Il confronto più che mai sensato tra il Dream Team '92 e gli Usa 2024

Ogni volta che la nazionale di pallacanestro degli Stati Uniti si presenta alle Olimpiadi con i “pezzi grossi”, il paragone con il Dream Team di Barcellona 1992 diventa inevitabile. Se poi in squadra c’è anche LeBron James, come accaduto nelle edizioni del 2008, del 2012 e quella di quest’anno , il sempiterno confronto con Michael Jordan diventa un argomento di discussione troppo ghiotto per non essere affrontato — anche solo come chiacchiera da bar. Dopo la deludente esperienza ai Mondiali FIBA del 2023, Team USA ha deciso praticamente da subito che per Parigi 2024 si sarebbe presentata con tutt’altri nomi rispetto a quelli messi a disposizione di Steve Kerr per la sua prima esperienza da capo-allenatore della nazionale. Della squadra arrivata quarta a Manila, con tre sconfitte per mano di Lituania, Germania e Canada, sono rimasti solamente due giocatori, Tyrese Haliburton e Anthony Edwards; altri cinque sono tornati a far parte della spedizione olimpica dopo aver vinto l’oro tre anni fa a Tokyo, vale a dire Jayson Tatum, Devin Booker, Jrue Holiday, Bam Adebayo e Kevin Durant; per gli ultimi cinque posti, invece, la federazione capitanata da Grant Hill non ha “badato a spese”, puntando al meglio del meglio in termini di carisma, importanza e talento. Innanzitutto si è assicurata il ritorno di LeBron James, o per meglio dire LeBron James si è prodigato in prima persona per apporre il suo sigillo di regalità alla spedizione parigina, per aggiungere un’altra medaglia al suo già ricchissimo palmares; a lui si è unito Steph Curry, alla sua prima esperienza olimpica prima che diventasse troppo tardi visto che in carriera ha partecipato solo a due Mondiali con Team USA nel 2010 e nel 2014; per far fronte ai grossi problemi sotto canestro evidenziati a Manila è stato richiamato il lungo più forte di questa generazione, vale a dire Anthony Davis ; e dopo un lungo e tira e molla è stato strappato alla Francia nientemeno che l’MVP del 2023 Joel Embiid, un upgrade quanto più necessario sotto canestro visto che da anni gli Stati Uniti faticano a produrre lunghi dominanti. Nei piani iniziali di Hill il dodicesimo posto sarebbe dovuto andare a Kawhi Leonard, due volte MVP delle Finals nonché due volte miglior difensore della lega, ma le condizioni instabili del suo fisico hanno portato la federazione a “tagliarlo” dopo il training camp, convinta probabilmente che a un certo punto del percorso olimpico li avrebbe lasciati per strada per un qualche infortunio muscolare o infiammazione alle ginocchia che ormai stanno diventando croniche. Al suo posto è stato convocato Derrick White, già preallertato durante le Finals vinte con i Boston Celtics e quindi preferito all’MVP Jaylen Brown per una sorta di “prelazione” che gli era stata richiesta con settimane di anticipo in caso di forfait di Leonard. Una decisione che Brown non ha preso per niente bene, ma che in un certo senso spiega l’intera idea che c’è dietro la squadra di Parigi 2024. Nel 1992 infatti il Dream Team originale — la prima squadra formata da professionisti della NBA a presentarsi in una competizione FIBA — nasceva con l’idea di mostrare al resto del mondo il meglio della storia della pallacanestro in quel momento. Non c’era bisogno di chiamare Michael Jordan, Magic Johnson e Larry Bird per vincere l’oro a Barcellona; c’era bisogno di farlo per mettere assieme la squadra più talentuosa di tutti i tempi e usarla come uno spot per il basket in tutto il mondo, ispirando le persone con il carisma e l’attrattiva di quella straordinaria collezione di talenti. La squadra del 2024 invece ha un altro obiettivo: quello di creare la miglior squadra possibile per vincere l’oro, perché mai come in quest’epoca quel traguardo è tutt’altro che scontato. Nel 2021 gli Stati Uniti hanno perso la prima partita contro la Francia e anche nella finale per l’oro hanno passato diversi momenti di sbandamento contro Rudy Gobert e soci, tanto è vero che Gregg Popovich ha definito quella vittoria come "la sensazione più bella che io abbia mai provato nella pallacanestro" . Nel 2024, se possibile, il livello del resto del mondo è ancora più alto, in quello che è stato definito alla vigilia come il miglior torneo di sempre per qualità e quantità delle nazionali coinvolte. Anche grazie all’influenza del Dream Team del 1992, la pallacanestro di oggi è uno sport incredibilmente diverso rispetto a quello di 32 anni fa in termini di talento. A Barcellona erano solamente 7 i giocatori al di fuori del Dream Team che avevano concluso la stagione in un roster NBA, e sono serviti 20 anni prima che diventassero 26 a Londra. Quest’anno invece sono 36, con almeno due giocatori in ciascuna delle 12 squadre coinvolte nel torneo a cinque cerchi con una partita di NBA in carriera. In totale sono 77 su 144 i giocatori con esperienza NBA alle spalle presenti a Parigi 2024, e non stiamo parlando