pezzo” di una grande squadra, anche importantissimo, piuttosto che un giocatore-franchigia fatto e finito. Considerando anche le doti di passaggio piuttosto scarse, viene difficile immaginarsi che Jackson diventi un giocatore al quale dare il pallone chiedendogli di creare attacco per sé o per gli altri, venendo quindi costretto a giocare di spalla a un giocatore più forte di lui, specialmente tra i perimetrali. Per fare un paragone, il profilo difensivo moderno lo avvicinano a un giovane Serge Ibaka o a un Myles Turner più mobile, anche se rispetto a questi due ha una fisicità ancora tutta da costruire. Tra le prime cinque squadre al Draft non è facile capire quale potrà puntare su di lui invece che su un altro: Phoenix sarebbe perfetta con Devin Booker, ma la scelta di Deandre Ayton sembra ormai scolpita nella pietra; Sacramento ha un reparto guardie affollatissimo, ma altrettanto si può dire del parco lunghi; Atlanta non sembra avere grande fiducia in Dennis Schroeder per il futuro, ma allo stesso tempo ha appena scelto al Draft John Collins con cui la coesistenza potrebbe rivelarsi complicata; Memphis ha Mike Conley e Marc Gasol, il che costringerebbe automaticamente Jackson a spostarsi da 4 almeno nei suoi primi anni di carriera. Se cadesse fino alla 5 Dallas farebbe ovviamente i salti di gioia mettendolo al fianco di Dennis Smith Jr. e costruendo la coppia del futuro post-Dirk Nowitzki, ma seguendo gli ultimi Mock Draft non sembra che possa arrivare così lontano, con gli esperti che lo mettono soprattutto alla 3 per Atlanta. In ogni caso aggiungere uno come Jaren Jackson Jr. non ha grandi controindicazioni, e considerando la sua giovane età c’è motivo per sperare che cresca ulteriormente in qualcosa di molto più intrigante di ciò che già è.