Perché in Italia giocano pochi Under 21

Su Sky Sport Insider, quando era ancora Ct della Nazionale Under 21 , Carmine Nunziata aveva detto questo a proposito dei giovani in Italia: “Non è una questione di qualità, ma di esperienza. Un giocatore migliora solo se gioca e se gioca tante partite di un certo livello”. Non era necessariamente da interpretare come un segnale d’allarme, ma una constatazione: l’Italia ha bisogno di maturare esperienza, se vuole fare in modo che la sua Nazionale possa eccellere. Il problema risiede proprio in questo: i giovani giocatori, in Italia, ne fanno abbastanza? Spoiler: no. E lo spiega uno studio promosso dal Cies che ha analizzato, su un range di 50 paesi e considerando l’anno solare del 2025, la percentuale dei minuti giocati dagli Under 21 eleggibili per la Nazionale del paese della Lega, cioè i giocatori che hanno spazio nella loro Nazione di appartenenza. Il risultato non è lusinghiero. Italia in coda Se si guarda solo la percentuale dei minuti, l’Italia è al penultimo posto con l’1,9%, sopra agli Emirati Arabi e sotto alla Saudi League . Un dato in senso assoluto abbastanza chiaro, che però richiede comunque una sua interpretazione. Se si considerano infatti i 5 top campionati europei, la percentuale è sì maggiore, ma non in maniera esponenziale. La Ligue 1 è al 7,8% , a seguire ci sono la Liga spagnola , la Bundesliga e solo al quarto posto la Premier League , che resta il campionato più competitivo al mondo anche, ed è una conseguenza naturale, per investimenti. Come spiegarlo? È proprio una questione di spazi: i giovani ne hanno di meno, perché in campionato si vedono giocatori molto più affermati, magari stranieri. Se andiamo ancora più a fondo, oltre la percentuale c’è anche il dato in media dei giovani impiegati in rapporto alle singole squadre: la Ligue 1 ne fa giocare 4,9 a club; la Liga 3; la Premier 2; la Bundes 1,9; l’Italia 1,7. Fa però riflettere anche il podio: al primo posto c’è l’Australia , quindi la Serie A serba , infine la Serie A danese . Campionati dove, escluso forse il terzo, le possibilità di acquistare giocatori stranieri sono più ridotte e dove il talento viene più facilmente coltivato in casa. Come interpretarlo? Non ci stupiamo – non è la prima volta che lo sentiamo dire – che in Italia i giovani giochino poco. Ma ci stupiamo di più a vederne pochi in Premier. Dove chi gioca, però, è evidentemente più pronto. E si apre un altro grande tema: quello della formazione. Alla ricerca di spazio Perché, si è visto, In Italia, c’è poco spazio. Ma all’estero? Il Centro studi dell’Uefa ha ulteriormente ampliato la ricerca, mostrando il dato dei giocatori Under 21 impiegati in questi 50 paesi. Non è nemmeno un mistero che l’Italia abbia esportato parte del suo potenziale nel mondo: in totale i giovani che sono scesi in campo sono stati 101, un numero che ci pone circa a metà di questa speciale classifica. Basti pensare a giocatori come Koleosho o Kayode, giusto per fare due nomi. Al primo posto c’è l’Argentina e non è un dato che di nuovo ci stupisce molto: il Sudamerica vende molti giocatori anche giovanissimi all’estero. Con esempi illustri: Mastantuono, 18 anni, sta iniziando a trovare spazio nel Real Madrid. E non è per nulla poco. “Niente populismi, ma servono riforme” Proprio in merito al tema, ha parlato il nuovo allenatore del Genoa De Rossi, la cui squadra per età media è peraltro al quinto posto . “Il problema grande è che bisogna seminare: servono riforme, i cui risultati verranno visti fra 10 anni”. In rosa, il Genoa ha proprio due giovani Under 21 che hanno avuto poco spazio, Venturino e Fini: “Il problema è che noi siamo tantissimi” ha detto De Rossi. “È difficile fare l’allenamento a dare a tutti la posizione giusta. Il problema loro è questo, le qualità le hanno tutti e due”, proprio come diceva Nunziata. Servono riforme? Sì. Un modello potrebbe essere il tennis, spiegato nel dettaglio da Michelangelo Dell’Edera proprio su Sky Sport Insider, che proprio si fonda sul concetto di formazione e nel rendere pronti i ragazzi ad affrontare le nuove sfide sportive. L’altro, che non deve essere necessariamente alternativo ma parallelo, sarebbe investire nelle strutture, come ha detto Fabio Paratici, ds del Tottenham che resta comunque molto legato alla ‘sua’ Italia. In tutti i casi, il dato è chiaro e per l’Italia è critico. Ma potrebbe essere anche un primo, drastico, punto di partenza. Soprattutto per formare i ragazzi.

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Valentino Della Casa