Il Papa e il Santo: Francesco, il primo pontefice dichiaratamente tifoso (del San Lorenzo)

Perdonate la franchezza in un momento del genere, ma che il primo Papa argentino della storia sia stato anche il primo Papa dichiaratamente tifoso è tutto tranne che una cosa sorprendente. D'altra parte, se si suol dire che da quelle parti il fútbol è una vera e propria religione, qualche motivo ci sarà...che poi ‘l'altra fede’ di Jorge Mario Bergoglio si sia rivolta a un club che porta il nome di un santo, fondato da un prete, che porta i colori della veste di Maria Ausiliatrice e che è diventato improvvisamente celebre in tutto il mondo grazie a un Papa, potete vederla come una serie di curiose e divertenti coincidenze. Ma allora preparatevi, perché di coincidenze, in questa storia, ne troverete davvero parecchie. Papa Francesco è nato nel 1936, primo dei cinque figli di una coppia di nette origini italiane: il papà veniva della provincia di Asti, salpato da Genova meno di un decennio prima per sfuggire all'avanzata del fascismo, mamma invece era discendente diretta di liguri. E' nato a Buenos Aires, e lì quello che conta davvero è il quartiere di provenienza, il barrio. Perché ti definisce, ti caratterizza e ti forma. Il suo quartiere è Flores, che a livello sportivo si identifica nel San Lorenzo de Almagro: il collegamento è forte, perché suo papà è stato giocatore di pallacanestro del club e perché a lui il calcio piace tantissimo. Nonostante le limitazioni dovute a un'operazione ai polmoni sostenuta in tenera età, lo gioca con gli altri ragazzi della zona, e fra di loro è possibile che ci fosse anche il grandissimo Alfredo Di Stéfano: Don Alfredo ha dichiarato pubblicamente che effettivamente è capitato che giocassero insieme, però la leggenda madridista era di dieci anni più grande, e questa storia non è mai stata confermata direttamente dal Pontefice... quel che invece è assolutamente certo, è che la routine domenicale della famiglia Bergoglio prevedesse la presenza alla Santa Messa, il pranzo dove non mancava mai la pasta con il sugo di carne, e poi la gita al Gasómetro. Lo stadio del San Lorenzo. La casa dove vedeva giocare il suo grande beniamino René Pontoni e il famoso Terceto de Oro. A volte è davvero questione di coincidenze fortunate, ma sono solo il punto di partenza. A favorire il fervore azulgrana di Jorge Mario è il fatto che nel 1946, quando lui ha dieci anni e trepida sugli spalti, il San Lorenzo schiera una delle squadre più forti e iconiche nella storia del calcio argentino, tanto che una tournée europea in cui diede lezioni di calcio nella penisola iberica sommergendo di gol sia la nazionale portoghese che quella spagnola, è considerata in Spagna la vera origine del tiki-taka, perché il pubblico si innamorò talmente tanto di quel magistrale gioco fatto di tecnica sopraffina, passaggi continui e spettacolare capacità realizzativa da imporlo di fatto come modello per gli sviluppi futuri. Il piccolo Bergoglio non si perdeva mai l'occasione di ammirare dal vivo le gesta del magnifico tridente di quel San Lorenzo: lo formavano il Mamucho Martino, vorticoso dribblomane che giocava a sinistra per poter rientrare sul piede forte e che a ben vedere fu un esempio in anticipo di decenni rispetto alla tendenza oggi stabilizzata di giocare con le ali a piede invertito, il Chueco Farro – il meno vistoso e celebrato dei tre ma forse il più importante in termini di collegamento con gli altri ingranaggi – e soprattutto René Pontoni, l'educato, gentile ma implacabile cannoniere di Santa Fé. Non era difficile averlo come idolo al tempo: parliamo di quello che nella seconda metà degli anni Quaranta era indubbiamente il miglior attaccante sudamericano, nonché il principale terminale offensivo di