Quando l'acqua ti dona una nuova vita: intervista con Giulia Terzi

29 anni, 4 interventi chirurgici, 2 lauree, 9 medaglie delle Paralimpiadi, di cui le ultime quattro a pochi mesi dal parto. Nella vita di Giulia Terzi sono già successe abbastanza cose per poterci scrivere un libro. Giulia soffre di una forma grave di scoliosi congenita, una patologia che comporta una deviazione della colonna vertebrale. Il nuoto come forma di riabilitazione che poi diventa molto di più di un semplice sport: diventa quasi una ragione di vita. È proprio in vasca che conosce Stefano, amico, compagno di vasca e papà di Edoardo, il loro primo figlio. E pur nella consapevolezza delle sue condizioni di salute, Giulia non perde il sorriso né l'occasione per andare nelle scuole a parlare con i bambini, per sensibilizzare le nuove generazioni sulla disabilità e cosa significhi essere un atleta paralimpico. Cominciamo dal principio: come ti sei avvicinata alla piscina, come sei andata verso questo tipo di carriera? "Il nuoto non è stato una novità assoluta per me, l’ho praticato da piccolissima prima di passare alla ginnastica artistica a 5 anni. Durante l’adolescenza però la mia patologia alla colonna è degenerata, tanto che ho dovuto smettere con la ginnastica. Ho indossato per 9 mesi un gesso alla schiena, e in seguito un corsetto, che ho tenuto per 4 anni e mezzo, 23 ore su 24 al giorno. Finite queste terapie ci siamo resi conto che la situazione non era migliorata, anzi, tant’è che nel 2015, nel 2017 e nel 2018 sono andata sotto ai ferri per degli interventi di stabilizzazione della colonna e mi hanno sostituito alcune vertebre con degli innesti di ferro. Dopo l’ultimo intervento nel 2018 ci sono stati dei coinvolgimenti a livello midollare che mi hanno costretta in sedia a rotelle. Durante la fase di riabilitazione il neurochirurgo mi ha suggerito di provare con il nuoto, perché vista la condizione della mia schiena sarebbe stato sconsigliato fare delle attività troppo “sedentarie”, come la scherma, o qualsiasi altro sport che prevede il sollevamento di pesi. All’inizio non ero molto convinta dell’idea. Abbiamo cercato una realtà paralimpica in zona che mi garantisse degli obiettivi, perché sono una persona che ha bisogno degli stimoli giusti, e così dopo pochi mesi di ricerca ho conosciuto il mio attuale allenatore e sono finita a Milano, a nuotare per la Polha-Varese, con cui sono tuttora. Dopo poco ho partecipato ai campionati italiani e ho visto che i tempi erano interessanti per una eventuale convocazione in nazionale, quindi ho avviato tutto l’iter burocratico di classificazione internazionale per poter competere all’estero e dal 2019 sono entrata nel giro delle convocazioni. Nello stesso anno ho fatto il Mondiale, nel 2021 l’Europeo e le prime Paralimpiadi e nel 2022 un secondo Mondiale. Poi nel 2023 mi sono presa una pausa dalle gare per la gravidanza e quest’anno sono tornata in vasca, prima con un altro Europeo e poi con i Giochi di Parigi appena terminati". Come hai approcciato la piscina dopo i mesi di pausa per la gravidanza? "In tutta onestà il ritorno in vasca era l’ultimo dei miei pensieri. Quando con il mio compagno Stefano abbiamo deciso di cercare di avere un bambino mi sono detta che non ci sarebbero state conseguenze nel caso il rientro non fosse andato liscio. Nel senso che arrivavo dopo aver già vinto diverse medaglie tra Paralimpiadi e Mondiale, quindi nella mia testa quegli obiettivi erano stati raggiunti e la priorità era diventata la gravidanza. Mi considero fortunata, perché sono riuscita a nuotare fino all’ottavo mese, e ho preso una pausa solo perché cominciava a pesarmi fare avanti e indietro tutti i giorni da Milano. Anche post parto, passati i canonici 40 giorni, la visita di controllo è andata perfettamente