Non ha neppure 24 anni, è la point guard titolare degli Spurs che gode della fiducia di Gregg Popovich e sta facendo registrare massimi in carriera in tutte le principali statistiche. Eppure da Murray ci si aspettava qualcosa di più, un salto di qualità che non c'è (ancora) stato
Doveva essere l’anno di Dejounte Murray e — se il buongiorno si vede dal mattino — a San Antonio erano pronti a festeggiare l’avvento di una nuova era: alla prima partita di questa stagione — dopo aver saltato tutto il campionato 2018-19 per via della rottura dei legamenti del suo ginocchio destro — Murray guida i suoi Spurs alla vittoria contro i Knicks con 18 punti, 8 rimbalzi, 6 assist e 3 recuperi, tirando il 70% dal campo in neppure 24 minuti di gioco. Ancora oggi — con la stagione sospesa dopo 63 partite — le cifre della point guard n°5 di coach Gregg Popovich fanno segnare i suoi massimi in carriera per punti (10.7), assist (4.1), rimbalzi (5.8) e recuperi (1.7), oltre che per percentuali dal campo (il 47.5%) e dalla lunetta (sfiorando l’80%) e all’inizio di gennaio, disputando la sua gara n°150 in maglia Spurs, è diventato solo il terzo giocatore nella storia della franchigia ad aver collezionato almeno 1.000 punti, 600 rimbalzi e 400 assist in questo intervallo di tempo. Eppure sembra mancare ancora qualcosa quando si guarda alla stagione degli Spurs (vicini a interrompere la loro striscia record di 22 apparizione consecutive ai playoff) e per alcuni osservatori quel qualcosa — con DeMar DeRozan e LaMarcus Aldridge sostanzialmente in linea con quanto da loro sempre prodotto in Texas — ha direttamente a che vedere con la mancata esplosione del talento di Seattle.
Tra prudenza e altissime aspettative
Scelto in fondo al primo giro al Draft 2016, dopo una sola stagione al college di Washington, la fama di Murray a quel punto è più locale (ha incantato alla Rainier HS di Seattle, tanto da far sì che l’ex alunno e veterano NBA Jamal Crawford lo prende sotto la sua ala protettrice già a 14 anni annunciandolo al mondo come il “prossimo grande talento cittadino”) che nazionale. L’ingresso nella NBA non è certo tra squilli di tromba — con la 29^ chiamata — e gli Spurs sono una franchigia conosciuta per spegnere sul nascere facili entusiasmi, soprattutto tra i rookie. Eppure alla fine del 2016 coach Popovich loda pubblicamente “il potenziale assolutamente straordinario di Dejounte Murray: dobbiamo solo continuare a lavorare sul suo gioco e a insistere”, dice. Da rookie gli capita di partire in quintetto otto volte, e nelle prime sette gare esce dal campo vincitore (cosa successa solo a un giovane prodigio come Tony Parker prima di lui nella storia della squadra). Già, Tony Parker: è proprio il veteranissimo francese a dovergli far spazio in quintetto base sul finire del gennaio 2018, in quella che è solo la seconda stagione NBA di Murray. “Se resta sulla retta vita, il suo futuro è davvero luminoso”, torna a ribadire Gregg Popovich. Così di colpo la squadra è nelle mani di un ragazzo di 21 anni che ha preso il posto di uno dei leggendari “Big Three” di casa Spurs, e da titolare Murray chiude sopra i 10 punti e 7 rimbalzi di media, con quasi 2 recuperi a sera, meritandosi l’inclusione nel secondo quintetto difensivo NBA (il più giovane di sempre a riuscirci). Poi però arriva il tremendo infortunio — in preseason contro Houston — e un lungo anno di riabilitazione e recupero, uno stop che ovviamente incide anche sul suo ritorno in campo al via di questa stagione: il n°5 inizia seguendo una rigida restrizione nel minutaggio e viene precauzionalmente tenuto a riposo nelle seconde gare di un back-to-back (si tratta pur sempre degli Spurs…).
Punti di forza e punti deboli
Gregg Popovich ha più di 70 anni ma questi sono i suoi Spurs più giovani di sempre (26.3 anni di media, con nove giocatori — tra cui Murray, 24 anni ancora da compiere — sotto i 25). La point guard di San Antonio è al suo quarto anno nella lega — ma solo il terzo speso in campo — ed è da lui che in Texas si aspettavano il salto di qualità. Perfino quel posto in quintetto strappato a Parker ancora due anni fa, però, è sembrato tornare in discussione per una breve parentesi tra fine novembre e inizio dicembre, sette partite in fila in cui Popovich ha scelto di far partire al suo posto tra i primi cinque Derrick White. Le statistiche più immediate — come detto — fanno tutte registrare massimi in carriera per Murray, i cui punti di forza sono conosciuti e ormai assodati: braccia lunghissime che forzano recuperi difensivi (6° in tutta la NBA) e deflection (nella top 10) ma che aiutano anche sotto i tabelloni, facendo del n°5 di San Antonio una tra le migliori guardie rimbalziste di tutta la lega (con quasi 6 a sera è nella top 15, sfiora la top 10 se il dato viene parametrato su 36 minuti). E poi c’è l’atletismo: Murray è 1.93 ma ha fasce muscolari lunghissime ed elastiche, che spesso gli danno un vantaggio diretto dal punto di vista fisico contro i suoi avversari. Altrettanto conosciuti, però, sono anche i punti deboli del suo gioco: più che le palle perse (quasi 2 a sera) a convincere poco sono le sue scelte, la capacità di guidare un attacco e la scarsa pericolosità offensiva dal perimetro (sfiora il 38% da tre punti, è vero, ma solo su 1.6 tentativi a sera): delle 537 conclusioni tentate da Murray in stagione, meno di 100 arrivano oltre i 6 metri, segno di una riluttanza a fidarsi del suo tiro. Oltre il 71% della sua produzione offensiva arriva da tiri da due: non solo è la sesta percentuale più alta di tutta la lega, tra le guardie, ma al quarto posto della stessa graduatoria c’è DeMar DeRozan, il che fa pensare che con due attaccanti da mid-range come DeRozan e Aldridge, gli Spurs godrebbero maggiormente di un esterno capace di allargare il campo con il tiro da fuori. Che poi con lui alla guida gli Spurs quest’anno non siano ancora stati in grado di funzionare a dovere lo testimonia anche il dato del net rating di squadra, fortemente negativo con Murray in campo (-5.1, solo Bryn Forbes fa peggio) e invece positivo con lui fuori (+1.8, secondo dato di squadra).
Popovich: "Per certe cose ci vuole tempo"
Dejounte Murray però è ancora giovane, non ha disputato neppure tre stagioni complete nella lega e ha doti (fisiche e di istinti) che non si possono insegnare. Quando un guru delle panchine NBA come Gregg Popovich si sbilancia così tanto su un proprio giocatore (lo aveva fatto anche con Kawhi Leonard) meglio aspettare a tirare affrettate conclusioni. D’altronde è lo stesso coach Pop a dirlo: “Non sapevo che Manu [Ginobili] sarebbe diventato Manu, così non sapevo che Kawhi [Leonard] sarebbe diventato Kawhi quando lo abbiamo scelto. Il loro potenziale non era chiaro, immediato: per queste cose ci vuole tempo”. E Dejounte Murray si merita altro tempo, perché ha davanti ancora tutta una carriera per diventare il grandissimo giocatore che coach Pop (e non solo) è convinto possa essere.