La storia di Marcus Smart: l'NBA in una promessa, schivando i proiettili

Dopo una stagione di transizione nella parte bassa della classifica per colpa dei tanti, troppi infortuni di squadra dello scorso campionato, i Memphis Grizzlies sembrano essere tornati pronti e agguerriti per dare battaglia e andare lontani nella lunga cavalcata dei playoff NBA. Le gerarchie all’interno della squadra sono ben delineate: Ja Morant è l’indiscussa superstar, Desmond Bane e Jaren Jackson Junior i suoi pretoriani, a cui si aggiungono il promettente rookie Zach Edey e i talentuosi GG Jackson e Santi Aldama. Ma un ruolo molto importante all’interno del roster non può non averlo anche Marcus Smart, ex Boston Celtics, grande difensore e grande leader all’interno dello spogliatoio, un po’ dimenticato dopo il suo arrivo in Tennessee per via dei troppi infortuni che hanno rovinato la sua prima stagione con la canotta dei Grizzlies. Sbarcato in NBA con la sesta chiamata assoluta al Draft del 2014 , Marcus Smart nel corso delle sue dieci stagioni tra i professionisti si è guadagnato lo status di giocatore generoso e affidabile, dotato di grande leadership e pronto a colmare le sue lacune tecniche con la grinta e l’impegno, un ‘cagnaccio’ difensivo con una naturale propensione per rendere la vita difficile alle guardie avversarie. Al termine della stagione 2021-22, come detto, ha vinto il premio di difensore dell’anno, un riconoscimento che nel suo ruolo mancava addirittura dai tempi di Gary Payton, nel 1996. Per Smart dare tutto se stesso sul parquet non richiede sforzo, è anzi una propensione naturale figlia della sua storia personale, fatta di sacrifici, di un’infanzia travagliata e di una promessa che vale quanto la sua stessa vita. Per conoscerla, però, serve fare un flashback di qualche anno. Dallas, Texas. Gennaio 2004. Un uomo afroamericano di 33 anni, Todd Westbrook, giace privo di conoscenza nel suo letto d’ospedale. A tenerlo in vita solo un macchinario perché, come riferiscono i dottori, è ormai cerebralmente morto, nonostante il cuore stia ancora battendo. La famiglia, riunita al suo capezzale, deve solo decidere quando staccare la spina del respiratore: dopo 15 anni di lotta il cancro - scoperto durante gli ultimi mesi di liceo, partito dall’occhio sinistro e poi arrivato col tempo a intaccare lo stomaco - ha avuto la meglio. L’ultimo a raggiungere la stanza per salutare il fratello è il giovane Marcus Smart, solo 9 anni al tempo, nato da un secondo matrimonio della madre Camellia ma cresciuto sotto lo stesso tetto insieme a Todd e ad altri due fratelli nel quartiere di Lancaster, un sobborgo di Dallas noto per criminalità organizzata e spaccio di droghe. Lo stesso Smart ha rievocato l’episodio di recente in un podcast: "Sono arrivato all’ospedale e tutta la mia famiglia stava piangendo", ha raccontato la guardia dei Grizzlies. "Sono entrato nella stanza e ho visto mio fratello sdraiato a letto, come addormentato. Gli ho toccato un piede, sentendo solo il freddo del suo corpo. Allora mi sono sdraiato di fianco a lui, l’ho baciato e gli ho detto che gli avrei sempre voluto bene, e che da oggi avrei pensato io a tutti". Parole non certo banali per un bambino di nemmeno 10 anni, ma che vanno contestualizzate applicandole alla realtà della famiglia Smart. Una volta uscito dalla camera d’ospedale, infatti, il giovane Marcus viene preso in disparte dai due fratelli rimasti, Jeff e Michael, che gli danno in mano le chiavi della famiglia: “Non piangere, asciugati le lacrime. Io e lui abbiamo rovinato tutto [facendo riferimento ai problemi di spaccio e consumo di droga, ndr], e l’unico tra noi che poteva combinare qualcosa di buono se n’è appena andato. La mamma non ha più nessuno su cui fare affidamento: se dovessi fallire tu cosa ne sarà di tutti noi?”