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Calcio Italiano, investire qui conviene: il pallone come un franchising. L'analisi di Pierfilippo Capello e Andrea Bozza

Calcio

Negli studi di Sky Sport 24 a lezione sul nuovo mondo del pallone: “Compare in Italia? Interessante come non mai”. Rispondono Pierfilippo Capello e Andrea Bozza, esperti di diritto sportivo: "Per Elliott il Milan è asset industriale. Il nuovo calcio? Un franchising, e dimenticatevi del proprietario che compra per amore della propria squadra"

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Investimenti, fondi, asset, Foreign Ownership e Multiple Club Ownership. Industria applicata al mondo del calcio e al sistema calcio. Un nuovo universo raccontato da chi lo conosce molto bene. Perché oggi conviene comprare un club in Italia? Milan-Elliott, come mai il fondo americano ha cambiato le proprie strategie? E ancora: il modello (vincente) della Red Bull, il nuovo calcio che saluta i proprietari innamorati della propria squadra per dare il benvenuto agli investitori e il “franchising” del pallone: sapete quante squadre passione il fondo Abu Dhabi United Group oltre al Manchester City? Lo hanno spiegato loro, intervenuti negli studi di Sky Sport 24: Pierfilippo Capello e Andrea Bozza, entrambi esperti di diritto sportivo.

Comprare in Italia? Conviene

Il ritornello è ormai quello che sentiamo da molti anni: il calcio italiano, dal punto di vista sportivo, è in crisi. Di campioni, di qualità e di appeal. Lo stesso vento che negli ultimi tempi sembra però essere cambiato di nuovo, in positivo. La Juve pigliatutto che arriva al fenomeno CR7, l’Inter di nuovo in formato Champions, la Roma che in quella coppa raggiunge una storica semifinale o il Milan dove sembra oggi respirarsi un’aria nuova. Sì, ma dal punto di vista industriale cosa succede realmente? Risponde Pierfilippo Capello: “Succede che comprare in Italia è estremamente interessante per un investitore straniero, perché molti degli asset sono oggi sottovalutati”. Il punto è semplice: “Ora si possono comprare squadre italiane, e con bilanci quasi in ordine, investendo somme con le quali all’estero, in campionati più blasonati, non ti avvicini nemmeno alla cifra richiesta. È proprio sul traino della Juve, del Milan con Elliott, dell’Inter di Suning o della stessa Roma che in poche stagioni si possono avere ottimi riscontri”. I vantaggi sono allora tanti, spiegano i due esperti, compresi quelli sottolineanti anche da Andrea Bozza: “Non dimentichiamoci che per un investitore straniero uno dei problemi principali è capire chi possa rappresentare al meglio il suo lavoro, ebbene oggi, grazie al trattamento fiscale agevolato di alcuni top manager che vengono a lavorare in Italia, l’investitore straniero può portare con sé più persone di fiducia per il proprio progetto”.

Milan-Elliott, l’analisi della situazione

Tra i nomi dei club citati c’è ovviamente anche l’esempio del Milan, guidato dal fondo americano soltanto da qualche mese ma con risultati sportivi (per ora) sicuramente migliori rispetto alla precedente gestione della cordata cinese. Bozza fa subito chiarezza: “Elliott è un fondo di investimento speculativo, che ha centinaia di investimenti in diversi settori industriali, e tutti molto diversi”. Come arriva a capo del Milan? Semplice: “Per l’effetto del mancato rispetto degli impegni economici della precedente gestione. Di fatto Elliott era entrato nel club milanese nell’ottica di un mero investimento finanziario, con un prestito importante che produceva interessi e utilità importanti. Ma quello che oggi è molto interessante è che lo stesso fondo Elliott si stia attrezzando e stia attualmente lavorando sul Milan non più con l’ottica dell’investimento di breve-medio termine, ma con quello a medio-lungo termine”. Prosegue Capello, il cui padre sulla panchina rossonera ha vinto praticamente tutto: “Nel mondo dell’industria un fondo che finanzia una realtà ha normalmente un orizzonte di cinque anni. Investe cento - punta ad aumentare il mercato, la sua visibilità, le sue strutture - e cinque anni più in là rivende a duecento. Elliott sta facendo questo: è entrato nell’orizzonte milanista con un’operazione finanziaria da dentro/fuori e con un orizzonte a brevissimo temine (18 erano mesi i mesi per restituire il prestito, ndr), ma ora sta considerando il Milan come un asset industriale”. Da far crescere.

