Hugo Aine, intervista choc a L'Equipe: "Perché loro sono morti e io no?"

Calcio

Intervista toccante del 22enne Hugo Aine, vittima di un arresto cardiaco in campo lo scorso 29 settembre. Aine però, a differenza di tanti altri colleghi, è riuscito a salvarsi e oggi, dopo mesi da quella triste vicenda, non riesce ancora a spiegarsi il motivo

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Il calcio italiano è rimasto scosso quasi tre mesi fa dalla scomparsa improvvisa di Davide Astori, capitano della Fiorentina. Lo stesso impatto l’aveva creato qualche anno prima il decesso in campo di Piermario Morosini, stroncato da un arresto cardiaco. In Francia, a perdere la vita per ragioni simili – e a volte incomprensibili - in questa stagione sono stati addirittura tre: Thomas Rodriguez del Tours, Samba Diop del Le Havre, entrambi 18enni, e Baptiste Le Foll, un bambino di 12 anni che muoveva i primi passi nelle giovanili del Guingamp. Un destino amaro che stava per colpire anche Hugo Aine, 22enne calciatore dello Chambly, campionato National (l'equivalente della nostra serie C): accasciatosi a terra per un infarto lo scorso 29 settembre durante il match contro il Red Star e ora salvo per miracolo. Il giovane, dopo mesi da quell’accaduto, non si è ancora ripreso del tutto e non riesce a comprendere perché sia riuscito a salvarsi a differenza degli altri sfortunati colleghi. “Quella scena la rivivo ogni giorno da otto mesi – ha detto in una toccante intervista a l’Equipe -. L’ho rivista a pieno dopo la morte di questi giovani. Ogni notte soffro prima di addormentarmi perché ho paura di non svegliarmi. Ogni mattina ho un buco nello stomaco. Spero che un giorno riesca a dimenticare quell’immagine allo stadio Bauer. È ancora viva dentro di me. Mi identifico con quei ragazzi e l’unica domanda che mi pongo è: perché ci succede questo da giovani? Come è possibile che accada? Immagina i genitori, una mattina li chiamano e dicono che il loro giovane figlio è morto in allenamento. Morti per giocare a calcio, per la propria passione, per inseguire un sogno. Non avevo mai pensato alla morte prima di allora, poi ho capito ciò che poteva significare negli occhi dei miei genitori. Ero con loro la sera dell’omaggio a Samba Diop e vedevo mia madre in lacrime mentre la mamma di Samba piangeva per il figlio. È qualcosa che ti cambia. Ogni volta che ci sono delle tragedie, mi arriva un messaggio dai miei con scritto che mi amano...”.

"La vita mi ha dato un'altra possibilità"

Aine ha ricordato gli attimi di quella serata in cui crollò sul terreno di gioco: “Non ho perso conoscenza – ha continuato -. Ho sentito le persone intorno a me, ho sentito il mio portiere Pontdemé urlare. Non sapevo più dove fossi. Capivo che era qualcosa di serio, ma non sapevo cosa stesse succedendo. Anche in ospedale, sono rimasto in quello stato. Tutto andava bene fino alle 22, poi, durante la notte, qualcosa ha iniziato a non funzionare. Se torni a casa la sera dopo un episodio del genere, la mattina seguente temi di non svegliarti. Ho avuto la fortuna di essere a Parigi e sono andato subito in ospedale. Il dottore del Red Star è stato straordinario. Ha capito subito che c'era un problema di origine cardiaca e questo è quello che mi ha salvato la vita. Gli altri non hanno avuto questa possibilità”. Dopo mesi però il calciatore francese non ha smesso di riguardare il video di quell’episodio: “I primi giorni ero ancora in ospedale e tutte le mattine mi svegliavo e piangevo. Non so perché, ma succedeva. È come se non riuscissi a controllare il mio corpo, così da quel momento mi sono detto che avrei dovuto guardare il video per capire la fortuna che avevo avuto a essere ancora vivo. Guardarlo mi ha aiutato ad accettare che la vita mi aveva dato una nuova possibilità, così ho fatto altre cose per accettare meglio questa situazione. E ho incominciato a scrivere. Ho preso un foglio e ho descritto la mia giornata, cercando di rivivere ciò che avevo fatto quel giorno. È stato un giorno come un altro: sono andato dal parrucchiere, ho mangiato con un amico e poi mi sono messo a dormire. Potrebbe essere successo qualcosa durante il mio riposino. Ero un po’ stanco quel giorno, ma ci sono giorni in cui sei stanco e non avverti niente”.

