Jack Wilshere, la continua illusione dell'Arsenal

Premier League

Emanuele Atturo

A 25 anni il talento inglese sembra già un ex giocatore. Ieri però è rientrato fra i titolari dopo mesi e ora sembra poter tornare utile all'Arsenal di Wenger

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Nel novembre del 2008 si giocano i quarti di Coppa di Lega inglese tra Arsenal e Wigan, una di quelle partite interessanti quasi solo perché Wenger può mettere in vetrina i giovani dell’Academy. Tra di loro quella sera c’è Jack Wilshere: ha meno di 16 anni, è mancino e gioca trequartista. Alla fine del primo tempo riceve una palla tra le linee, il primo controllo sembra un po’ difettoso ma dà il tempo ai compagni di correre in profondità. Col terzo tocco Wilshere confeziona un filtrante che buca la difesa avversaria e manda in porta Jay Simpson. Il telecronista in diretta dice: «Sembra il Liam Brady dei tempi migliori».

20 minuti dopo Wilshere stoppa una palla respinta dalla difesa dopo un calcio d’angolo e col secondo tocco, un interno sinistro morbido come la seta, lancia Carlos Vela in campo aperto. Il messicano brucia sullo scatto l’avversario e serve a Simpson il pallone della doppietta.

Quando Wilshere viene sostituito, l’Emirates Stadium gli tributa una standing ovation e a fine partita riceve il premio di migliore in campo, con la tradizionale bottiglia di champagne che si accompagna in questi casi, che però non può accettare perché per la legge inglese è troppo giovane per gli alcolici.

Dopo la partita Wenger è costretto a rispondere a diverse domande su Wilshere, specie sulla sua possibile coesistenza con Fabregas: «Ama dribblare più di Fabregas; Cesc è più un passatore. Wilshere è più un giocatore che ama cambiare direzione e cercare gli scambi; Cesc è un rifinitore con una visione di gioco improvvisa».

Jack Wilshere nella sfida di Carling Cup contro il Wigan.

Wilshere in quel momento sembra la risposta inglese ai centrocampisti tecnici e brevilinei che la Spagna aveva iniziato a produrre in quegli anni, temperando un po’ la piega ultrafisica che il calcio stava prendendo. Dopo anni di centrocampisti box-to-box, tutto-fare nel corpo di quattrocentometristi, Wilshere era la rappresentazione che anche il calcio inglese poteva cambiare, cercando uno stile di gioco più di controllo sul pallone. Lo stesso Wenger lo aveva definito con un’immagine efficace: «Wilshere ha la tecnica spagnola ma il cuore inglese».

Pochi mesi prima di quella partita Wilshere aveva esordito in Premier League. A 16 anni e 265 giorni è il giocatore più giovane dell’Arsenal a farlo, scalzando in questa classifica proprio Cesc Fabregas. In un 4-2-3-1, il modulo di riferimento del calcio europeo in quegli anni, Wilshere può giocare sulla linea dei trequartisti in tutte e tre le posizioni. Ha la visione di gioco e il controllo dello stretto per stare al centro e divincolarsi negli spazi più stretti, ma è abbastanza veloce per essere utile anche allargandosi sulla fascia, dove può prendere spazio e sfruttare la sua abilità nell’uno contro uno. Fabio Capello, ct dell’Inghilterra, si è lanciato subito sul carro della “next big thing”: «Se Wenger lo farà giocare, me lo porto al Mondiale in Sud Africa».

Ho scritto questa lunga premessa per restituirvi il tipo di considerazione di cui godeva Jack Wilshere a inizio carriera. Sono passati 9 anni dal suo esordio e oggi fatichiamo a far tornare alla mente l’immagine di Wilshere come giocatore più atteso dal calcio inglese. Oggi ha ancora 25 anni ma da tempo ormai le persone hanno smesso di aspettarsi qualcosa da lui. In questa stagione ha giocato appena 560 minuti nell’Arsenal e negli ultimi due anni - uno dei quali passati in prestito al Bournemouth - è stato fuori per infortunio per un totale di 370 giorni. Numeri quasi da giocatore inattivo.

