Wembanyama, un anno dopo non ci sono già più dubbi

Solamente dodici mesi fa, era legittimo avere qualche dubbio su Victor Wembanyama. Dopo essere stato scelto alla numero 1 del Draft dai San Antonio Spurs e aver fatto intravedere lampi del suo talento in Summer League, il francese aveva deciso di saltare i Mondiali con la nazionale francese per prepararsi al meglio alla sua prima stagione in NBA. Immediatamente tutti hanno pensato che fosse una questione fisica, provando a gestire un corpo che sembra arrivato direttamente dal futuro — perché in passato si sono visti giocatori alti anche più dei suoi 224 centimetri, ma nessuno con la sua fluidità di movimento e la sua leggerezza in campo. E quando qualcosa che non conosciamo appare davanti ai nostri occhi è immediato avanzare dei dubbi sulla sua veridicità, come se fosse una "fake news" da debunkare: in tanti erano convinti — e forse lo sono ancora — che "uno con quel corpo non può non infortunarsi al primo contatto", motivo per cui andarci coi piedi di piombo era sembrata cosa buona e giusta. In Francia avevano accettato il suo "no" alla competizione disputata nelle Filippine con il patto neanche troppo implicito di averlo a disposizione per i Giochi Olimpici da disputare in casa, nel quale tutti si aspettavano che un giocatore di appena 20 anni potesse trascinare la squadra a una medaglia pur in uno dei tornei più talentuosi di sempre. Giusto per mantenere basse le aspettative. Facendo fast forward fino a oggi, possiamo dire che Wembanyama ha risolto tutti i dubbi che potevano esserci su di lui, prima in NBA e successivamente anche con la nazionale — e non è un traguardo da poco, per quanto sia passato pressoché in sordina. Perché con Wemby si tende a pensare solo a quello che potrà fare in futuro, perdendo di vista quello che ha già fatto nel presente. Nessuno dubitava che Wembanyama potesse avere impatto da subito, ma così tanto impatto? Il record finale dei San Antonio Spurs di 22 vittorie e 60 sconfitte ha nascosto quanto sia stato clamoroso l’apporto del francese nei minuti in cui è stato schierato in campo, per certi versi anche per volontà neanche troppo nascosta della franchigia. Gli Spurs hanno cominciato la stagione con Jeremy Sochan da playmaker e Zach Collins da centro titolare, due decisioni che appaiono lunari già a 12 mesi di distanza e che con il passare del tempo sembrano sempre più due scelte per "azzoppare" la prima parte di stagione e assicurarsi un record tra i peggiori della conference e, di conseguenza, una scelta alta al Draft. Non a caso 30 delle 60 sconfitte stagionali sono arrivate fino al 7 gennaio, mentre da lì in poi i texani hanno chiuso con un onesto 17-30 e con un record al 50% nell’ultimo mese di regular season. Wembanyama ha cominciato la stagione giocando da "4" e il suo talento, per quanto evidente fin da subito , è sembrato castrato. Nei 580 possessi in cui Wembanyama, Sochan e Collins hanno giocato insieme il differenziale su 100 punti degli Spurs è stato un tragico -18, incapaci di segnare in attacco e a malapena mediocri in difesa. Già solo togliendo Collins dall’equazione il differenziale risale a un neutro +0.5 su 100 possessi , ma è aggiungendo un playmaker "vero" come Tre Jones — certamente non il primo della pista, ma comunque un solido giocatore NBA nel trattare il pallone — che il rendimento della squadra è salito a +5.2 di rating, che su base stagionale porrebbero gli Spurs nella top-5 della lega davanti ai New York Knicks. Detta in altri termini: gli Spurs ci hanno messo un po’, ma con l’andare della stagione hanno capito che Wembanyama per rendere al meglio deve giocare da unico lungo e deve avere un playmaker in grado di servirlo nelle sue zone di campo preferite, mettendolo