Silvia Di Pietro è l’esempio di chi non molla mai

La capitana di questo Mondiale è stata Silvia Di Pietro, che insieme a Lorenzo Zazzeri rappresentava l’atleta più esperta e longeva del gruppo. Per Silvia, però, l’esperienza non si misura solo negli anni, ma nelle battaglie affrontate e vinte, dentro e fuori dall’acqua. Parliamo di oltre 16 anni di carriera a livello assoluto: un percorso iniziato nel 2008, quando, a soli 15 anni, debuttò in nazionale maggiore agli Europei di vasca corta di Fiume. Quell’estate era già sotto osservazione per una possibile convocazione alle Olimpiadi di Pechino, la stessa rassegna passata alla storia per gli otto ori di Michael Phelps. Il suo talento era cristallino: nelle file dell’Aurelia Nuoto, seguita da Enrico Zito, Silvia era una delle promesse più brillanti del nuoto italiano in un’epoca dominata dal trio Pellegrini–Filippi–Magnini. I record iniziarono a fioccare quando era ancora una teenager. In vasca corta, grazie a fasi subacquee letali e a un’esplosività naturale, era sempre protagonista nelle finali dei suoi cavalli di battaglia – 50 delfino e 50 stile libero – portando un contributo determinante alle staffette. Il bottino? 29 medaglie internazionali in vasca da 25 metri. Nel 2016, finalmente, arrivò la chiamata olimpica. Ma in vasca lunga Silvia non riusciva a replicare con la stessa incisività i successi della corta. Eppure, a Windsor, ai Mondiali in corta, conquistò il podio iridato individuale nei 50 stile, dimostrando che il suo talento non aveva confini. Gli anni passavano, gli infortuni si facevano sentire, e la tanto attesa finale mondiale in lunga sembrava un miraggio. Molti, al suo posto, avrebbero gettato la spugna. Lei no. Silvia, sempre autocritica e severa con sé stessa, continuava a tuffarsi in acqua, stagione dopo stagione, insieme al suo allenatore Mirko Nozzolillo, con l’obiettivo di abbattere limiti che sembravano invalicabili. La stagione 2024/25 non sarebbe nemmeno dovuta iniziare. Dopo la mancata qualificazione olimpica, le motivazioni vacillavano. Il nuoto, durante gli allenamenti, non è glamour: è fatica, ripetizione, dolore. Silvia non era più sicura di voler affrontare ancora quelle stesse routine. Fu qui che Nozzolillo fece la mossa decisiva: progettò una preparazione mirata solo ai 50 metri. Basta lavori lunghi, basta energie disperse sul 100. La parola d’ordine diventò VELOCITÀ: forza, esplosività, tecnica. Gli allenamenti non erano meno duri fisicamente, ma mentalmente tornavano stimolanti. I primi mesi segnarono una rinascita. Al Mondiale di vasca corta di Budapest, Silvia conquistò il primo oro mondiale della sua carriera, riprendendosi anche il record italiano che Sara Curtis le aveva strappato poco prima. A 31 anni, era una vittoria dal valore incalcolabile. Poi, il ritorno alla vasca lunga. Ad aprile, nelle gare di qualificazione, vince i 50 delfino, ma lontana dal suo record del 2014. Sembra il copione dell’anno precedente. Giugno, Trofeo Settecolli: ultima chance. Silvia, però, non pensa alla qualificazione mondiale. Vuole solo godersi la vasca di casa, il Foro Italico, il pubblico che l’ha vista crescere. E succede la magia: torna sotto i 26’’ nei 50 delfino e sotto i 25’’ nei 50 stile, mettendo pressione alla giovane Curtis. Sul podio, è sorridente, serena, come non la si vedeva da tempo. Poi, inaspettata, arriva la chiamata: c’è posto per lei al Mondiale. Quinta partecipazione. Nessuna pressione, nessuna aspettativa. In batteria, nei 50 delfino, ferma il cronometro a 25’’49, nuovo record italiano, abbassando di quasi tre decimi quello che resisteva dal 2014. Un tempo che, a 32 anni, sembrava impossibile. Nell’intervista post-gara, Silvia è raggiante: “La gara perfetta”, dice. Quella che ogni velocista insegue per una carriera intera, spesso senza trovarla. Il Mondiale si chiude con la finale mondiale nei 50 delfino, a un soffio dalla medaglia. Niente podio, ma la sensazione che il premio vero sia stato un altro: aver dimostrato che la resilienza può battere il tempo, gli infortuni e le cadute. Silvia Di Pietro non ha mai mollato. Ha sopportato il dolore fisico, le sconfitte, le stagioni senza risultati. Ha continuato a inseguire la perfezione sapendo che è un’utopia. Ma è proprio quell’ossessione che l’ha resa una delle più grandi. E così, quando i giovani nuotatori mi chiederanno come si fa a resistere nei momenti più bui, quando sembra che tutte le occasioni siano passate, risponderò: “Leggetevi la storia di Silvia Di Pietro”. Per me questa è la medaglia più bella che esista.

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Silvia Di Pietro è l’esempio di chi non molla mai

Luca Dotto