una squadra che giocava e vinceva talmente bene da creare attorno a sé un alone quasi divino. Perfetto, verrebbe da dire, per impressionare l'anima già votata alla trascendenza di un futuro Papa. Di quelle giornate vissute nella bolgia del Gasómetro, Papa Francesco darà diretta testimonianza in più momenti. Uno, appena dopo la sua ascesa al soglio, quando scrisse una lettera all'amato San Lorenzo de Almagro nella quale, oltre a confermare l'intenzione di continuare a sottoscrivere la sua tessera di socio del club numero 88235, ricordava testualmente “quel gol di Pontoni!”, che poi citò anche di fronte alle squadre nazionali di Argentina e Italia, andate a omaggiarlo nell'agosto del 2013 alla vigilia di un'amichevole in programma allo stadio Olimpico. Di fronte a Messi e Buffon, a De Rossi, Chiellini, Di Maria, Higuain e tanti altri, Jorge Mario Bergoglio, con il tipico sorriso che gli si accendeva quando parlava di calcio, disse “chissà se riuscirete a segnare un gol come quello di Pontoni...”. Ma come fu quel gol? Parliamo di domenica 20 ottobre del 1946, e il Gasómetro scoppia perché c'è in programma il clásico fra San Lorenzo e Racing Club, che terminerà 5-0 per un Ciclón sempre più involato verso la conquista del titolo. A un certo punto il ‘Petardo’ De la Mata, mancino baffuto e imbrillantinato dalle stoccate esplosive, mette un cross in area. Pontoni è spalle alla porta, e ha due marcatori ai lati che sembrano guardie armate. Stoppa di petto e immediatamente dopo, non si sa come, alza la gamba destra a novanta gradi e calamita il pallone con il collo del piede, tenendolo sospeso per un tempo indefinibile nell'aria, come un acrobata preso in un numero di equilibrismo artistico. Tutto si ferma, tranne lui. Che fa una mezza giravolta, dà una leggera spinta alla palla per farla andare oltre i due difensori e poi la scaglia al volo infilzando il portiere Ricardo. Si dice che lo stupore fu tale che nessuno gridò il gol se non diversi secondi dopo. Quella fu l'epifania calcistica del futuro Papa Francesco, che poi rimarrà sempre legato ai suoi colori rosso e blu, quelli che Padre Lorenzo Massa, il prete che fondò il club riunendo in oratorio i ragazzi che giocavano per strada, scelse come omaggio alla veste di Maria Ausiliatrice, figura particolarmente cara a San Giovanni Bosco e di conseguenza eletta a patrona della squadra. Oltre a rinnovare ogni anno la sua tessera di socio pagando regolarmente la quota e oltre ad averlo reso celebre in tutto il mondo con la sua ascesa al soglio pontificio, nella sua evoluzione da semplice sacerdote a cardinale, da Arcivescovo di Buenos Aires fino a Papa, quel ragazzino che credette di vedere un miracolo nel controllo e tiro al volo di Pontoni non ha mai perso occasione di testimoniare la propria presenza al fianco delle sorti del San Lorenzo de Almagro. Materialmente ma anche in modo, se volete, soprannaturale. Andiamo al 2011, due anni prima della sua comparsa con la veste bianca in piazza San Pietro: è una domenica di festa nel club, perché viene ufficialmente inaugurata la nuova Capilla Lorenzo Massa, una cappella donata dal celebre attore americano Viggo Mortensen, dichiarato e sfegatato tifoso del Ciclón. Ovviamente, il rito è officiato dall'Arcivescovo di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio, che per celebrare l'occasione impartisce la Cresima a due ragazzini del settore giovanile. Uno di loro viene da Rosario, curiosamente da un quartiere che si chiama Flores come quello di Buenos Aires in cui è nato Papa Francesco. Questo adolescente ha alle spalle una storia difficilissima e nel suo percorso di crescita nel calcio sta riscattando tanto dolore, oltre che mostrando un talento davvero promettente. Si chiama Ángel Correa. Esatto, quell'Ángel