Sinner-Djokovic a Wimbledon, tutto quello che c'è da sapere
WIMBLEDONJannik Sinner si trova di fronte oggi sul Centrale di Wimbledon il sei volte vincitore Novak Djokovic. Presente e futuro del tennis si incrociano in questi quarti di finale, tra differenze e tante analogie. Ecco tutto quello che c'è da sapere sulla sfida stellare che andrà in scena all'All England Club. Tutto in diretta esclusiva su Sky Sport e in streaming su NOW
Il passato e il futuro che collidono in un presente ancora ricco di suggestioni e per questo ancora più dilatato: nel momento in cui Novak Djokovic e Jannik Sinner scenderanno in campo per il quarto di finale più suggestivo e interessante in programma a Wimbledon, con i volti concentrati e quei sorrisi enigmatici come una sfinge, l’impressione sarà di vedere la realtà attraverso uno specchio. Da un lato chi è ancora il re; dall’altro chi, diverso nel carattere, ma così simile per caratteristiche e potenzialmente per percorso di maturazione, potrebbe diventarlo.
Rovescio a confronto
"Mi ricorda me stesso a 20 anni", ha detto Nole di Jannik. Il che è vero, ma non verissimo. Entrambi hanno nella risposta in anticipo, preferibilmente di rovescio, il quid in più con il quale mandare in crisi chi, progressivamente, finisce per uscire dallo scambio una frazione di secondo alla volta. Il gesto tecnico effettivamente è simile nella mimica, con il bacino che ruota a velocità supersonica e la pallina che esce con pulizia cristallina dal piatto corde, sfrecciando in modo impercettibile per l’occhio umano. Sinner, però sfrutta il rovescio con l’intenzione, istintiva e aggressiva, di prendere direttamente il controllo di punto, game e possibilmente set e partita, mentre per Djokovic, la pressione in risposta è propedeutica a sfiancare progressivamente il malcapitato che, dall’altro lato di campo, diventa sempre più frustrato al pensiero di giocare contro un autentico muro di gomma.
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Il carattere
Né Nole e Jannik sono simili nel carattere. Sinner è un finto freddo, che quasi mai si abbandona a gesti di stizza, se non qualche gelido sguardo di disapprovazione principalmente rivolto ai propri errori, ma che nei momenti decisivi, ha dimostrato di non essere proprio immune alla pressione, come quando, in finale nel Masters 1000 di Miami un anno fa, in vantaggio 6-5 con break a favore nel primo set contro Hurkacz, subì il controbreak a zero, perse il successivo tiebreak e anche la partita. Djokovic, al contrario, nonostante spesso sfoghi la tensione sbraitando e distruggendo racchette, ha costruito la propria carriera su una mentalità a dir poco granitica e glaciale, che gli ha permesso di rimontare quell’8-7, 40-15 che ormai è diventato una indimenticabile sequenza di Fibonacci per chi segue il tennis – sia nel bene che nel male. Il serbo non è nato implacabile, ma si è costruito la propria corazza con il tempo: nell’intervallo di tempo tra gennaio 2008, il mese in cui ha vinto il primo Slam agli Australian Open e gennaio 2011, con il bis sempre a Melbourne, Nole era quasi il terzo incomodo che non doveva insinuarsi nella rivalità tra Federer e Nadal. Crescere cercando di scrollarsi di dosso i paragoni ingombranti è un’altra analogia che lega Djokovic a Sinner, chiamato a sganciarsi dall’ombra di Alcaraz come gli è riuscito benissimo nella partita di ottavi di finale proprio sul Centrale di Wimbledon, lo stesso campo su cui bisognerà cercare un’altra impresa.
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Il precedente
Tra Nole e Jannik, che si conoscono, si stimano e qui a Wimbledon si sono anche allenati insieme, esiste un unico precedente: i due si affrontarono ad aprile di un anno fa in una intrigante partita di secondo turno andata in scena nel Masters 1000 di Montecarlo: a imporsi fu il serbo con un netto 6-4, 6-2, in realtà un po’ bugiardo nel punteggio, dal momento che Sinner era stato il primo ad andare avanti di un break ed era stato forse anche leggermente superiore nel gioco fino al 5-4 nel primo set. All’epoca a soffrire nel box di Jannik era sempre inquadrato Riccardo Piatti, l’uomo che più o meno quindici anni prima, aveva contribuito a formare un altro ragazzo di belle speranze, alto, che parlava cinque lingue e dalla personalità estrosa: si chiamava Nole e avrebbe vinto 20 Slam – non sotto la sua guida, però. Anche Sinner adesso non è più allenato da lui, perché l’altoatesino ha preferito affidarsi al tandem composto da Simone Vagnozzi e la new entry Darren Cahill, genio nel raffinare il talento di potenziali vincitori di Slam per renderlo fruibile anche sull’erba. Per l’altoatesino i primi risultati si vedono già dopo soltanto un paio di settimane. Regalarsi una vittoria contro pronostico contro Djokovic, sul campo più importante di tutti, contro chi a Wimbledon non abdica da 25 vittorie e tre titoli consecutivi, per Jannik non vorrebbe dire soltanto sfatare il tabù di non aver mai sconfitto un top five, ma avrebbe il sapore di una definitiva incoronazione.