Vendée Globe: il giro del mondo in (oltre) 80 giorni di Giancarlo Pedote

E’ la regata più affascinante e dura che esista. L’Everest dei mari, lo chiamano anche così. Il Vendée Globe è il giro del mondo in solitario senza scalo e senza assistenza. Una cosa per pochi. Solo lo skipper, la sua barca a vela, e l’oceano. Si parte e si arriva al porto francese Les Sables-d’Olonne, e si percorrono circa 45.000 chilometri o, per meglio dire, 24.300 miglia marine, intorno al mondo, attraversando i grandi oceani e soprattutto in condizioni climatiche molto diverse, dalla calma che regna all’Equatore, all’imprevedibilità dei Grandi Mari del Sud, dove la tattica e la gestione del meteo avranno un ruolo fondamentale per l’andamento della gara. Il viaggio tocca luoghi iconici, inizia in Francia, passa per il Golfo di Biscaglia e per l’anticiclone delle Azzorre e continua scendendo fino al Capo di Buona Speranza, alla fine del continente africano, passando dall’Oceano Atlantico all’Oceano Indiano. Il secondo passaggio è Capo Leeuwin, a sud-ovest dell’Australia, dove inizia l’Oceano Pacifico, scendendo ancora più a sud, questa volta andando a toccare il Point Nemo, il punto oceanico più remoto dalla terraferma, dove gli esseri umani più vicini sono gli astronauti sulle stazioni orbitali. E dopo molti giorni di navigazione si raggiunge Capo Horn, qui gli oceani del Pacifico e dell’Atlantico si incontrano in uno dei passaggi più terribili, crudeli e affascinanti del mondo. Si risale poi l’Atlantico dal Sud America, dove le masse d’aria calda e umida generano condizioni instabili, e poi via di nuovo in direzione Les Sables d’Olonne. Un viaggio di oltre due mesi, con una sola vera regola: si naviga in solitaria, senza possibilità di mettere piede a terra. In solitaria nelle riparazioni, negli infortuni, in ogni tipo di problema che si possa verificare a bordo, in solitaria anche nei pensieri. Il velista deve e può fare affidamento solo su sé stesso e sulle sue capacità. Una vera e propria sfida, una prova di resistenza e di forza fisica e mentale, un’impresa che tocca i confini del mare e le profondità dell’anima. E’ la fine degli anni ’80, più precisamente il 1989, quando Philippe Jeantot, dopo aver vinto per due volte il BOC Challenge, il giro del globo con scalo, vuole spingersi oltre e riscrive la storia pensando ad una nuova regata intorno al mondo, questa volta senza la possibilità di scendere a terra. E così nasce il Vendée Globe. Le nove edizioni finora concluse contano in totale 200 partecipanti, ma solo in 114 sono riusciti a tagliare il traguardo. L’avventura iniziata invece lo scorso novembre ne ha visti quaranta alla partenza, un vero record. Tra loro c’è anche un italiano, l’unico, Giancarlo Pedote, alla sua seconda partecipazione. “La prima volta è esplorazione, un salto nell’ignoto. – ha scritto subito dopo la sua prima esperienza, nella quale si è classificato ottavo - Adesso il Vendée Globe fa parte di me, perché più che in tutte le altre regate, in questa ci si entra dentro e ti entra dentro. Ti entra dentro attraverso il rumore, che sia quello dei Quaranta Ruggenti, quello dei Cinquanta Urlanti, quello della vela che sbatte senza vento, attraverso il caldo dell’Equatore e il freddo del Grande Sud, attraverso l’umidità della pioggia, delle onde, dell’aria”. Insomma è qualcosa che cambia la vita. E chi partecipa deve sapere che il percorso è pericoloso e che deve fare i conti con molte variabili: il meteo, la resistenza fisica e mentale, l’esperienza, la capacità di mettersi in gioco e di affrontare gli imprevisti. Ma soprattutto deve avere massimo rispetto, di sé stesso e della natura. Tutto questo Giancarlo Pedote lo sa bene e lo mette in pratica, ogni giorno, a bordo di Prysmian, l’Imoca 60 dotato di foil, il suo unico compagno di viaggio, di cui si prende cura con amore. Laureato in filosofia e innamorato dell’oceano, inizia la sua carriera da navigatore quasi per caso: si appassiona prima al wind-surf, poi scopre la barca a vela e un nuovo modo di viaggiare, e lo spirito selvaggio del surfista inizia a fondersi con quello meditativo e introspettivo della navigazione. Un viaggio dentro sé stesso, ma in mare. Esattamente tutto quello che il Vendée Globe rappresenta. Attenzione però, un’avventura in solitaria, ma mai da solo, Pedote ci tiene a sottolinearlo. Insieme a lui, nei pensieri e nel supporto quotidiano la sua famiglia, e le persone che in numerosissime lo seguono