L’uso del talento

Dopo i suoi esordi la carriera di Wilshere aveva già iniziato a prendere una traiettoria meno lineare. Al termine della sua stagione d’esordio, il trequartista gallese avrà messo insieme poche presenze e non andrà ai Mondiali. Viene girato in prestito al Bolton, dove Wilshere fa bene nella seconda parte dell’anno, ma inizia a mostrare limiti di adattamento al contesto inglese.

Nonostante l’attitudine allo scontro fisico e al gioco intenso della Premier, Wilshere è utile solo quando può associarsi palla a terra con i compagni vicini. Non è un giocatore da grandi strappi ma un cucitore di gioco e nel contesto frenetico della Premier League è difficile trovargli un’utilità. In Inghilterra i giocatori offensivi devono saper manipolare lo spazio più che la palla, punendo gli avversari nei momenti in cui perdono le distanze. Le eccezioni sono rare e riservate a quei calciatori che riescono a imporre il proprio tempo alla partita - Özil, David Silva, Eriksen - ma Wilshere non è quel tipo di calciatore. Come l’Arsenal, accetta i ritmi alti della Premier League, declinandoli in un gioco di scambi veloci palla a terra. I “gunners” di Wenger, la squadra che lo ha formato, diventa praticamente l’unica in cui può esprimersi.

Nel 2011/12 torna all’Arsenal ma inizia ad essere flagellato dai problemi fisici. Salta tutta la stagione per un infortunio alla caviglia e alla fine non può presentarsi sui palcoscenici che avrebbero potuto consacrarlo, prima gli Europei e poi le Olimpiadi. Wilshere comincia a rientrare nell’immagine del giocatore dal talento luminoso e fragile, che non riesce a sopravvivere al darwinismo del calcio contemporaneo.

L’anno successivo l’Arsenal cede van Persie, e Wilshere decide di assumersi la responsabilità di vestire la maglia numero dieci. È la sua stagione migliore. Vince il premio di migliore in campo contro il Queen’s Park Ranger, poi contro il West Ham, e in quel periodo firma un nuovo contratto. Per dare la misura di quanto tempo sia passato, eccovi le parole di Wenger: «Jack è già ora un leader della squadra e lo sarà ancora di più in futuro. Siamo davvero contenti di aver rinnovato il suo contratto».

Alla fine di quell’anno l’Inghilterra vince 2 a 1 un’amichevole contro il Brasile e Wilshere spicca per la sua capacità creativa sulla trequarti, in un contesto in cui ci sono giocatori come Neymar, Rooney e Ronaldinho. Prima di quella partita Gerrard aveva definito “scary” (pauroso”) il talento di Wilshere; Lampard aveva parlato di «Un giocatore fantastico. Ha qualità col pallone e velocità per saltare l’uomo. Sarà un giocatore enorme, in Inghilterra e nel mondo». Dopo la partita Hodgson dirà che Wilshere può arrivare senza problemi tra i migliori giocatori del mondo; gli chiedono se non sia azzardato mettergli così tanta pressione: «Finché lui è così a proprio agio con la pressione qual è il problema?».

Wilshere in effetti sembra poter sostenere il peso del proprio talento senza debolezze. Dopo l’infortunio di Vermaelen indossa la fascia da capitano nell’Arsenal. L’anno dopo gioca spesso più avanti, sull’esterno offensivo, e segna molto. Nel momento caldo della stagione però si infortuna al piede e salta alcune sfide decisive. Quando rientra, il 28 maggio contro il Norwich, segna il gol più bello della stagione secondo la BBC ed è una sineddoche della carriera di Wilshere: bellissimo e inaffidabile. In realtà è un gol dalla bellezza collettiva, uno di quei momenti in cui l’Arsenal trasforma la trequarti avversaria in un flipper di cui lui solo conosce le regole; eppure è un gol che inizia e finisce con Wilshere, e che descrive bene le sue caratteristiche, il tuo talento nel mantenere una grande sensibilità tecnica in velocità, in spazi stretti, in verticale.