certamente di comprimari. I vari Giannis Antetokounmpo, Nikola Jokic, Shai Gilgeous-Alexander e Victor Wembanyama sono tutti giocatori che hanno vinto o che probabilmente vinceranno l’MVP in carriera, e solo una sconfitta nel preolimpico ha impedito a Luka Doncic di essere presente con la sua Slovenia. In totale sono presenti 11 dei 15 migliori giocatori dell’ultima stagione NBA, con le eccezioni di Doncic e di Domantas Sabonis sconfitti nel preolimpico, di Jalen Brunson non convocato da Team USA e di Kawhi Leonard tagliato prima dell’inizio della competizione. Tutti gli altri sono scesi in campo a Parigi. Per affrontare una competizione del genere, gli Stati Uniti hanno dovuto costruire un roster che bilanciasse talento e senso cestistico in egual misura. Per quanto riguarda il talento, in ogni caso, stiamo parlando di una squadra che può guardare negli occhi anche il Dream Team: sommando i punti realizzati in carriera dai 12 giocatori di Kerr si raggiunge la ragguardevole cifra di 189.038, ben al di sopra dei 145.942 di quelli del Dream Team al tempo di Barcellona 1992 . Anche in termini di riconoscimenti, la squadra del 2024 supera quella del 1992 per numero di convocazioni all’All-Star Game , titoli NBA vinti , giocatori a roster con almeno un titolo in bacheca . Solamente in termini di MVP conquistati la squadra di Barcellona vince, grazie al terzetto Jordan-Magic-Bird che supera gli 8 accumulati da James , Curry , Durant ed Embiid , ma non è impossibile che i vari Edwards, Tatum e Booker nel proseguo delle loro carriere permettano alla squadra di quest’anno di raggiungere i 15 MVP accumulati da quella del 1992 grazie a quelli vinti anche da Barkley, Robinson e Malone oltre gli altri due di MJ. Questo non significa che la squadra del 2024 sia forte quanto quella del 1992, anche perché parliamo di una selezione formata da 11 Hall of Famer , ma che può ragionevolmente sedersi allo stesso tavolo per quanto fatto fino a questo momento. E lo stesso vale se la si mette in paragone con il Redeem Team di Pechino 2008 o la sottovalutata squadra di Londra 2012, che nonostante la presenza di Kobe Bryant in entrambe le edizioni ha vinto molto meno rispetto a quella di quest’anno. Avere a disposizione un LeBron James a carriera quasi conclusa — per quanto ancora ben lontana dalla conclusione, visto che è ancora uno dei migliori in campo alla soglia dei 40 anni — certamente aiuta in questi “confronti di palmares”, ma la squadra di Parigi 2024 se la gioca con chiunque. Se quello di fare la squadra con più riconoscimenti possibili fosse stato l’obiettivo di Grant Hill, però, avrebbe potuto anche operare delle scelte diverse, chiamando ad esempio i vari Jimmy Butler, James Harden, Damian Lillard o lo stesso Jaylen Brown per rimpolpare un po’ il peso “storico” del roster con tutto quello che hanno fatto in carriera. Ma questi USA hanno l’obiettivo di scendere in campo e vincere sia nell’immediato che nelle prossime Olimpiadi da disputare in casa a Los Angeles, trovando il miglior modo per bilanciare il roster costruito attorno ai pilastri James, Curry e Durant. Non è un caso se fino a questo momento coach Steve Kerr ha sempre schierato in campo almeno uno tra Jrue Holiday e Derrick White , i migliori difensori perimetrali a disposizione per mettere pressione sul punto di attacco. Allo stesso modo, nella “second unit” giocano solitamente insieme Bam Adebayo e Anthony Davis, che possono scambiarsi nella posizione di 4 e di 5 per rendere la vita impossibile alle riserve avversarie che hanno l’ingrato compito di doverli affrontare, fornendo a Kerr una versatilità difensiva invidiabile. A tutto il resto ci pensa invece il carisma e il talento di James, Curry e Durant, che da giocatori che hanno segnato quest’epoca di pallacanestro sono chiamati a prendersi le maggiori responsabilità quando il pallone si fa più pesante. In una squadra del genere, inevitabilmente, a farne le spese per primo è stato Jayson Tatum, tenuto per 40 minuti in panchina all’esordio contro la Serbia nonostante sia un campione NBA in carica e tre volte primo quintetto All-NBA negli ultimi tre anni. Lo stesso vale per Tyrese Haliburton, sacrificato da Steve Kerr per le sue mancanze difensive in favore della stabilità e della versatilità fornita da White. Ma il discorso vale anche per tanti altri giocatori abituati a dominare nelle rispettive franchigie e ora chiamati a ricoprire un ruolo decisamente più contenuto: dal modo in cui i vari Embiid, Booker, Edwards e Tatum riusciranno a mettere da parte il proprio ego e a concentrare il proprio impatto in pochi e selezionati momenti della partita dipenderanno molti dei destini di questa squadra, ma almeno fino a questo momento i segnali sono stati incoraggianti. Manca chiaramente la parte più importante: vincere l’oro, senza il quale ogni spedizione di Team USA viene considerato — a torto o a ragione — un fallimento.

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