Il lungo scambiato da Washington a Memphis (con i Grizzlies intenzionati a lasciarlo andare) manda messaggi di amore alla città di Los Angeles e alle due ambiziose squadre, Clippers e Lakers. Con un consiglio a Anthony Davis e un pensiero per Draymond Green
La sua unica annata in gialloviola – nella stagione 2012-13 – non ha lasciato grandi ricordi a Los Angeles. Dwight Howard era arrivato in città insieme a Steve Nash, entrambi immediatamente raffigurati sulla copertina di Sports Illustrated con il famoso titolo: “Ora ci si diverte sul serio”. Insieme a loro, a roster, Pau Gasol e Kobe Bryant, che però si ruppe il tendine d’Achille sul finire della stagione, dopo che all’inizio una frattura alla gamba sinistra aveva fermato anche Nash. Di quei Lakers pensati per vincere tutto, a uscirne peggio fu però proprio Howard, alle prese con il recupero da un’operazione di ernia al disco che condizionò il suo rendimento (e la sua schiena) per tutto il campionato. A fine anno, il 27enne centro che così bene aveva fatto nei suo primi 8 anni a Orlando, ricevette comunque l’offerta gialloviola (per 5 anni e 118 milioni di dollari) ma gli preferì quella dei Rockets (4 anni per 88 milioni), mettendo così fine dopo una sola stagione alla sua avventura a Los Angeles. Che oggi – 7 anni dopo, con l’ex prima scelta assoluta del Draft 2004, 33enne e parcheggiato senza grande futuro a Memphis – manda messaggi concilianti proprio alla sua ex città, tanto ai Lakers quanto ai Clippers. “Non so come andrà a finire, ma di sicuro amo Los Angeles. Lo Staples Center sarà una bolgia il prossimo anno, così come lo era quando ci ho giocato io. L’atmosfera è pazzesca, sia con i Lakers che con i Clippers, il cui lavoro di tutti questi ultimi anni finalmente sta pagando. Sono sempre stati visti come i fratelli minori, in città, ma poi con Blake Griffin, DeAndre Jordan e Chris Paul hanno costruito una loro identità e coach Doc Rivers ha fatto un gran lavoro”. Scambiato da Washington (dove ha giocato solo 9 partite per gli eterni problemi alla schiena) a Memphis, con i Grizzlies interessati a scambiarlo ulteriormente o comunque intenzionati a tagliarlo prima del via della stagione, Howard sa di doversi con ogni probabilità cercare l’ottava squadra negli ultimi nove anni lontano dal Tennessee – e sembra aver messo nel mirino di nuovo Los Angeles. “Quando sono stato qui le cose non sono andate come speravamo, infortuni e altri problemi hanno fatto deragliare la nostra stagione ma io in città mi sono trovato bene e ho sviluppato ottime relazioni con la gente qui”.
Un consiglio per Anthony Davis
Presentato nel 2012 come l’erede naturale dei vari Mikan, Chamberlain, Jabbar e O’Neal – i grandi centri della tradizione gialloviola – oggi vede quella stessa eredità affidata ad Anthony Davis: “Gli direi di godersi il momento e la stagione che lo aspetta”, il consiglio di Howard. “Neppure ai Lakers – la squadra con più titoli negli ultimi 40 anni e con il maggior numero di tifosi nel mondo – si vince il titolo ogni stagione, ma di certo l’anno prossimo saranno in corsa per farlo. Ci sarà molto equilibrio, tante squadre pericoloso, ma è bello vedere franchigie che hanno passato momenti difficili tornare a recitare da protagoniste”. Proprio quello che vorrebbe fare Dwight Howard, che assicura: “Oggi non ho più un ego. L’ho dovuto uccidere per diventare la persona che sono ora. Ho perso 11 chili in un mese, non mi sono mai sentito così bene: il mio recupero è completo, sto bene e sono pronto a dimostrarlo”.
Un modello da seguire: Draymond Green (?)
Howard recentemente ha ammesso di non aver sempre avuto il miglior focus possibile nel corso della sua carriera: “Ero convinto di fare tutto al massimo, ma non era così. Certo, passavo ore e ore in palestra, ma il mio atteggiamento mentale non era quello giusto. Ora l’ho capito, adesso è diverso”, giura. Come diversi sono anche i modelli a cui dice di ispirarsi: “Una volta odiavo il modo di giocare di Draymond Green ma ora guardandolo giocare mi accorgo che in campo fa veramente di tutto. È ovunque: prende un tecnico, uno sfondamento, copre ogni buco difensivo, parla, comunica, fa qualsiasi così – che magari neppure viene registrata da un semplice boxscore ma che è evidente a chiunque lo guardi giocare. Voglio essere quel tipo di giocatore”, afferma. “Voglio solo vincere, vincere e vincere”. Magari a Los Angeles.