Red Bull, il modello MCO è vincente

Lo scontro “fratricida” era arrivato il 20 settembre scorso, quando Salisburgo e Lipsia si sono affrontate nell’andata del girone di Europa League. Stemmi simili? Colori e nome anche? Il motivo è semplice: la famosa bibita energetica ha investito in entrambe le squadre, e portato a termine un modello più che mai vincente. Cosa hanno fatto? “Hanno investito nel calcio partendo dall’area tedesca e austriaca - ha detto sull’argomento Andrea Bozza -, ma molti non sanno che hanno anche una squadra a New York e una in Brasile”. Stiamo parlando delle MCO, le Multiple Club Ownership: “Sono modelli non del tutto nuovi, perché già nel 2006 ENIC (gruppo d’investimento britannico, ndr) era diventata proprietaria di club come Vicenza, Tottenham e non solo, ma al tempo arrivò il blocco dell’Uefa che decise di non far partecipare club dello stesso proprietario nella stessa competizione. Il caso Red Bull? Ce l’hanno fatta con un escamotage legale per cui il Lipsia è controllato operativamente non direttamente dalla Red Bull ma da associati”. E i risultati? Sono sotto gli occhi di tutti. Il famoso energy drink ha preso per mano gli austriaci nel 2005 portandoli, da quel momento in poi, a nove titoli vinti in dodici anni. Mente il Lipsia, in sei anni, ha messo in fila tre promozioni fino alla Bundes e, nel 2017, l’approdo niente meno che in Champions League. Modello vincente, come non mai. 

Il calcio in “franchising”

Sulla scia della Red Bull, ecco un altro aspetto estremamente interessante del nuovo mondo del pallone dove oggi viviamo, quello in cui gli investitori non si limitano quasi masi all’acquisto di un solo club ma allargano i propri orizzonti per puntare a una visione molto più ampia. Capello conferma: “Chi compra un club spesso parte da un campionato importante, l’esempio del Manchester City è perfetto, per poi però ragionare sul piano industriale. Se io proprietario compro diversi club, in diversi campionati e in categorie diverse avrò allora, sempre dal punto di vista industriale, un abbattimento dei costi, la possibilità di spostare risorse e di creare risorse nello stesso sistema, trasformandolo quasi in un franchising”. Chi? “Il City, per esempio, perché ci sono diversi altri club controllati dalla stessa proprietà del Manchester (la City Football Group, ndr) che sono sparsi in tutto il mondo, e che giocano in tutti i livelli”. L’esempio nell’esempio è il caso di Patrick Vieira, continua Capello: “Lui ha smesso di giocare col City, poi è andato ad allenare i giovani del club e poi è stato mandato nei ‘loro’ New York City come allenatore. L’obiettivo era farlo maturare, e vedere se fosse in grado di gestire questo ruolo ma senza mai farlo uscire dal gruppo. Si può dire essere un allenatore cresciuto nel sistema”.

Dimenticate Moratti e Berlusconi

L’ultimo punto in agenda è allora sul delirare chi siano queste figure, chi c’è alle spalle di questa nuova visone del calcio? Sempre Capello: “Siamo passati dall’idea del proprietario della squadra di calcio inteso come appassionato, Moratti o Berlusconi ne sono perfetti esempi. Imprenditori sì e con alle spalle un gruppo, ma coinvolti principalmente per passione (e spesso perdendo soldi). Oggi i soggetti presenti sono diversi: il fondo d'investimento, il fondo sovrano di uno stato o il gruppo internazionale, figure che comprano non per la sola passione ma perché vogliono investire. E la differenza tra comprare e investire sta proprio nel concetto di quale sia il ritorno che si vuole ottenere dall’investimento stesso”.