"Forse non ci sono abbastanza controlli durante la stagione"

Aine ha provato a spiegare quale possa essere la causa di questi continui problemi cardiaci che affliggono i calciatori. “Non so dare una risposta definitiva, ma la mia sensazione è che non si effettuino abbastanza test medici durante la stagione – ha detto -. Ne facciamo alcuni durante il pre-campionato, ma se il tuo cuore ha problemi durante il campionato per diverse cause, come un virus, nessuno ne tiene conto. Quando si è giovani ci si sente forti, invincibili. Anche se ti senti stanco, non hai voglia di consultare un medico perché anche lui ti dirà che è solo stanchezza. Quello che mi chiedo è: perché questi decessi avvengono tutti nella seconda parte della stagione? È strano. I test alla vigilia della stagione sono ben fatti, ma dovrebbero diventare obbligatori anche nel corso del campionato. Personalmente non so se sono stato controllato sufficientemente. Al centro di Ajaccio ho avuto la sensazione di essere ben seguito, ho superato le visite mediche senza problemi. Se il dottore avesse visto qualcosa di anomalo mi avrebbe fatto fare una risonanza magnetica. Al momento non è obbligatoria, ma credo che dovrebbe esserlo perché altrimenti ci saranno casi spiacevoli ogni anno. Io avevo avuto delle vertigini a marzo, ma erano durate due o tre secondi, e ne avevo parlato con il mio medico che mi aveva sottoposto a qualche test. Mi aveva consigliato un’ecografia perché aveva visto piccole cose, ma niente di straordinario. Io non mi preoccupavo, anche perché si ha paura di scoprire che ci sia qualcosa di serio. Pensavo fosse un calo di zuccheri, anche per questo non ho approfondito la cosa. Sono giovane e mi sentivo invincibile, ecco perché dovrebbe essere obbligatorio".

"Domani forse non sarò più qui"

L’ormai ex calciatore dello Chambly ha raccontato poi le difficoltà di allontanarsi dal suo sogno: “Ho giocato a calcio da quando avevo sei anni e da un giorno all’altro mi dicono: «Se non ti fermi morirai» - ha proseguito -. Non ero più me stesso. Ho visto anche delle persone per farmi aiutare. Mi sono fatto parecchie domande, mi sono chiesto: perché loro sono morti e io sono ancora vivo? La sera, quando sono solo nel letto, non riesco bene a dormire e penso: forse domani non sarò qui. Riesco a riposare tre, quattro ore. Ma non do la colpa a nessuno, forse solo a me stesso per essere stato poco attento. Ora sono triste perché non riesco a dare un senso alla mia nuova vita. Mi sono sempre immaginato calciatore, mai a fare altro. I miei agenti mi hanno offerto la possibilità di lavorare con loro qualora non dovessi più giocare. Tornare a giocare è però praticamente impossibile. Mi avevano detto già durante i primi controlli che non avrei avuto più possibilità di essere un giocatore, poi mi hanno dettoo che c’era l’1% di possiblità, ma io mi sono rassegnato perché il periodo di attesa sarebbe stato troppo lungo. Inizialmente non volevo neanche tornare in uno stadio, poi però quel sentimento mi è passato. Sono tornato per la semifinale di Coppa di Francia ed è stato bello, ma allo stesso tempo devastante per non potervi partecipare in modo diretto. Ho provato una volta a correre, ma ero senza fiato dopo dieci secondi. Così mi sono immaginato in un campo di calcio. Ero nel mio giardino, ma dentro la mia testa ero un calciatore professionista in un grande stadio. Se mi pesa l’immagine di me come colui che ha avuto un attacco di cuore durante una partita? Se ricomincio sarà una fonte di speranza, se concludo la mia carriera si dirà che ho smesso per questo. Dovrò abituarmi a questa immagine e trovare qualcosa che mi renda felice come il calcio”.