Rafa Nadal, l'uomo che ha trattenuto il tempo

Seppur annunciato, Nadal apparve. Su lui c’erano voci già leggendarie e indizi documentati. Il millennio era fanciullo, il tennista adolescente: il 29 aprile del 2002 Rafael, 15 anni, di Manacor, fece il suo debutto nel circuito Atp nei dintorni di casa, proprio al Mallorca Open. In tabellone grazie a una wild card superò al primo turno il paraguaiano Ramon Delgado, numero 81 della classifica mondiale e poi perse al turno successivo con il più bravo dei fratelli Rochus, Oliver. Investì i profitti di quella stagione nei tornei Itf da 15mila dollari: ne vinse sei. Salì di livello nel 2003, vincendo i Challenger e anche partite nei tornei dove poi avrebbe regnato: sedicenne, superò due turni a Montecarlo, entrando nei primi 100 del mondo. Dunque, questo Mowgli che bazzicava il mondo adulto senza alcun timore, somigliante anche nel carattere al personaggio di Rudyard Kipling, era già protetto ed esposto dalle attese quando, nella primavera del 2004, apparve a tutti: 6-3, 6-3 a Roger Federer, nel lussuoso torneo di Miami. Da quel momento le carriere dei due atleti - i più grandi tennisti, poi raggiunti da Djokovic - si sarebbero fuse in una maggiore, componendo l’architettura perfetta del gioco, dello stile. Si chiamò Federernadal, tutto attaccato, per rimandare all’interezza della loro somma tennistica. Al solito, prima di tutti c’era arrivato il capitale, il mercato: così come gli stilisti della Nike avevano ripescato linee e ricami dal passato, per permettere a Federer di vestire tessuti tecnologici che conservassero un’aura di vintage, di arte classica citata dallo stile di gioco dello svizzero, gli stessi scelsero la street art per il nuovo arrivato, sparigliando tutto quanto di elegante e classy la tradizione del tennis portasse con sé: la canottiera, i pantaloni a pinocchietto, i colori fluo – sdoganati da Andre Agassi tempo prima, per il vero. Come accade sempre, chi deve rispondere delle sue azioni al mercato intuisce le cose in anticipo o almeno ci prova. Così, già dal 2004 la Nike aiuta a costruire l’opposizione, il duello perfetto, l’archetipo della sfida. In breve: la rivalità. Un sostantivo necessario allo sport perché crea narrazione, attrae come un destino ineluttabile i contendenti, li chiama 'dentro', come fu per Sampras e Agassi, McEnroe e Borg: non conta quante volte è successo, ma fu decisiva la capacità di esplorare tutti i sensi e tutte le possibilità del gioco e convocarne così tutte le passioni. E così per altri sport: quante volte l’avversario è stato necessario alla narrazione? E quanto ha guadagnato il racconto di un’epoca e di uno sport dalla concorrenza di due campioni in forte contrasto caratteriale e di stile? Perfino accentuando queste sfumature, fino a farle diventare tipicità? In Italia fu accolta con un calore maggiorato: rispondeva anche alla atavica necessità di dividersi, costume profondo ed eterno della nostra origine. Si era per Bartali o per Coppi, ed erano due modi di vedere il mondo, non solo una salita. Due interezze straordinarie che conveniva dividere, per riunire solo nella somma. Federernadal, allora. Da subito. A lottare ognuno per rivendicare un modello di gioco, di esistenza e insieme affermare un mondo di ricchezza tecnica, agonistica ed emotiva. Sono parallele che si incontreranno in un campo di tennis ma sono anche linee che hanno raccolto un desiderio nostro di appassionati e loro di campioni perché la rivalità resta un nutriente dalle proprietà antiossidanti – ancora pescando nel mondo: guardate Ronaldo e Messi quanto sono ossessionati dal collezionismo di titoli e gol, in una sfida ai numeri della storia, in un’urgenza dei loro caratteri ma anche nell’infinito duello fra loro. Il risultato di Miami servì perché