Tony Snell e quell'ultimo anno in Nba per combattere l'autismo

Da almeno un trentennio la Nba è all’avanguardia sotto ogni aspetto dello sport. La rivoluzione del gioco, iniziata con la rivalità Magic-Bird negli anni Ottanta e culminata con Jordan e i suoi Bulls durante i Novanta, ha portato il basket americano a un livello di popolarità e di intrattenimento ben più alto rispetto a quello a cui siamo abituati in Europa. Questa consapevolezza della qualità del suo ‘prodotto’ ha portato la Nba a uniformarsi a questi standard anche per quanto riguarda il salario e, soprattutto, il trattamento che viene riservato ai suoi atleti. Dal 2011 infatti, esiste il Collective Bargaining Agreement, o CBA, un accordo formale tra la lega e il sindacato dei giocatori che tutela i cestisti da ogni possibile forma di sfruttamento e di mercificazione da parte della Nba. Il CBA attuale – valido dal 2023 e ridiscusso nei termini ogni 6 stagioni – è un documento suddiviso in 42 articoli, per un totale di 676 pagine, che approccia ogni possibile sfumatura della vita di ognuno degli atleti passati in Nba dal 1965 in poi. Non esattamente una lettura serale da tenere sul comodino. Fatta questa premessa, arriviamo al cuore della storia di oggi. Al quarto articolo del CBA vengono elencati i benefit degli atleti a carriera finita. Tra questi, viene anche prevista un’assicurazione sanitaria per tutti coloro che sono passati dalla Nba , con gradi diversi a seconda degli anni passati nella lega: il minimo per avere diritto alla polizza sono 3 stagioni, passate le quali ogni atleta ha diritto a delle agevolazioni per i ricoveri, le terapie e i farmaci; chi arriva a 7 stagioni ha invece diritto a una copertura totale solo e soltanto per sé stesso, mentre solo dalle 10 stagioni in su l’assicurazione è completa al 100% anche per i membri del nucleo familiare. È proprio il caso di Tony Snell, 20esima scelta al draft del 2013 , uscito dalla Nba nel 2022, dopo aver terminato la sua nona stagione di militanza nella lega. Scaduto il contratto con i New Orleans Pelicans, ultima franchigia di cui ha vestito la maglia, Snell non è stato più contattato da nessuna delle 30 squadre della Nba, dovendosi accontentare di un contratto con i Maine Celtics, l’affiliata in G-League dei Boston Celtics. Nell’agosto del 2023, pochi mesi dopo il suo arrivo in Maine, ha sostenuto un provino con Steph Curry e i Golden State Warriors, senza essere ingaggiato. Snell è tornato così a giocare per i Celtics, dove è rimasto fino al 2 ottobre di quest’anno, prima di essere scambiato ai Sioux Falls Skyforce, un’altra formazione di G-League con sede in Sud Dakota e affiliata ai Miami Heat. Più di due anni senza calcare un parquet Nba, quando a Snell basterebbe anche scendere in campo solo per una partita. Questo perché, come detto prima, il prodotto del college del New Mexico è arrivato a nove stagioni tra i pro, e per il regolamento della lega basterebbe scendere sul parquet ancora una singola volta per far scattare il decimo anno di militanza in Nba. Solo e soltanto per l’assicurazione sanitaria: “Voglio tornare a giocare, ma ora ho uno scopo più grande. Voglio aiutare i miei ragazzi”. Queste dichiarazioni, rilasciate nel gennaio 2024, non sono le parole di un giocatore di basket, ma di un papà. Snell ha infatti due figli, Karter e Kenzo, di 4 e 3 anni, entrambi con una diagnosi di disordine dello spettro autistico, che è stata riscontrata anche nello stesso Snell dopo gli esami a cui sono stati sottoposti i bambini. “È qualcosa di cui ho bisogno per mia moglie e per i miei figli”: l’appello è stato lanciato, senza successo, poco prima della chiusura del mercato scambi, nella speranza che qualche squadra gli garantisse un contratto fino a fine stagione e facesse scattare l’assicurazione totale anche i piccoli Snell. Una richiesta che era stata rilanciata anche da Charles Barkley, ex giocatore e opinionista del noto show ‘Inside the Nba’, durante una puntata in diretta nazionale. Pur essendo passato dalla Nba per diverse stagioni, Snell non è mai stato un giocatore di primo livello, ma solo un buon gregario, e ciò ha portato i suoi guadagni in carriera ben al di sotto di quelli che sono gli assegni a 8 zeri delle superstar della National Basketball Association. Pagare le bollette mediche dei suoi figli per tutta la vita sarebbe un duro colpo per le finanze della famiglia Snell, che sta cercando un’ultima possibilità in Nba per avere delle grosse agevolazioni almeno da questo punto di vista. Il disturbo dei bambini è stato scoperto quasi per caso, dopo che una babysitter ha fatto notare a Tony e alla moglie Ashley che il figlio maggiore, Karter, aveva degli evidenti problemi di comprensione e di comunicazione, oltre a un costante bisogno di avere le mani sempre piene di giochi. Consultato uno specialista, la diagnosi: disturbo grave dello spettro autistico. Stessa diagnosi anche per il figlio minore, Kenzo, e anche per papà Tony , che ha ripensato alla sua infanzia e alla sua adolescenza, fatta di solitudine e di problemi relazionali, prima di sottoporsi a sua volta al test. “Mi sono sentito sollevato dopo l’esito dell’esame”, ha raccontato Snell, “Ho sempre sentito di essere diverso e adesso so il perché”. Una felicità passeggera, che ha lasciato in fretta il posto all’istinto paterno e alla preoccupazione per il futuro dei suoi figli. Da qui la ricerca spasmodica di un ultimo giro in Nba, senza più ambizioni di gloria personale, ma solo per il benessere della sua famiglia. A 33 anni, con un buon curriculum da 3&D ma con una carriera in evidente calo, le speranze di Tony Snell di rientrare sulla giostra del basket a stelle e strisce si stanno assottigliando, ma lui non demorde. Ha davanti a lui una stagione da giocare con i Sioux Falls Skyforce, ovviamente al meglio delle sue possibilità. Basterebbe un’ultima chiamata, un ultimo contratto, per fare felice non tanto un grande giocatore, quanto un grande papà.

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