Chi vince l'anello NBA quest'anno? Non lo so...

Mentre picchio sui tasti del computer, non fatico a dire che da una parte Boston per le sue sicurezze e dall’altra Oklahoma City per la sua freschezza, aspettando Porzingis e Hartenstein, sono due nomi che si potrebbero anche fare. Se però tra sei mesi dovessero essere Celtics e Thunder a scendere in campo per Gara 1, ciò non farebbe di questa previsione un vaticinio. E se le finaliste dovessero essere altre due, di certo non si tratterebbe di una previsione 'sbagliata'. Perché una previsione, una qualsiasi, è insensata. Le previsioni, infatti, sono basate sulla quantità e qualità delle informazioni detenute da chi le formula. Vivendo all’esterno delle organizzazioni, gli addetti ai lavori maneggiano informazioni assai parziali, perché le autentiche dinamiche interne sono note solo ai membri dell’organizzazione stessa. Di più, la forza della narrazione unica rende queste informazioni sempre più uniformi. Noi che siamo fuori, semmai, siamo esposti a versioni nella migliore delle ipotesi edulcorate, nella peggiore manipolate. Inoltre, a inizio stagione non abbiamo un campione significativo, né in senso strettamente statistico né in senso lato. I Celtics godono al momento della serenità che appartiene a tutte le squadre che hanno terminato la stagione precedente facendosi la doccia con lo champagne, ma pian piano, con lo scorrere del tempo, quella serenità perde rilevanza. I Thunder viaggiano sull’onda dell’entusiasmo, ma prima o poi la palla comincerà a pesare di più. Il tempo rende sì il campione più significativo, ma il suo inesorabile incedere porta con sé piccoli e grandi accadimenti che mutano, a volte drasticamente, quel campione. Tra qui e il 5 giugno ci saranno infortuni e trade, e già questo dovrebbe bastare. Ci saranno eventi esterni che influenzeranno la vita dei singoli e quella dei gruppi. Tutte cose che, per fortuna, non è possibile prevedere. Altrimenti analizzare lo sport sarebbe noiosissimo. La Dallas di due terzi della stagione passata non sembrava una squadra da titolo perché… non lo era. Il passato prossimo, vedi l’inglorioso finale della stagione 2022-2023, indicava un gruppo sul disfunzionale andante, nel quale era stato inserito quello che la vox populi indicava come l’agente più destabilizzante della lega. Poi Kyrie Irving, che continua a pensare e a dire sul Medio Oriente e su altri temi ciò che pensava e diceva prima, è uscito dal cono di attenzione mediatica. Qualcuno, un po’ distratto prima per la verità, ha scoperto che a basket sa giochicchiare. Alcuni veterani hanno colto al balzo l’occasione, certi astri si sono allineati e i Mavericks hanno trovato un equilibrio che li ha portati a un passo, quello più difficile da fare, dal titolo. Che garanzie ci sono che, una volta trovatolo, questo equilibrio regga sine die? Poche, anche se potrebbe durare per cent’anni. Tutti ci illudiamo, quando ci imbattiamo in una ricetta che funziona, che uno stato di grazia sia eterno. In fondo però sappiamo bene, per nostra natura, che eterno e umano insieme non stanno. Sia ben chiaro, ciò non significa che non si possano analizzare le cose. Solo, in questo specifico campo quelle cose mutano a una velocità impressionante. E non sempre il cambiamento coincide con un avvenimento sensazionale. Può bastare un piccolo evento, spesso esterno, a spezzare o creare dei legami, a mostrare una soluzione che un minuto prima non c’era o ad avviare un gruppo verso il tunnel della crisi. Il 5 giugno, per Gara 1 di Finale, andranno in campo le due squadre che nell’arco di sette mesi e passa hanno superato più trappole, perché le difficoltà di oggi sono il viatico per il successo di domani. Le altre ventotto, fatto salvo che parecchie non hanno alcuna reale possibilità di arrivare in fondo, saranno rimaste in quelle trappole o, semplicemente, le avranno gestite peggio di quelle due. Quali sono quelle due? Ah, saperlo…

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