Ha preso il via a Los Angeles la causa che Vanessa Bryant ha fortemente voluto contro i pompieri e i poliziotti che, giunti sul luogo dell'incidente in cui ha perso la vita il Black Mamba insieme a sua figlia Gianna e ad altre sette persone, scattarono delle foto al cadevere della leggenda dei Lakers
È uno degli aspetti più tristi di quanto successo poco dopo la tragica morte di Kobe Bryant, sua figlia Gianna e di altre sette persone a seguito di un incidente in elicottero sulle colline che circondano Los Angeles: alcuni tra i soccorritori, arrivati a Calabasas per primi per cercare di districarsi in ciò che restava del velivolo e dei corpi, scattarono le foto al cadavere del Black Mamba (poi macabramente circolate in rete). Un atto sconsiderato per il quale Vanessa Bryant chiede giustizia: proprio nelle scorse ore a L.A. ha preso il via un processo in cui l’accusa sostiene che quelli scatti non furono dettati da ragioni investigative, ma dettate da un interesse morboso nel voler documentare - o forse vendere - ogni minimo particolare di una tragedia che ha tenuto banco per settimane sui giornali di tutto il mondo (vista la portata del personaggio). Le foto non sono mai finite sui media, ma questo, secondo la vedova di Bryant, non ha alleggerito la posizione di chi doveva pensare soltanto a garantire il recupero dei corpi e la raccolta di documenti utili all'indagine.