avvicinò già dal primo incontro i due tennisti. Nadal vinse, dunque, contro il Numero Uno del mondo, ma la sua stagione in pratica terminò in America, quasi alle soglie della stagione rossa: una frattura da stress del quinto metatarso posticiperà all’anno successivo lo show in quei tornei - fra Montecarlo e Parigi - che l’isolano vincerà poi per tutta la vita agonistica. Dal 2005 infatti il circuito fu scandito da due stagioni: quella degli altri e quella di Nadal, fra aprile e giugno. E quella degli altri, intorno. E dopo aver peccato di rispetto, raccontando Nadal insieme all’altro, come una necessità di appassionati e vittime noi stessi di quella comoda architettura che ci ha tenuto per anni al riparo, adesso - nel giorno in cui si arrende all’anagrafe, alla nuova vita, qualche mese dopo aver perduto l’altra - adesso davvero occorre parlare di uno degli sportivi più forti che si siano manifestati in terra. E ci vorrebbe tanto spazio, e troppa memoria, e tanta letteratura e moltissimo cuore. Scegliamo un'immagine, un’impressione travolgente e perdurante sua propria, un lampo di tanti ricordi che resterà e tornerà in mente assieme a lui, perché è un colpo che è già stato studiato per voler essere codificato, e quindi prima imitato e poi emulato. È il dritto di Rafael Nadal, il magnifico, terrificante colpo che ha inciso un’epoca, che ha intarsiato la terra come un marchio indelebile. Ce ne occupammo per una deliziosa rivista di settore, e setacciamo quelle righe, che cercavano la definizione di un gesto che apparve così nuovo che occorreva definirlo: uncino, gancio sembrarono rappresentarne la curva nella ricerca della palla, e nelle traiettorie. Del diritto di Nadal suggerivano insomma l’effetto distorsivo della linearità: nell’esecuzione e nell’approdo della palla. Ma ci sono stati molti uncini e ganci. Mancava, dunque, la suggestione, perché in fondo il diritto di Nadal aveva un pregio che superava la sua estetica: dominava il gioco, legittimando le vittorie anche alla vista dei detrattori del colpitore mancino. Era un diritto certamente superbo, inimitabile, decisivo, prima ancora che bizzarro. Esistono molti video rallentati a dovere per constatare l’unicità - quando apparve - di questo movimento. Se potessimo inquadrare il diritto mancino in una scala, si andrebbe dal minimo della frenesia in McEnroe e Leconte, capaci di aprire appena il compasso, senza quasi – in avvio - usare il polso, e chiudere poi il colpo in zona frontale, con palle radenti piatte, veloci, e si finirebbe, all’altro capo della scala, nel dispendio massimo delle energie nel diritto di Nadal. Impiego fisico totale, un movimento che è una tromba d’aria, laddove l’esecuzione di Leconte pareva un soffio di vento. In uno sport dove la modernità ha inciso, con i materiali di racchette e corde e anche campi di gioco, favorendone un’idea fisica, e suggerendone perfino la tattica, l’avvento del diritto di Nadal è stato comunque un riconoscimento umano perché si basava soprattutto sulla forza: pura, genuina, brutale, muscolare, allenata. Certo, i gesti dei pionieri del gioco sembravano mossi da fili invisibili, mentre lo scuotersi di Nadal è versione che può arrivare rozza o ugualmente super costruita. Ma c’è un timbro suo, personale, antropico in quell’agitarsi nell’aria. Come conseguenza e come capita spesso con i campioni, un gesto così sovrumano imprime sfiducia nell’avversario. Fra i tanti e oltre i concreti meriti del diritto di Nadal c’è anche questo, insidioso: aver scoraggiato gli altri, averli impauriti con un rimbalzo non solo insolito ed esasperato – da costringere soprattutto i monomani a rovesci raccolti troppo in alto, o attesi troppo distanti, e in breve: colpiti senza poter dare la forza necessaria a pareggiare il campo, o limitare