Cosa ci ha insegnato Rafael Nadal

Rafa Nadal ha sempre dato tutto sé stesso al tennis. Ed è una persona meravigliosa. Posso dirlo con certezza, lo conosco da tanto tempo. E’ per questi due motivi, ma non solo, che quando ho visto il bellissimo video nel quale annunciava il suo addio al tennis professionistico non mi sono riuscita a trattenere. Ho pianto, un bel po’, ripensando a tutte le cose che mi hanno legato a lui e a quello che è riuscito a dare al nostro fantastico sport. Ho pianto anche per la persona, un ragazzo speciale, mai realmente cambiato in questi anni nonostante i risultati clamorosi che è riuscito a ottenere, un ragazzo profondamente attaccato alle sue origini e alla sua famiglia. Un ragazzo diventato poi uomo anche grazie a una carriera nella quale non si è mai risparmiato. È questa, credo, la cosa della quale può essere più orgoglioso: non aver mai lasciato nulla di intentato, non essersi tenuto nulla per lui, aver dato sempre il massimo in ogni torneo, partita, allenamento. Rafa non si è mai tirato indietro e ha regalato tutto il suo corpo e la sua mente al tennis. Se ripercorro con la mente la sua storia, è pazzesco vedere come e quanto sia cresciuto Rafa in questi anni. Anche perché io l’ho conosciuto che era quasi un bambino. Sarà stato il 2004, o forse addirittura la fine del 2003, e in campo aveva già delle potenzialità clamorose. Ma era pure sempre un ragazzino. Ricordo benissimo il giorno in cui decise di fare la corte alla sua attuale moglie e madre dei suoi figli: eravamo in una discoteca e lui voleva approcciarla da un po’; venne da me a chiedermi cosa dovesse fare, quale fosse il modo migliore per rompere il ghiaccio. Io gli dissi: “Ma vai, vai tranquillo, non ti preoccupare!”. Insomma, le tipiche dinamiche da ragazzino normale. Non solo questo in discoteca, ci sono tantissimi altri aneddoti che mi legano a Rafa. Devo dire che sono stata molto fortunata ad averlo conosciuto così bene sin da quando era un ragazzo perché poi sono riuscita a vivere tantissimi dei suoi momenti, anche personali, che non tutti magari conoscono. Come quando prima di ogni Roland Garros, forse anche per scaramanzia, veniva da me a quasi a sfogarsi: “Sto male, non sono in forma...”. Poi, però, ne ha vinti 14… Erano i suoi inizi di tornei spesso a essere problematici da questo punto di vista. Anche prima e durante l’Olimpiade di Pechino del 2008, non me lo scorderò mai. Diceva che stava giocando male, alla fine è tornato a casa con la medaglia d’oro. In quegli anni, poi, ho avuto anche il privilegio di allenarmi insieme a lui. Io vivevo a Palma de Maiorca, ci sono stata dal 2004 al 2007, e avevamo un preparatore fisico in comune , quindi è capitato che ci siamo trovati insieme sullo stesso campo di allenamento. Per fortuna, però, solo qualche volta. Anche perché Rafa era tremendo e ti “prendeva a pallate” anche in allenamento, senza risparmiarsi mai nemmeno se di fronte aveva una donna come me. Non si tratteneva, andava sempre al massimo, lavorava in maniera metodica, ma d’altronde non poteva fare in altro modo. Lui era così ed è questo che l’ha reso ancora più grande. Decidere di porre fine alla propria carriera, per uno sportivo professionista, soprattutto se di altissimo livello, è forse la parte più difficile. Così come altrettanto difficile è stato vederlo in campo nell’ultimo periodo, sia per le persone che gli stavano più vicine che per quelle che l’hanno conosciuto bene. E sono certa che anche lui se ne fosse reso conto da un po’ di tempo e anche per questo penso che la decisione, nel suo profondo, l’avesse presa già da qualche mese. Accettare di fare questo passaggio però è la parte più complicata, soprattutto riuscire a capire con lucidità quale sia il momento giusto per farlo. È una decisione assolutamente personale, nella quale nessuno, oltre all’atleta stesso, può entrare. Non ci si può far influenzare da quello che gli altri ti dicono, solo il giocatore può sapere cosa vuol dire staccarsi da quella che da sempre è stata tutta la sua vita. Per tutti noi quello dello sportivo professionista è un percorso che parte da lontanissimo, sin da quando siamo bambini, e a volte arrivi quasi al termine della carriera pensando che non hai nient’altro che il tuo sport e che da un giorno all’altro dovrai iniziare a interessarti ad altro. Per questo accettare di staccarsi definitivamente è un percorso molto complicato che ognuno vive a modo suo. Un po’ di frustrazione, in ogni caso, è inevitabile che arrivi. Ricordo l’ultimo torneo di Roma, qualche giorno prima di quella scena meravigliosa nella quale Rafa ha ricevuto il saluto spontaneo di migliaia di tifosi che si erano radunati sotto il ponticello del Foro Italico. Io e Fabio eravamo in palestra ed è arrivato Rafa. Dopo averci salutato ha iniziato a parlare un po’ con Fabio dei suoi infortuni e a un certo punto ha detto: “Tutto questo è un po’ frustante”. Parlava della sensazione del suo ultimo anno, nel quale, dopo una carriera da dominatore assoluto, si è ritrovato a non riuscire più a giocare il suo tennis, a perdere con giocatori contro i quali non avrebbe mai perso. Insomma, credo che si sia voluto dare un’ultima chance e capire se il suo livello fosse ancora all’altezza del suo nome e della sua carriera, ma il fisico non l’ha sostenuto. Quello che ci resta di Rafa, alla fine della sua fantastica carriera, è un messaggio importantissimo, sottolineato anche dalle parole usate da Sinner sui social per salutarlo: “Ci ha dimostrato come rimanere umili”. Umile, umano e grande lavoratore, aggiungo io. L’intensità che aveva in campo, la gestione degli allenamenti, la sopportazione al dolore. Rafa non si è ma tirato indietro, ha saputo costruire il suo corpo e il suo tennis giorno dopo giorno e ai giovani di oggi, che spesso e volentieri vogliono tutto e subito e non hanno la cultura del sacrificio e dell’attesa, lascia soprattutto questa eredità. Quella di non risparmiarsi mai, di dare tutto per la causa, di saper aspettare che il lavoro dia i propri frutti. È per tutto questo che ci mancherà. Ma è anche per tutto questo che dobbiamo ringraziarlo.