nei suoi aggiornamenti social. “La cosa che ho capito è che il Vendée Globe è una regata in solitario, che va vissuta tutti insieme”. Per questo Giancarlo Pedote racconta e condivide la sua esperienza quotidianamente su Instagram, rendendo partecipi tutti dell’impresa che sta facendo e portandoci tutti un po’ in barca con lui: i suoi dubbi, i problemi incontrati lungo il percorso, i suoi pasti, le riparazioni, i lunghi momenti di meditazione, i paesaggi mozzafiato. Abbiamo gioito tutti insieme a lui quando la scelta di uscire dal golfo di Biscaglia lo ha portato in testa alla flotta nella prima settimana di competizione: “Luna piena che sorge, gennakerone che porta alla grande, un tramonto bellissimo e poi vi devo fare un annuncio molto importante... Siamo in testa al Vendèe Globe!”. E abbiamo trattenuto il fiato quando lo abbiamo visto fare i conti con notti insonni per riparare la sua barca: “Allora amici, al largo di Finisterre avevo spaccato la vela, questo è il risultato di 14 ore di lavoro. Ho issato la vela, l’ho srotolata alla cowboy, l’ho ammainata completamente aperta, ho cucito i due lembi dove c’era la spaccatura, - racconta in un video Instagram in cui mostra il suo operato - ho incollato dei patch con il sika di 200 mm per tutto lo sbrego, dopo aver pulito con l’acetone e ho fatto la cucitura di circa 10 metri lineari. Il sika l’ho messo dappertutto, e poi anche le scritte: Team Prysmian number one, Famiglia vi amo e Prysmian vola nel grande Sud. E adesso siamo pronti per ridarla questa vela!!!”. E non solo. Dopo la vela lacerata e perfettamente ripristinata, Pedote nelle prime due settimane ha dovuto affrontare non pochi imprevisti: la sostituzione dell’anemometro in cima a 30 metri di albero, la bonaccia, zone senza vento, condizioni instabili e nuvole che hanno influenzato non poco le strategie di regata, consentendogli di passare all’emisfero Sud al 13esimo giorno di regata. “Carissimi amici, il gruppetto di testa come previsto scapperà, era la mia più grande paura e adesso è giusto che la affronti. D’altra parte veniamo in mare proprio per affrontare le nostre paure. In ogni caso, come mi dite in tanti di voi ed è assolutamente vero, la regata è lunga. Non vorrei essere punito per tutta la regata per un’opzione sbagliata. In ogni caso sono qua per dare il massimo. E oggi dopo tanto tempo ho ritrovato il mio smile e vi posso dire, a denti stretti: Tutto bene a bordo di Prysmian”. Insomma, un vero e proprio diario di bordo, in cui dà aggiornamenti sulla rotta, sulla gara, e che tiene conto anche dei suoi stati d’animo. La concentrazione costante sulla regata, svolta con la massima dedizione e serietà, la testa che spesso vola e cede ai pensieri. Uno, fisso, alla famiglia, lasciata a casa, sua moglie Stefania, e i figli, i suoi primi tifosi. “Guardate il messaggio motivazionale di oggi, la mia preghiera scritta da mia figlia Isabella: Sole scaldami la pelle, illuminami il cuore e dammi la felicità. Restate a braccia aperte, vi fate illuminare dal sole e vi assicuro che funziona benissimo”. Piccole strategie per rimanere lucidi dopo tanti giorni di navigazione, uno degli aspetti necessari in una regata così dura e imprevedibile. E poi il feeling con l’acqua e la barca, capire cosa non funziona e cosa funziona, diventare tutt’uno con l’imbarcazione per poter sentire anche la minima e quasi impercettibile variazione. Il segreto per affrontare i tanti problemi tecnici e rimanere in gara, proseguendo il suo sogno, che è diventato un po’ quello di tutte le persone che lo stanno seguendo e che stanno tifando per lui. Pedote ha doppiato Capo Horn al 56esimo giorno di regata, passando poi l’Equatore al 71esimo, in 19esima posizione, per dirigersi nuovamente verso Nord. Gli ultimi sforzi, poi potrà avvistare nuovamente la boa Nouch, che segna la linea di arrivo del Vendèe Globe. E lì sarà festa. Certo, l’obiettivo sarebbe stato quello di migliorare l’ottava posizione della prima volta, ma la vera impresa non è solo sportiva. Il Vendée Globe è molto più di questo. Si tratta di riuscire a vincere le proprie paure, superare le difficoltà, e crescere, come velisti e come persone, al termine di un viaggio intorno al mondo di oltre 80 giorni che non è per tutti, perché ti entra dentro, ti guarda in faccia e ti mette davvero alla prova. E indipendentemente dal risultato, riuscirci è già una vittoria.

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Andrea Colnago