Roma, tra la rosa e le idee di Juric c'è un problema di compatibilità

Se bisogna attendere più di ottanta minuti per creare una pericolosa situazione offensiva contro l’Elfsborg è chiaro che esiste un problema. La traversa colpita da Pellegrini rimane l’unico spunto realmente concreto negli ultimi trenta metri in una partita dove il possesso palla fine a se stesso è sembrato essere il tema dominante. Non l’unica nota stonata, peraltro. La metà campo totalmente sguarnita a disposizione degli svedesi mette al centro la questione decisiva. Qual è il livello di compatibilità tra gruppo e idee di Juric? Perché quella metà campo disabitata a disposizione prima delle ripartenze del Venezia e poi di quelle dell’Elfsborg rappresenta il manifesto del 'vorrei ma non posso'. Con un allenatore cresciuto con il DNA della ri-aggressione come concetto centrale e un gruppo privo delle caratteristiche per rappresentare con i fatti quell’idea. E allora accade che la Roma entri in campo con la volontà di dominare ma il tentativo di dominio porti infausti effetti collaterali. Perché esiste la possibilità di perdere il pallone e in quel momento c’è un confine per niente sottile che segna la differenza tra chi può giocare in un modo e chi non può farlo. È tutto racchiuso in una frazione di secondo. A palla persa il concetto di riaggressione feroce diventa questione di vita o di morte. Non si può farla a metà: o ti riesce o non ti riesce, e a quel punto sei in balia del pericolo. È uno stato fisico e mentale fatto di ore e ore di addestramento e applicazione. Se parte con una frazione di secondo di ritardo e non è accompagnata da marcature preventive succede quello che succede alla Roma. Si apre il campo per l’avversario e si soffre, tanto, anche con squadre non di prima fascia. E allora si torna alla questione della compatibilità. Il gruppo era stato costruito per un’altra idea di calcio. Più controllo del gioco attraverso un possesso strutturato su diverse modalità. Sviluppo sulle corsie laterali. Più qualità e meno aggressività. La scelta intempestiva di mandare via De Rossi porta con sé un corto circuito che va oltre la questione emotivo/ambientale. Vuol dire passare da una filosofia di gioco a un’altra totalmente opposta. E arriva la confusione a mala pena mitigata dalla reazione di pancia successiva all’esonero di De Rossi. Una reazione che porta alla prova convincente, intensa contro l’Udinese. Poi il buon primo tempo in Coppa con l’Athletic Bilbao e poi il buio, inevitabile. Effetto di una strategia indecifrabile. La Roma rimane un progetto di difficile definizione. Non è né una squadra di eccelsa qualità, né una formazione capace di giocare un calcio fatto di duelli a tutto campo e ad alta intensità. Esiste una soluzione? Difficile intravederla in questa confusione di intenti. E non aiutano neanche gli investimenti fatti sul mercato. A parte Dovbyk, nessun nuovo tesserato sta incidendo. Hummels ed Hermoso in ritardo di condizione, soprattutto l'esperto difensore tedesco, che non ha ancora esordito da titolare. Le Fee sparito . Kone poco considerato . E poi c’è Soulé, un caso a parte. Chiamato per fare l’esterno titolare nel 433 si ritrova ad agire da trequartista alternativo a Dybala. Arrivato in estate con i crismi del fuoriclasse, dopo sole 8 partite stagionali ha già perso posizioni nelle gerarchie di squadra: ieri 65 minuti in campo, un paio di tiri e qualche dribbling, ma anche un senso di spaesamento nei confronti dei nuovi schemi di Juric. L’urgenza è nella costruzione di un board di natura calcistica. Un gruppo di professionisti capaci di indicare un percorso. Il calcio in mano alla gente di calcio, mettendo da parte l’algoritmo, potrebbe essere la risposta a un momento a crescita zero. Perché al netto di una squadra senza identità ciò che neanche si intravede è la partenza di un riconoscibile progetto tecnico.