e ho potuto riprendere senza intoppi. Anzi, anche al di sopra delle aspettative, non tanto per le medaglie in sé ma perché in pochi mesi di preparazione sono riuscita a nuotare con gli stessi tempi di Tokyo. Mai pensavo di riuscire a tornare ai miei livelli in così breve tempo". Cosa è cambiato tra Tokyo e Parigi nella tua preparazione? "Sono stati due percorsi molto diversi, ma non tanto per la gravidanza in sé. Nel 2020 avevamo iniziato con i doppi allenamenti giornalieri fin da ottobre, però nei mesi seguenti ho avuto diversi problemi fisici che mi hanno obbligata a diverse pause. Quest’anno invece sono rientrata in vasca ad aprile e non ho mai fatto interruzioni: sono stati 5 mesi intensivi senza soste, quindi per Parigi ho avuto una preparazione sì più breve ma allo stesso tempo più regolare. Con il mio allenatore abbiamo tentato nonostante il poco tempo a disposizione e le risposte sono state sempre ottime da un punto di vista atletico". Com’è la routine di un’atleta paralimpica? "Esattamente come quella di tutti gli altri nuotatori. Sveglia alle 6 e mezza, primo ingresso in acqua alle 7:30 per due ore circa. Segue una seduta in palestra, anche se quella non c’è tutti i giorni, a maggior ragione nel mio caso dopo il parto cesareo e poi nel pomeriggio un altro paio d’ore in acqua. Quindi tra le quattro e le cinque ore al giorno in piscina per 6 giorni alla settimana. Nel mezzo c’è anche una componente di riabilitazione che viene fatta tra il centro di allenamento e casa. Questa è la mia giornata tipo in periodo di gare, ovviamente abbiamo dei mesi più “leggeri” dove riduciamo i carichi di lavoro in base al calendario ma all’incirca da marzo fino a settembre, ottobre questa è la routine di una nuotatrice paralimpica". Qual è la realtà 'domestica' di una coppia di atleti di alto livello delle Paralimpiadi? "Sembrerà assurdo ma lo sport è l’ultimo dei discorsi. Abbiamo deciso di allenarci in due piscine separate a Milano per evitare l’aspetto del coinvolgimento emotivo nei confronti dell’altro se qualcosa non dovesse andare al meglio durante la preparazione. Questa scelta ci aiuta a essere più sereni. Così come aiuta tanto vivere insieme a una persona che condivide il tuo stesso stile di vita, perché capisce la tua routine, i tuoi ritmi e vivendo la stessa realtà c’è molta più comprensione all’interno della coppia. Sarebbe più complicato stando con qualcuno che è abituato a orari 'da ufficio'. Avendo due vite molto simili riusciamo a incastrarci alla perfezione". Quanto è importante avere il sostegno di familiari e amici al di fuori della piscina? "Fino a quando siamo stati solo io e Stefano ce la siamo cavata anche da soli. Da quando è arrivato Edoardo invece l’aiuto dei nonni è stato fondamentale per continuare con questo stile di vita. Per le amicizie è importante scegliere le persone giuste, che capiscano che tante volte non ci siamo non perché non abbiamo voglia ma perché abbiamo l’impegno della piscina che ci porta via moltissimo tempo e moltissime energie. Poi magari sono i primi che, pur vedendoci poche volte, sono venuti fino a Parigi per seguire le gare o all’aeroporto ad accoglierci al rientro in Italia. Penso che siamo molto fortunati, ci siamo circondati delle persone giuste e abbiamo trovato un bell’equilibrio". Torniamo a Parigi. Qualche atleta si è lamentato dell’organizzazione e della comodità all’interno del villaggio olimpico. Tu come l’hai vissuta? "Non particolarmente. La scomodità più grande era la distanza del villaggio olimpico dalla piscina, ogni giorno ci volevano circa 40/50 minuti per raggiungere l’impianto. Ma è più che altro per una questione di recupero tra una gara e l’altra, soprattutto durante le batterie, che di solito sono in programma al mattino, a distanza di poche ore dalla