NBA, Cleveland imbattuta, ora la sfida ai Celtics: viaggio nell’inizio dei Cavs

Neanche il tifoso più ottimista dei Cleveland Cavaliers avrebbe mai potuto aspettarsi un inizio di stagione da 15 vittorie e zero sconfitte. O per meglio dire: non avrebbe mai potuto aspettarselo con un roster pressoché identico rispetto a quello che lo scorso anno ha faticato enormemente a superare il primo turno contro gli Orlando Magic ed è stato eliminato senza appello dai Boston Celtics in una serie molto meno equilibrata del 4-1 finale con cui si è conclusa. La scorsa estate è finita sotto accusa la peculiare composizione del roster dei Cavs, che si basa sulla presenza contemporanea di giocatori con caratteristiche molto simili. Per molti versi le guardie Darius Garland e Donovan Mitchell in campo fanno le stesse cose, così come i lunghi Evan Mobley e Jarrett Allen sono due ‘doppioni’ della stessa collezione di figurine: come può funzionare una squadra che ha, nei suoi quattro giocatori più forti, una ridondanza di pregi e difetti così evidenti? Mentre tutto il mondo esterno chiedeva a gran voce di distruggere questo nucleo cedendone uno o più interpreti e di ricostruire la squadra con altre premesse e con altri giocatori, la dirigenza guidata da Koby Altman ha mantenuto la calma e ha individuato il problema nella sua guida tecnica, vale a dire l’allenatore JB Bickerstaff. Non è stata una scelta indolore: Bickerstaff era estremamente apprezzato dalla dirigenza e i risultati erano dalla sua parte, avendo sempre migliorato la squadra nei quattro anni in cui l’ha allenata e portandola a vincere una serie di playoff senza LeBron James come non capitava dal 1992-93. Ma i continui spifferi di tensioni in spogliatoio, in particolare per un rapporto non idilliaco con la stella Mitchell, hanno portato Altman a prendere la decisione di licenziarlo, affidandosi invece a Kenny Atkinson. L’impatto nascosto di Kenny Atkinson L’ex allenatore dei Brooklyn Nets non ha cambiato più di tanto lo stile di gioco della squadra, anche perché gli interpreti sono gli stessi dello scorso anno, ma ne ha sicuramente rasserenato gli animi portando calma e competenza. Avere un rapporto pregresso con Jarrett Allen e Caris LeVert, già avuti e lanciati ai tempi dei Nets, ha sicuramente dato una mano col suo inserimento, così come aver ricevuto l’approvazione di Mitchell, che ha avuto voce in capitolo sulla scelta del coach prima di apporre la firma sulla sua estensione di contratto da 150 milioni di dollari in tre anni. Il fatto è che Atkinson non ha dovuto mettere così tanto mano alla squadra perché i Cavs funzionavano già bene così com’erano. Negli ultimi due anni avevano vinto prima 51 e poi 48 partite in regular season, ma questo secondo dato è fortemente influenzato dai grandi problemi di infortuni avuti da Garland , Mitchell e Mobley , altrimenti Cleveland avrebbe potuto confermarsi sopra quota 50 vittorie anche nella passata stagione — la quota che solitamente separa le ottime squadre da quelle solo buone. Anche osservando le statistiche avanzate non si notano differenze enormi rispetto al passato. I Cavs hanno un’ottima selezione di tiro , ma l’avevano già lo scorso anno e concedono la stessa tipologia di conclusioni agli avversari rispetto all’era Bickerstaff . Non vanno di più in transizione , non vanno a rimbalzo d’attacco e non si procurano tanti viaggi in lunetta, né sono particolarmente migliorati rispetto allo scorso anno nel forzare palle perse . Come si spiega allora il 15-0 con cui sono partiti? Il motivo è molto semplice ed è anche il più banale: i Cavs stanno facendo sempre canestro. La loro percentuale effettiva al tiro — considerando quindi il peso diverso delle conclusioni da due e tre punti — è un astronomico 61.2%, tre punti percentuali sopra quella dei Boston Celtics secondi in questa tipologia di dato. Per dare un riferimento: siamo dalle parti della miglior stagione al tiro di Steph Curry, che nella leggendaria annata 2015-16 viaggiò col 63% effettivo al tiro. Mai nessuna squadra ha tirato così bene lungo le 82 partite della regular season. Anche limitandosi al tiro da tre punti, i Cavs stanno tirando col 41.9% dall’arco di squadra, la seconda miglior percentuale di sempre dietro al 42.8% con cui tirarono gli Charlotte Hornets nel 1996-97 — i quali però tentavano meno di 17 conclusioni di media a partita, mentre questi Cavs se ne prendono 37.1 . Restringendo tutto ai minimi termini: Cleveland si prende buonissimi tiri e li sta segnando con percentuali sensazionali, anche perché gioca con una leggerezza d’animo diversa rispetto alla scorsa stagione. La diversa atmosfera in spogliatoio e il coinvolgimento della panchina Tutti i membri più importanti del roster infatti sono sotto contratto a lunghissimo termine, visto che la prima possibilità di diventare free agent per uno dei ‘Big Four’ avverrà solo nell’estate del 2027, con una player option in favore di Mitchell. L’unico con un futuro incerto è Caris LeVert, che però a 30 anni sta sfruttando il pungolo motivazionale del contratto in scadenza per disputare la stagione più completa della sua carriera, selezionando meglio i suoi tiri e diventando un giocatore più efficiente per avere un impatto gigantesco ogni volta che scende in campo . LeVert è solo la punta di diamante di una panchina che funziona benissimo, sopperendo alla grande all’assenza del teorico ‘quinto titolare’ Max Strus, fuori per infortunio sin dall’inizio della stagione. Isaac Okoro e Dean Wade si sono spartiti i suoi minuti con i titolari, ma è quando entrano i vari Ty Jerome, Sam Merrill e Georges Niang insieme a LeVert che si nota il grande lavoro di Atkinson, che concede almeno 17 minuti a partita a dieci giocatori diversi, permettendo a tutti di sentirsi importanti e di trovare il proprio ritmo in attacco. Quanto dureranno i Cleveland Cavaliers Un rendimento del genere è destinato a durare? Il fenomeno della ‘regressione verso la media’ suggerisce di no: arriverà un momento in cui le percentuali dei Cavs torneranno sulla terra e cominceranno ad arrivare delle sconfitte, per quanto il loro rendimento difensivo sia più che sostenibile . Già martedì notte sul campo dei campioni in carica dei Boston Celtics potrebbe arrivare la prima sconfitta stagionale, e non ci sarebbe niente di strano: i biancoverdi hanno un rendimento offensivo persino superiore al loro e sono gli assoluti favoriti a difendere il titolo conquistato un anno fa. Anche un’eventuale sconfitta però non cancellerà le 15 vittorie consecutive accumulate finora, come solamente altre tre squadre nella storia della NBA . Se invece dovesse arrivare la sedicesima, allora non ci potranno più essere dubbi che questi Cavaliers sono la minaccia più seria al repeat dei Celtics come campioni a Est. O forse probabilmente lo sono già, e quello nella notte tra martedì 19 e mercoledì 20 novembre sarà il primo assaggio di un appuntamento fissato per fine maggio in finale di conference.