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NBA, Golden State deve cambiare il quintetto titolare: lo dicono i numeri

la tendenza
©Getty

Gli Warriors nei 161 minuti in cui hanno schierato il loro quintetto migliore in campo (sulla carta) hanno realizzato 73 punti in meno degli avversari: colpa della chimica di squadra che manca, dell'identità ancora da trovare e soprattutto del lavoro da fare in palestra per provare a crescere

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La partita persa contro gli Utah Jazz è stata la goccia che potrebbe aver fatto traboccare il vaso: il quintetto titolare degli Warriors infatti è sotto osservazione da diverso tempo. La scoppola da 19-2 incassata in avvio nell’ultima gara ha fatto arrabbiare non poco anche Steph Curry, che non ha mai nascosto le difficoltà degli Warriors in questo avvio di regular season, ma al tempo stesso consapevole che ci vorrà molto lavoro per far tornare i conti: “Il nostro quintetto di partenza, così come tutto il resto, è in corso di definizione. I numeri non sono fantastici, anzi, ma stiamo provando al momento di trovare il modo di far funzionare le cose sin dalla palla a due… dobbiamo capire che nulla si risolve senza il nostro sforzo, ma se mi chiedete una risposta onestamente non so quali siano le cause”. Va detto che, dopo gli avvii spesso claudicanti, la squadra di San Francisco è riuscita più volte a invertire la rotta - una tendenza che lascia intuire che i problemi potrebbero essere risolti rimescolando un po’ le carte.

Quando in campo gli Warriors schierano Stephen Curry, Kelly Oubre Jr., Andrew Wiggins, Draymond Green e James Wiseman, Golden State affonda: -73 di plus/minus in 161 minuti trascorsi sul parquet, con Curry che - a differenza del suo 32.2% medio di usage rate - si ferma a un misero 22%. In sostanza il n°30 degli Warriors cerca di sfruttare al meglio la presenza degli altri sul parquet, ma il risultato è che una volta rimasto solo in campo deve cercare di risolvere la situazione in autonomia - spesso partendo con svantaggi complicati da colmare. Numeri a parte, per Draymond Green il problema è un altro: “Dobbiamo trovare un’identità, capire quali sono i nostri punti di forza e sfruttarli al meglio. Alle volte pensiamo di muovere il pallone, ma poi ci dimentichiamo di farlo con continuità. In difesa lo stesso: un possesso siamo concentrati, quello dopo diventa una passeggiata per i nostri avversari. Dobbiamo porci delle domande: siamo una squadra che vive di isolamenti? Dobbiamo muovere o meno il pallone?”. Domande - al momento senza risposta - che vanno ben oltre il nome dei cinque giocatori che scendono in campo per la palla a due.

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