finale nel pomeriggio. Ma a parte questa vita da 'pendolare' la città era organizzata bene, c’era un servizio di navette che partivano dal villaggio ogni 5 minuti e non abbiamo mai avuto particolari problemi che non fossero legati ai tempi di percorrenza. Capitolo stanze e cibo: il Villaggio non è un hotel di lusso, basta adattarsi un minimo ma non mi sono trovata male. Non è stato così diverso da Tokyo". E per quanto riguarda l’accessibilità invece? Hai avuto problemi a muoverti con la sedia a rotelle? "Il Villaggio è stato costruito da zero per i Giochi, e verrà a breve trasformato in un residence. Quindi è stato pensato anche strizzando l’occhio all’accessibilità e non ho mai avuto intoppi. Stesso discorso sui pullman e per i trasporti in generale. In Francia sono molto attenti a questi aspetti, li approcciano in maniera propositiva. Basta pensare a quanto tifosi riempivano l’impianto ogni giorno, in tutti i giorni di gara. Il fatto di avere ospitato Olimpiadi e Paralimpiadi ha dato alla Francia una consapevolezza in più che a noi in Italia ancora manca, almeno in parte. Spero ci arriveremo con i Giochi invernali di Milano-Cortina nel 2026". Prossimi impegni in agenda? Guardi già a Los Angeles 2028 o valuterai stagione per stagione adesso che sei mamma? "Prima di tutto le vacanze, a novembre. La mia idea è di continuare a nuotare ancora per un po’. Il primo obiettivo è il Mondiale dell’anno prossimo, a Singapore. Purtroppo per me è difficile fare progetti a lungo termine anche perché non sono assunta come tanti colleghi nei Corpi militari. Nel mio caso, ad esempio, essendo laureata in giurisprudenza mi occupo della parte burocratica nell’azienda di famiglia. Di fatto, non essendo il nuoto la mia occupazione, bisogna riuscire a incastrare tutto, per quanto l’impegno di tempo che mi porta via è quello di un lavoro full time. Per Los Angeles 2028 vedremo, c’è ancora tanto tempo. Vedremo il fisico a che punto sarà tra quattro anni, non tanto per l’età quanto più per i tempi di recupero tra un carico di lavoro e l’altro. Me la vivrò stagione per stagione, adesso pensiamo a Singapore". Hai parlato di una laurea in giurisprudenza. Come hai coniugato il nuoto con un percorso di studi così impegnativo? "Non lo so bene nemmeno io . Mi alzavo alle 4:30 del mattino, studiavo un paio d’ore e poi mi tuffavo in vasca per l’allenamento. E ovviamente anche il tempo tra una sessione in vasca e l’altra era dedicata allo studio. L’unica cosa che mi premurava era non arrivare ad aprire i libri alla sera, perché quello mi è sempre stato difficile. Piuttosto preferivo alzarmi all’alba tutti i giorni e andare a dormire subito dopo cena. Una grande mano me l’ha data la didattica a distanza durante il periodo Covid: essendo obbligati a stare chiusi in casa per dei mesi ne ho approfittato per fare un periodo di studio intensivo e per portarmi avanti con gli esami. Mi allenavo a casa, via Zoom, con i pesi. Il tempo “risparmiato” i quei mesi senza piscina mi ha permesso di completare il percorso accademico". Un’ultima cosa, come ti senti? Come sta Giulia al di fuori della vasca? "Io mi sento bene. Sono consapevole che la mia schiena mi dà dei problemi e me ne darà anche in futuro, ma sono seguita da uno staff medico eccellente che mi monitora con regolarità e mi aiuta a tenere sotto controllo le mie condizioni di salute. Chiaro, ogni tanto ho bisogno di fermarmi per seguire delle terapie, però in linea di massima sto molto bene e non sono niente di più che dei piccoli acciacchi. A distanza di anni sono contenta dei benefici che mi ha dato il nuoto. Pur consapevole dei pro e dei contro di un’attività sportiva ad alta intensità, è innegabile che mi abbia aiutata, lo si vede anche dagli esami medici e strumentali. Posso solo che esserne contenta".