Il capitano della nazionale azzurra parla dell'avventura mondiale ormai alle porte, del suo infortunio, del passato NBA e in particolare nella D-League: "Un'esperienza in cui avevo tutto da perdere, ma poi è andata bene". E il saluto all'amico Melli: "Super professionista, spero che in NBA trovi lo spazio e la fiducia per fare bene"
ARRIVA IL TERZO ITALIANO IN NBA: MELLI AI NEW ORLEANS PELICANS
Arriva sorridente e con la barba in ordine, l’occhio sempre attento e le stampelle che precauzionalmente lo portano in giro in questo tour inedito in giro per radio, tv e librerie. Gigi Datome è ospite negli studi di Sky Sport per presentare il suo libro “Gioco come sono”: un modo per ripercorrere la sua carriera, fatta di alti e bassi, vittorie europee e battute d’arresto in nazionale, la NBA mai del tutto digerita e l’Eurolega invece diventata la sua seconda casa. “È emozionante scrivere il libro e ripercorrere la propria vita”, racconta mentre con Lia Capizzi e Flavio Tranquillo commenta i video inviati da amici speciali, ex colleghi e confidenti inattesi. Datome non ha problemi a parlare di occasioni per i giovani che mancano nella pallacanestro italiana (“La verità sta nel mezzo: ci vuole più impegno da parte loro e maggiore attenzione da parte dei club”), immagina un suo futuro da cronista politico e quando non ha niente da fare riguarda le maratone Mentana che conserva gelosamente registrate. Il ritiro con la nazionale azzurra si avvicina e l’obiettivo è quello di recuperare dal problema al polpaccio: “Mi sono operato due settimane fa, per altri sette giorni continuerò con le stampelle e poi farò lavoro a parte durante il raduno in azzurro che partirà dal 22 luglio. Era tanto che mancava un mondiale all’Italia, sono felice. Non voglio commentare le modalità di qualificazione (alcune sue uscite hanno generato diverse polemiche in passato, ndr), ma l’importante è che l’Italia ci sia. Sono felice di farne parte perché non ho mai partecipato a un mondiale. Come al solito abbiamo in qualche ruolo grande potenzialità, in altre invece ci sono delle lacune da colmare. L’obiettivo è metterci insieme, rendere orgogliosi noi e i tifosi, far divertire la gente e provarci perché abbiamo l’obbligo di farlo”.
Niente NBA nel futuro di Datome e quei sei giorni in D-League con i Grand Rapids
Pochi giorni fa è arrivata la notizia del rinnovo con il Fenerbahce per altri tre anni; la sua casa dal 2016 e la squadra con cui probabilmente concluderà la sua carriera ad alto livello. La NBA, che fa parte del suo passato, difficilmente tornerà d’attualità nella sua vita. “Sto bene a Istanbul, mi sento apprezzato, sto bene e sono ben voluto da tutti. Sono stimato. Ho detto di no in un paio di occasioni negli ultimi anni a offerte arrivate dalla NBA. Tutto poi va inquadrato: io a breve farò 32 anni, poi 33... È comprensibile che a quel punto non vogliano più investire su un ragazzo della mia età, ma su uno come Nicolò per esempio. Inevitabile che si vada su un profilo più giovane”. Uno dei passaggi più interessanti del libro pubblicato con Rizzoli è certamente l’esperienza – non voluta, ma necessaria – in D-League con i Pistons, quando finito ai margini della rotazione Stan Van Gundy gli disse che a lui toccava giocare per i Grand Rapids: “Ho provato un misto di emozioni in quell'occasione, perché tendenzialmente non ci volevo andare, ma dovevo per ragioni contrattuali (come raccontato nel dettaglio nel libro, ndr). Ho cercato di capire e di accettare che fosse la cosa più giusta da fare e quel punto mi sono focalizzato per riuscire nel miglior modo possibile a fare il mio dovere. Era l’unica alternativa che avevo in quel momento. La D-League è un contesto diverso, in cui sei costretto a entrare in squadra da subito, senza allenarti con loro, ma dovendo far vedere da subito quanto vali. Il tutto tenendo conto del fatto che per me c'era molto in ballo: se fossero andate bene le cose probabilmente non cambiava nulla; se invece avessi giocato male, rischiavo che chi non mi faceva scendere in campo iniziasse a pensare: ‘Questo non è buono neanche per la D-League, figurati in NBA'. Avevo davvero tutto da perdere. E poi alla fine, per me sorprendentemente visto che era da tanto ce non giocavo e non avevo ritmo, le cose sono andare per il verso giusto. Anche grazie a quelle partite Boston ha deciso di puntare su di me”. L’unica parentesi positiva dei due anni complessi trascorsi dall’altra parte dell’oceano, con coach Brad Stevens che si è dimostrato leale e corretto negli ultimi mesi della sua esperienza negli USA.
Datome: "Ogni esperienza in NBA è diversa dalle altre, io ho preferito l'Europa"
“Cicciuzzo” (questo il soprannome segreto che Melli ha dato a Datome nei due anni trascorsi in camera insieme al Fenerbahce) è schietto sia davanti alle telecamere che nel libro, in cui non lesina critiche ai suoi allenatori ai Pistons e a un contesto con cui non è mai entrato in sintonia. “Dovevo adeguarmi, sono andato lì con la mente aperta e la curiosità di confrontarmi con quel mondo. Nel momento in cui dovevo scegliere dopo due anni sofferti, il mio cuore e il mio istinto ha detto ‘vai in Turchia a fare il giocatore che non vuole essere uno specialista, ma un talento completo sul parquet’. A quel punto non aveva senso pensare di restare in NBA. Ogni tanto ci ripenso, ma in realtà avevo già deciso”. Un’avventura che dal prossimo autunno vedrà coinvolto anche il suo amico e compagno Nicolò Melli con i New Orleans Pelicans: “Aspettiamo tutti l’ufficialità dell’accordo: spero che possa avere l’opportunità e lo spazio per dimostrare il suo valore. Sono felice per lui perché è un’esperienza bellissima: l’obiettivo a quel punto sarà riuscire a mettere a frutto tutte le sue potenzialità”. Il contratto da due anni da undrafted ricorda molto quello che i Pistons decisero di dare proprio a Datome nel 2013: c’è qualcosa da evitare per non commettere i suoi stessi errori dell’epoca? “No, Nick non ha bisogno di nessun consiglio da parte mia. Abbiamo parlato più volte della NBA, ma ogni situazione è diversa. Con soli due anni di esperienza in America non mi sento di certo in grado di poter avere delle ricette, può rivolgersi a Gallo e Beli che certamente ne sanno più di me. Nick è un ragazzo super, è preciso, un gran professionista. Saprà sicuramente farsi rispettare e ben volere, consapevole del fatto che dovrà adattarsi a un gioco che è diverso”. Un giocatore concentrato sul lavoro, anche quello più noioso per un atleta: “L’ho preso in giro nel libro perché capita spesso di vederlo in palestra, sempre lì concentrato. Ma lo fa perché è un grande professionista, sa che da quello sforzo il suo corpo può uscirne forte e pronto per performare sul parquet. Fa parte dell’essere un giocatore doversi applicare un sacco anche in sala pesi. È un esempio sotto quel punto di vista: lo fa perché deve, non per divertimento, altrimenti saremmo dei culturisti e non dei giocatori di pallacanestro”.