almeno i danni. Ma anche smarriti da una aritmia che è sempre il segreto del tennista divenuto campione. Il quale anticipa o ritarda il tempo del gioco, togliendo l’appoggio sensoriale al match. Così torniamo all’esigenza di definirlo, e ci sostiene proprio la musica dello scambio. Quel dritto ricorda la sincope, “effetto che interrompe o disturba il flusso regolare ritmico o armonico”. Nella teoria musicale, la sincope si ottiene spostando l’accento da una parte 'forte' del tempo a una debole. Per restare intorno ai maggiori dei nostri tempi: Federer, con i suoi piedi ancorati alla riga, e i colpi di mezzo volo , ha anticipato in sostanza l’accento forte, guadagnando centesimi di secondo nello scambio, togliendo quegli attimi ai ribattitori. Nadal invece assorbiva il tempo, dilatandolo, con lo stesso effetto, perfino più frustrante, prendendo aria eppure penetrandola fin dove si esaurisce il campo di difesa. Ragionare sul tempo di quel rimbalzo è stato il rompicapo dei suoi contemporanei. Solo Djokovic è riuscito ad avventarsi su quella palla, prima che diventasse troppo pesante, favorito anche dal suo superbo, fluido, schiaffeggiare bimane. Federer ha dovuto attendere il consiglio di Ljubcic : così facendo fra 2017 e 2018 lo svizzero ha un po’ aggiustato gli scontri diretti. Eccolo, dunque, questo terrificante colpo, cercatelo nei video in rete: il caricamento è ordinato, la racchetta verticale, sorretta dall’aiuto della mano destra, per inclinare meglio il busto verso il colpo. Quando la mano destra lascia il lavoro alla sinistra, la spalla si 'apre', le corde che impatteranno sono opposte all’arrivo della palla, poi la racchetta viene schiacciata versa terra, è praticamente piatta quando la 'rottura' del polso avvia il movimento orizzontale verso l’impatto. In questo momento, il corpo di Nadal perde stile, il braccio destro si rattrappisce quasi avesse in orrore lo spettacolo. Le anche ruotano, il busto è ormai frontale alla rete, i piedi per aria con il ginocchio destro in ascesa. Sul sinistro, il caricamento è avvenuto per pochi istanti, ma il gravame è stato faticoso, mal distribuito dallo sbilanciamento indietro dell’atleta: infatti quel ginocchio ha subìto quel logorio precoce che ha tormentato Nadal . Da questo momento, piedi in aria, corpo in rotazione, fa tutto il braccio, in abduzione: l'iper distensione favorisce una distanza perfetta dalla palla se l’intenzione è la massima forza possibile – questione di leve. Ma è adesso che Nadal marchia questo suo diritto, e lo rende un colpo devastante e proibito dalle scuole tennis. Dopo l’impatto, il braccio risale sopra la testa, non limitandosi ad abbracciarlo come una sciarpa. Il bicipite copre la faccia, lo spin esasperato si scioglie in una decontrazione che abbandona il polso, quasi cedevole, dimostrando quanto fosse stato impegnato prima, e quanta curvatura e forza sia stata appena impressa alla palla che – è stato calcolato – volteggia con un indice di spin di 5.000 rotazioni al minuto. “Nadal colpisce con una violenza inaudita”, disse di lui Murray. Ovviamente, la rotazione data dal basso verso l’alto serve per trattenere la palla in campo, e contenere la velocità dentro l’utilità del gioco. Intanto, la testa della racchetta prosegue nel mulinello, passando sopra la spalla destra, circumnavigando il capo per ritornare sopra la spalla sinistra. Arricciando la chiusura del colpo, Nadal si riallinea: 'ritrova' la posizione frontale, con il piede destro molto carico, proponendosi subito per i passi necessari a rientrare nello scambio. Questo è stato il dritto di Nadal: è la musica che lascia, nessuno ha saputo suonare quel tempo. E così apparve, così vinse, così resterà conficcato negli occhi - e più dentro nella memoria - uno dei maggiori atleti di sempre.