La televisione di stato del paese asiatico, in rottura prolungata con la Lega americana, ha deciso di non trasmettere le prime due partite NBA. Una scelta storica, che potrebbe avere ripercussioni economiche molto pesanti
In Cina non sembrano aver dimenticato quanto successo meno di tre settimane fa e la tensione è tornata a farsi sentire in questa prima giornata di regular season. Niente partite NBA per il pubblico cinese sulla TV di stato, nessuna vetrina davanti agli oltre 600 milioni di spettatori che la passata stagione hanno visto almeno una gara della Lega di pallacanestro. Un pubblico enorme che la NBA rischia seriamente di perdere, visto che le operazioni di riavvicinamento al momento non hanno funzionato. Tencent, l’emittente che detiene i diritti streaming della NBA, ha invece ridotto il suo palinsesto, facendo vedere soltanto Lakers-Clippers e oscurando la cerimonia degli anelli a Toronto. Durante il weekend inoltre, sempre la CCTV aveva raccontato che dal loro punto di vista Adam Silver avrebbe dovuto prima o poi fare i conti con quanto detto ai media americani riguardo la richiesta di licenziamento nei confronti di Daryl Morey. Una pretesa che il governo cinese conferma di non aver mai avanzato e che ha indispettito ancora di più un partner commerciale sul piede di guerra. La televisione di stato asiatica non ha trasmesso nessuna partita NBA sin dal 4 ottobre, estendendo al momento il divieto anche alla regular season senza dare ulteriori spiegazioni. Un danno economico e di ritorno d’immagine non facilmente quantificabile, una perdita enorme anche fosse soltanto limitata a queste prime settimane di stagione.
Le proteste fuori dallo Staples Center a favore di Hong Kong
Un fronte diventato doppio, con la NBA nel centro della morsa. Fuori dallo Staples Center infatti oltre 60 attivisti hanno iniziato a distribuire magliette con la scritta in favore della lotta per la libertà portata avanti a Hong Kong. Grazie a una raccolta fondi che ha superato i 43.000 dollari in meno di due giorni, i volontari hanno così mostrato la loro vicinanza a chi si oppone al regine cinese: “Vogliamo manifestare il nostro supporto alle parole di Morey, alla battaglia di Hong Kong, ma soprattutto protestare contro un potere straniero che vuole cercare di censurare le nostre opinioni. Il primo emendamento difende il diritto di parola. Per questo, nel momento in cui un governo che non è quello degli Stati Uniti d’America ci impone di non parlare, che senso ha avere uno Stato? Che significato possono avere delle leggi scritte e che poi non vengono rispettate per richiesta di altri? La nostra non è una protesta, ma soltanto una manifestazione del fatto che nessuna autorità al di fuori dei nostri confini potrà censurarci”. Un concetto duro (e chiaro) da parte di chi prende le distanze anche dalle parole di LeBron James (“Morey non conosce abbastanza la situazione cinese per poter dare giudizi”): “Il problema non sarà mai nel merito - sottolineano i manifestanti - quanto nella libertà di poter dire quello che si pensa. La libertà di esprimersi, di dare il proprio punto di vista a prescindere. Non è accettabile che qualcuno da fuori detti le regole”. Uno scontro tra interessi (commerciali e non) che sta mettendo a dura prova la NBA e i cameraman della Lega: anche durante Toronto-New Orleans infatti, la regia televisiva ha dovuto fare lo slalom, evitando con sapienza e astuzia i fan arrivati all’arena con le magliette a favore di Hong Kong. Una situazione delicata quindi, ben lontana dall’essere risolta.