nelle migliori condizioni per mostrare tutto il meglio del suo sconfinato repertorio. Giocando da 5, poi, diventa molto più semplice essere al centro dell’azione in difesa, dove con il passare del tempo la sua presenza si è fatta sempre più soverchiante — tanto che per molti il premio di difensore dell’anno sarebbe dovuto andare a lui e non al connazionale Rudy Gobert. Anche con la nazionale francese si è ripetuto quanto si era già visto in stagione a San Antonio. Il CT dei transalpini Vincent Collet — che lo aveva già allenato al Metropolitains 92 nell’ultimo anno di Wemby in Europa — ha fatto tutta la preparazione e ha affrontato il gruppo del torneo olimpico schierando Wembanyama insieme a Rudy Gobert nel quintetto base, ma la squadra ha balbettato sia nel percorso di avvicinamento ai Giochi e superando il girone con una miracolosa vittoria al supplementare contro il Giappone grazie al gioco da 4 punti di Matthew Strazel a 10 secondi dalla fine dei regolamentari. Dopo aver perso contro la Germania nell’ultima gara del gruppo, tutto è cambiato quando Collet ha stravolgere il suo reparto lunghi: fuori Gobert dal quintetto e quasi interamente dalla rotazione , dentro un 4 di ruolo come Guershon Yabusele e più minuti a un lungo interno come Mathias Lessort, ma soprattutto maggiore spazio a Wembanyama per giocare la sua pallacanestro in attacco ma soprattuto in difesa. Le cifre individuali non testimoniano il cambiamento perché contro Canada e Germania il lungo degli Spurs ha litigato col tiro , ma i risultati di squadra sì: la difesa francese con Wembanyama al centro delle operazioni è diventata impenetrabile, concedendo appena 73 punti al fortissimo Canada di Shai Gilgeous-Alexander e solo 69 alla Germania campione del mondo, che solo pochi giorni prima ne aveva realizzati 85 contro di loro dominando a Lille. La Francia non è stata quasi mai una bella squadra da vedere, ma la presenza di Wembanyama al centro della difesa ne ha cambiato le prospettive trascinandola fino a una medaglia — e a soli 20 anni con quel tipo di pressioni sulle spalle è un risultato che in nessun modo andrebbe fatto passare sotto silenzio, anche perché la Francia non sembrava attrezzata quanto altre nazionali. Anche in finale contro gli Stati Uniti è servita una prestazione sovrumana di Steph Curry negli ultimi tre minuti di partita per evitare che la Francia guidata dai 26 punti e 7 rimbalzi di Wembanyama completasse una rimonta che era arrivata fino al -3 tenendo l’attacco di Team USA a soli 10 punti nel quarto periodo prima della sfuriata di Curry. Quindi, in definitiva, che cosa abbiamo imparato dal primo anno di Wembanyama al più alto livello del mondo? Che l’hype che si era creato attorno a lui era più che giustificato, e che i dubbi sul suo fisico così particolare erano poco fondati, visto che ha disputato 71 partite in regular season senza mai saltarne più di due in fila. Che già adesso, se messo nelle condizioni migliori, è un giocatore in grado di cambiare i destini della sua squadra quantomeno nella metà campo difensiva, indifferentemente che sia in NBA o in area FIBA. E che i limiti del suo gioco offensivo sono ancora tutti da esplorare, ma che è già molto più avanti di quanto ci si potesse aspettare — specialmente come passatore, che inizialmente sembrava poter essere uno dei suoi punti deboli e invece è più che adeguato, sfiorando i 4 assist di media con gli Spurs e distribuendone 20 in 6 partite con la Francia alle Olimpiadi. Soprattutto, che non c’è bisogno di aspettare per godersi il prossimo dominatore del basket mondiale: Victor Wembanyama è già qui ed è pronto per prendersi tutto.

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Wembanyama, un anno dopo non ci sono già più dubbi