. Le possibilità di sopravvivenza della famiglia vengono tutte riposte in Marcus e nella sua capacità di giocare a basket, sport di cui si è innamorato proprio grazie al defunto fratello Todd, prodigio liceale a fine anni ’80 e modello di riferimento di Smart. Ma a Lancaster è molto più facile venire sopraffatti che riuscire a emergere. Durante gli anni dell’adolescenza, infatti, nonostante la promessa fatta al fratello e alla madre, il giovane Marcus comincia a frequentare alcune baby gang locali e un giorno – in compagnia di un amico, entrambi annoiati - Marcus scaglia alcune pietre contro un ciclista di passaggio, senza sapere che l’uomo è un membro dei ‘Bloods’, una pericolosa banda criminale della zona. Il gangster estrae la pistola e comincia a sparare ad altezza d’uomo, con il chiaro intento di uccidere. I colpi soffiano vicino alle orecchie di Marcus, che a soli 12 anni ha già dovuto fare più volte i conti con la morte. Come quella volta in cui uno dei suoi due fratelli maggiori, Michael , era sparito di casa per più di un mese, prima di essere ritrovato in ospedale in fin di vita per colpa di un’overdose di cocaina. È la cosiddetta goccia che fa traboccare il vaso: dopo aver perso un figlio per un tumore e averne quasi visto morire un altro per via della droga, mamma Camellia decide di approfittare dell’aiuto di alcuni amici per spostare tutta la famiglia a Flower Mound, un quartiere dalla parte opposta di Dallas, molto più tranquillo rispetto al clima da guerriglia urbana a cui gli Smart si erano abituati a Lancaster. Senza più il timore di trovare un conflitto a fuoco a ogni angolo, il giovane Marcus Smart, ormai quattordicenne, può incanalare tutta la sua grinta nel basket, dove diventa presto un prospetto che si fa notare per il suo talento e per la sua tenacia. Nei tre anni spesi alla 'Edward S. Marcus High School' porta la squadra a un record complessivo di 115 successi e 6 sole sconfitte, vincendo due volte il titolo dello stato, venendo nominato McDonald’s All American e finendo nel primo quintetto della nazione redatto da ESPN. Il nuovo contesto in cui vive la famiglia porta Marcus a sbloccare completamente il suo potenziale cestistico: accetta l’offerta di Oklahoma State, college con un programma sportivo di primo livello negli Stati Uniti. Veste la casacca dei Cowboys per due anni, realizzando in media 16 punti, 4 assist e 6 rimbalzi a serata e portando la squadra al torneo NCAA in entrambe le stagioni. Qui Smart si crea lo status di giocatore completo, molto grintoso, con la nomea di specialista difensivo che lo porterà ad approdare in NBA con la sesta chiamata assoluta al Draft del 2014. Quella grinta figlia dell’istinto di sopravvivenza con cui girava per le strade di Lancaster oggi viene riversata soltanto sul parquet, mentre gli incassi da professionista hanno consentito a Marcus di provvedere ai bisogni di tutta la famiglia. I suoi fratelli si sono messi alle spalle i problemi con la droga mentre papà e mamma sono stati i suoi primi tifosi fin dall’esordio con la maglia dei Celtics. Almeno fino al settembre 2018, quando Camellia Smart è venuta a mancare, proprio per quello stesso tumore allo stomaco che aveva portato via il primogenito Todd in una fredda giornata di gennaio di 14 anni prima. “Non esiste abbastanza tempo nel mondo, né esistono parole adatte per spiegare quanto ti amo e quanto mi mancherai. Riposa in pace Camellia Smart, la donna più forte che abbia mai conosciuto, mia madre, finché un giorno non ci rivedremo”, è stato il suo messaggio di addio nel giorno del funerale, rincuorato dai compagni di squadra e dai tifosi. Oggi Marcus Smart non è più un giocatore dei Celtics, ma l’attaccamento alla maglia e all’ambiente di Boston non è diminuito, tanto da aver festeggiato sui social la vittoria del campionato dei suoi ex compagni nello scorso giugno. Il bullo che rischiava di finire nei guai per le strade di Lancaster non c’è più, e oggi ha lasciato il posto a un uomo che sa scendere a patti con i suoi demoni interiori, avendoli forse addirittura sconfitti. Tranne sul parquet, dove il vecchio Marcus viene ancora fuori. Ma solo per foga agonistica, non più per voglia di riscatto: la vecchia promessa, quella fatta alla sua famiglia, ormai può dire di averla mantenuta.