Correa. Che nella storia del San Lorenzo tornerà esattamente quando vi farà ritorno, con il nome eterno di Papa Francesco I, anche il sacerdote che lo cresimò. Il 2013 è infatti l'anno santo per eccellenza per il club argentino, che da quel 13 marzo e dal momento in cui tutti scoprirono che anche un Santo Padre può avere una ‘seconda fede’, ottenne un'impennata straordinaria in termini di immagine. Per il San Lorenzo è praticamente l'inizio di una nuova epoca, sia in termini concreti – vista l'improvvisa ondata di popolarità su scala mondiale – sia in termini più legati al misticismo che viene spesso e volentieri accostato al calcio in Sudamerica, perché il momento dell'elezione del Papa cuervo coincide perfettamente con quello in cui la squadra imprime una sensibile accelerata ai propri destini sportivi. Fin dalla prima partita, quella disputata il 16 marzo contro il Colón, per la quale il San Lorenzo decide di scendere in campo con una speciale divisa celebrativa che riporta l'effige del nuovo papa. Una partita che, dopo una serie di risultati poco soddisfacenti, viene vinta grazie a un rocambolesco autogol e con numerosi episodi fortunati, tanto da indurre un popolare quotidiano argentino a descriverla come la seconda ‘Mano de Diós’ della storia del calcio. Il 31 marzo, due settimane dopo, invece è il giorno di un altro momento estremamente significativo, passato inizialmente sottotraccia. È il giorno in cui, nel secondo tempo di una complicata partita contro il fortissimo Newell's del ‘Tata’ Martino, fa il proprio esordio nel calcio professionistico il diciottenne Ángel Correa: dimostra subito di saperci fare e nel giro di un mese e mezzo trova il suo primo gol, nientemeno che in un clásico vinto 3-0 sul Boca Juniors. Il successo viene festeggiato a migliaia di chilometri di distanza dallo stesso Papa Francesco, che viene immortalato in una foto carica di umanità, in cui lo si vede salutare con tre dita alzate un gruppo di tifosi sanlorencisti in piazza San Pietro a Roma. Poco più di un anno dopo, nell'estate del 2014, Correa – considerato a quel punto uno dei più promettenti talenti del calcio mondiale – viene acquistato dall'Atletico Madrid. C'è però una clausola nel contratto di vendita: dovrà rimanere al San Lorenzo finché non avrà concluso la campagna in Copa Libertadores, la Champions League sudamericana, il più importante trofeo calcistico del Nuovo Mondo, l'ossessione da sempre del club, che in 106 anni di storia è stato capace di vincere qualsiasi cosa, tranne quella. E il San Lorenzo de Almagro è in semifinale, vicinissimo a coronare il proprio sogno. Un sogno che diventerà reale dopo la vittoria nella doppia finale contro il Nacional di Asuncion, alimentando ulteriormente l'alone mistico attorno alla connessione con il nuovo Papa, capace di rompere anche la più antica maledizione che incatenava la sua squadra del cuore. Un trionfo che arriva però di contro in giorni di vero e proprio incubo per il prodigioso ragazzino, che proprio prima delle semifinali, durante le visite mediche sostenute in Spagna con il suo futuro club, scopre di avere una formazione tumorale al cuore e viene operato d'urgenza a New York. Intervento che Correa supera brillantemente, tornando a giocare nel giro di un anno, togliendosi la soddisfazione di vincere un'Europa League, una Supercoppa Europea e una Liga con l'Atletico Madrid segnando peraltro un gol determinante nella partita decisiva a Valladolid, oltre che Copa America e Mondiale con la Nazionale argentina. Un altro intervento divino? O un'altra, seppur incredibile, coincidenza? Chissà, forse solo la straordinaria storia di amicizia e di fede fra un Papa e un Santo.

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Stefano Borghi