La stagione 2015/16 inizia con un infortunio che sembra essere di poco conto, che però si trasforma in uno stop di tre mesi. Il giocatore inizia a perdere le speranze: «A volte è difficile restare positivi, dopo tutti gli infortuni che ho avuto, che sono davvero frustranti». La prospettiva dell’Europeo si allontana. Wilshere ha saltato per problemi fisici tutti i grandi tornei dell’Inghilterra, magari non ci sarebbe arrivato da protagonista, ma con le sue qualità non si sa mai.

Wilshere inizia a vivere un’inversione della propria condizione fisica: sono più i giorni in cui sta male che quelli in cui sta bene. Il paradosso di un corpo medicalizzato ad appena 24 anni. La cessione in prestito al Bournemouth, nell’estate del 2016, sembrava certificare che la fragilità fisica di Wilshere non era più sostenibile per una squadra di alto livello.

Nella squadra di Eddie Howe, Wilshere non gioca trequartista ma da play di un centrocampo a due e gli viene chiesto soprattutto di usare la sua visione di gioco per tagliare le linee di passaggio con dei passaggi in verticale. A fine ottobre Wilshere riesce a restare in campo per 90 minuti in una sfida contro il Tottenham: è la prima volta dopo 771 giorni. È un fatto così eccezionale che il comico David Schneider descrive il giocatore allucinato a fine partita.

Wilshere gioca una buona stagione, senza troppi acuti ma mettendo in mostra il suo talento con una certa continuità, anche se l’arretramento del suo raggio d’azione lo rende meno appariscente. In ogni caso conclude la stagione con una media di 2.7 dribbling ogni 90 minuti (nella zona centrale del campo) e 1.7 passaggi chiave. La bontà della sua stagione è certificata dal fatto che Eddie Howe, il manager del Bournemouth, commenta con amarezza il fatto che il club non poteva permettersi di riacquistarlo.

Il problema è che Wilshere ad aprile si infortuna di nuovo al perone. Wenger per indicare ciò che manca a Wilshere usa la parola “consistent”, che possiamo tradurre con “costanza”: «La sua carriera è stata fermata da tanti infortuni. Ad alti livelli la cosa più importante è la costanza. Quando stai fuori per tanto tempo poi è difficile riprendere l’intensità del ritmo partita. Giocatori come Cristiano Ronaldo giocano 50, 60 partite all’anno. Hanno la fortuna di non essere fermati dagli infortuni. È triste quindi vedere la situazione di Jack».

Rientrato

A fine agosto si allena con l’Arsenal e gioca con l’U-23. In una partita contro il Manchester City un avversario gli entra male, lui si rialza, lo prende per il collo e si fa espellere. Il suo contratto scadrà a fine anno e il suo futuro è incerto. «Ha il talento per diventare importante per la nostra squadra, ma deve tornare a giocare in modo costante», ha detto Wenger.

Oggi Wilshere ha pochi capelli, la faccia un po’ scavata e parla della sua situazione con malinconia: - «A volte quando sono a casa mi chiedo cosa succederà. Ho solo sei mesi di contratto rimasti» - o con un velo di senilità - «Ho imparato ad ascoltare di più il mio corpo. Se sento che c’è qualcosa che non va mi fermo».

Wenger lo rimette nelle rotazioni in Europa League, e nel contesto agevolato dai ritmi più bassi Wilshere mostra in quanti modi può essere utile all’Arsenal. Nella squadra camaleontica (o confusa, a seconda dei punti di vista) di quest’anno Wenger ha già usato Wilshere in tante posizioni. Mezzala ibrida di un 4-3-3, protetto da due centrocampisti più fisici; trequartista destro di un 3-4-2-1, bravo a ricevere nel mezzo spazio di destra; ala sinistra, che stringe molto, in un 3-4-3.

Non solo la tecnica ma anche la rapidità d'esecuzione in spazi stretti.

