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NBA, allenatori, un anno di "challenge": com'è andato l'esperimento, cifre alla mano

NBA
©Getty

Un fallo, un giocatore (o il pallone) uscito dal campo, un'interferenza a canestro: sono solo queste le tipologie di decisioni arbitrali che gli allenatori possono contestare con un "challenge". Lo hanno fatto un totale di 633 volte nel corso del primo anno di esistenza di questa nuova regola. Scopriamo con quanto successo

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È stata una delle grandi novità regolamentari della stagione 2019-20: si vede un allenatore o un giocatore roteare in aria il dito indice, si accende una sirena verde al tavolo e poi sta alla terna arbitrale riunirsi attorno a un monitor e rivedere una decisione contestata. È il “coach’s challenge”, la possibilità data a ogni allenatore — una sola volta a partita — di chiedere la revisione di una specifica decisione arbitrale. Solo tre, però, le casistiche contemplate: si può contestare 1) un fallo; 2) una chiamata per verificare l’uscita dal campo di pallone o giocatore e 3) un’interferenza a canestro. In caso il challenge abbia esito negativo, l’allenatore che l’ha chiamato si vede togliere un time-out. Ma com’è andata l’implementazione di questa nuova regola alla sua stagione di esordio NBA?

Iniziamo col dire che il 44% dei challenge chiamati hanno avuto esito positivo (portando alla revisione dell’iniziale decisione), percentuale che scende al 39% per quelli che riguardano un fallo contestato, di gran lunga la tipologia più utilizzata (542 challenge richiesti, solo 214 con successo). Sono state 69 le situazioni dentro/fuori campo contestate (52 con successo, il  75%) mentre solo 22 quelle sull’interferenza a canestro (15 volte la decisione è stata cambiato, 7 confermata). Gli allenatori hanno scelto di utilizzare il challenge molto spesso nei minuti finali di una gara, su possessi potenzialmente decisivi per l’esito della partita: 327 sui 633 totali sono stati chiamati nel quarto quarto o in overtime e nel 39% dei casi gli allenatori hanno visto cambiata — a loro favore — la decisione arbitrale.

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“La mia percentuale di successo è abbastanza bassa — ammette il coach dei Celtics Brad Stevens — per cui evidentemente non ho un buon occhio per queste chiamate”. Ci sono allenatori che si fidano del parere dei propri giocatori (magari convintissimi di non aver commesso fallo), ma altri che invece non lo fanno: “Sono un disastro nell’ascoltare i miei giocatori”, ammette Doc Rivers. “Non chiamo quasi mai il challenge quando me lo chiedono loro: non mi fido molto”, dice Michael Malone. Ancora Rivers: “Faccio la tara, penso a chi mi ha già mentito in passato. Una volta è venuto da me Kawhi Leonard — che raramente apre bocca — e mi ha giurato di non aver toccato il suo avversario: ho chiamato il challenge e lo abbiamo vinto”. “A volte bisogna fidarsi del proprio istinto”, conclude ancora Malone: solo che — statistiche alla mano — funziona meno della metà delle volte, percentuali finora confermate anche ai playoff, dove è sempre del 44% la percentuale assoluta di "overturn" anche se è salita al 45% quella sui falli contestati.

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