In ciascuna di queste posizioni Wilshere offre verticalità e qualità nel gioco tra le linee. Pur essendo un giocatore tecnico, che ama giocare palla a terra, Wilshere non è un giocatore di controllo ma un acceleratore di gioco. Appena la palla gli arriva tra i piedi, cerca immediatamente una traccia verticale e si butta nello spazio, per offrire un uno due o addirittura per andare a concludere in area.

Con una piccola finta di corpo Wilshere ribalta il campo verso la porta del West Ham. Poi non viene seguito nell'ultimo passaggio, che era buono.

A fine novembre, con 13 minuti di Premier League giocati, Wilshere ha ammesso le proprie preoccupazioni: «Voglio giocare, quindi ovviamente sono frustrato. Proverò di tutto. Ma penso che con la società dovremo parlare della possibilità di partire a gennaio. Abbiamo un mese di tempo, vedremo cosa succede da qui in avanti». Si è parlato di lui per il West Ham o addirittura per il Betis di Quique Setien: un contesto di calcio associativo dove sarebbe interessante e allo stesso tempo stranissimo vederlo.

Proprio mentre tutti lo avevano relegato nella periferia delle proprie attenzioni, Wilshere è tornato all’improvviso una soluzione credibile ai problemi dell’Arsenal. Lo ha fatto in maniera lenta e silenziosa, affermandosi sul palcoscenico triste e impolverato dell’Europa League, ma ora in molti sostengono che il suo inserimento potrebbe aiutare la squadra. Un tema che conferma il talento di Wilshere, sui cui non sembra mai troppo tardi scommettere, ma anche le difficoltà dell’Arsenal, che si è ritrovata improvvisamente piena di giocatori su cui aveva forse delle aspettative troppo alte, e che ora è costretta a scommettere sul vecchio.

Dopo aver giocato in tutte e 6 le partite di Europa League, segnando un gran gol contro il BATE Borisov, ieri, contro il West Ham, Wenger lo ha schierato titolare, mezzala destra del 4-1-4-1 che non è riuscito ad andare oltre lo zero a zero. Non giocava titolare una partita con la maglia biancorossa dal maggio del 2016. Nonostante il risultato grigio, maturato in un contesto tattico ambiguo, Wilshere ha giocato bene, mostrando le sue qualità migliori: tecnica eccelsa nel primo controllo, verticalità, creatività e una straordinaria intelligenza negli smarcamenti e nel trovare sempre delle tasche di spazio fra le maglie avversarie.

Con i suoi tocchi e i suoi smarcamenti da calcetto sulla trequarti Wilshere può alzare all'improvviso la qualità e la velocità di una manovra che pare stagnante.

Non è chiaro però in quale ruolo voglia usarlo Wenger. Nel 3-4-2-1 - che è un po’ il modulo di riferimento quest’anno - Wenger lo vede dietro alla punta: «Per me Wilshere deve giocare nel mezzo spazio alle spalle del centrocampo avversario. Controlla bene la palla, dialoga con i compagni negli spazi stretti. Per questo credo che il 3-4-2-1 si sposi bene su di lui. Il suo ruolo è un po’ in conflitto con Özil e Sanchez, ma lo considero un’alternativa giocabile fra queste tre». La sua permanenza all’Arsenal, allora, dipenderà molto dai progetti che il club ha per Özil e Sanchez. E se si sentirà ancora di voler scommettere sulla fragilità fisica di un giocatore che è impossibile guardare senza un po’ di tristezza, che, pur a 25 anni, sembra aver già alle spalle i propri anni migliori.

La parabola di Wilshere è un ottimo esempio di come nel calcio contemporaneo ad alti livelli la sfortuna può stroncare anche i talenti più luminosi. Ma che al contempo le occasioni per riprendersi sono tante, anche se ogni volta sembra sempre un po’ più difficile. Quando Wilshere si è affermato la storia e la geografia del calcio erano completamente diverse, e ora il suo inserimento sembra quello, difficoltoso e a piccoli passi, dei soldati reduci dalla guerra. Wilshere si è fermato sempre un attimo prima di corrispondere pienamente all’idea che tutti avevano di lui, ma sarebbe un peccato smettere proprio ora di pensare che possa ancora realizzare qualcosa di grande.