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Il 'Massimo' della Premier: gli stadi speciali del calcio inglese

Premier League

Massimo Marianella

©Getty

Il fascino degli stadi del passato, entrando idealmente all'interno di Highbury e del vecchio Wembley: due luoghi simbolo del calcio inglese, anche oggi che sono stati rimpiazzati da impianti all'avanguardia

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Per me sono senza nessunissimo dubbio uno degli elementi distintivi del fascino del calcio inglese, forse quello principale. Perché gli stadi sono il simbolo, la cartolina dei club. La culla e il teatro della loro storia e ora anche il segno e lo strumento della ricchezza e del cambio dei tempi. Prima bastava seguire il profumo di cipolla alla griglia, il grido degli ambulanti "programme" oppure quello "Hats, scarves and badges" oppure, per le partite in notturna, semplicemente usciti da una stazione ferroviaria o della metro alzare lo sguardo per cercare i quattro piloni della luce agli angoli del campo. Ora cipolla programmi e sciarpe costano molto di più e sono, ad eccezione del programma, molto più, sì pure le cipolle, globalizzati ed altrettanto lo sono gli stadi. Quelli della generazione precedente avevano più fascino perché unici, meravigliosamente diversi l’uno dagli altri. Diverse erano persino il disegno delle panchine e delle reti.

Una veduta dall'esterno di Anfield Road - ©Getty
Alcuni tifosi comprano panini prima di Stoke City-Southampton di Premier. A fianco un venditore di "programme" davanti allo stadio del Sunderland - ©Getty

Stadi di ieri e di oggi a confronto

Oggi sono più simili tra loro, ma mantengono comunque un’anima differente. È Il concetto di partenza ad essere diverso. Quelli costruiti diciamo fino al 1930 dovevano rappresentare il club con uno stile architettonico particolare ed essere, in senso figurato, un amico in più dei tifosi, anche lui con la sciarpa al collo, per vivere la partita assieme agonisticamente e farla sentire quella presenza e quella storia ai giocatori avversari, ora sono il salotto bello di un’azienda che per mantenere quegli standard, anche agonistici, deve offrire e vendere servizi di livello. Siamo passati dalla birra allo champagnedalle pies ai cocktail di gamberetti. Difficilissimo far passare il concetto che bagnarsi in caso di pioggia, stare in piedi per 90' o al massimo con seggiolini di legno e braccioli di ferro con qualche parcheggio sterrato fuori e qualche chiosco all’interno dalle file interminabili che aveva nel "menù" pies, birra, cioccolato, patatine e forse un sausage roll era meglio di scale mobili, parcheggi sotterranei, ristoranti stellati e sedie di pelle imbottita con catering nelle suites di chef stellati e nei popolari innumerevoli soluzioni di cibo di diverse etnie.

Il nuovo Tottenham Hotspur Stadium, stadio inaugurato nel 2019 e tra i più innovativi al mondo - ©Getty

Ne sono cosciente, ma…a me piacevano molto di più quelli di prima. Bellezze di periferia intriganti e coinvolgenti oggi sostituite da algide modelle un po' rifatte. Rifatte benissimo, ma senza un grande animo. Prima dovevano generare passione, oggi soldi. Belli in modo diverso. Il più bello di tutti e non a caso quello che ha trovato per merito del club, l’equilibrio migliore per mantenersi al passo (economico) della storia nel pieno rispetto della tradizione, resta Anfield ed è infatti un capito a parte di questa nostra passeggiata nella storia del calcio inglese. Gli altri due che restano nel mio cuore non ci sono più: Highbury e il vecchio Wembley. Per me hanno rappresentato un punto di arrivo vero. Prima personale e poi professionale. Quelli che mi hanno picchiato sulla spalla bisbigliandomi che i sogni a volte si realizzano.

Marianella ad Anfield prima di Liverpool-Barcellona, semifinale di Champions League 2019. Su SkySport.it uscirà un capitolo a parte dedicato al tempio dei Reds giovedì 28 maggio

Welcome to Highbury

Highbury era stupendamente incastonato tra le case di un quartiere di media borghesia con una facciata che anche oggi è diventata sede di condomini ed è rimasta a tramandare ricchezza calcistica. Non ho dimenticato nulla. I gradini bianchi, il portone principale di ferro battuto nero e l’ingresso di armo con il busto di Herbert Chapman. Le panchine erano diverse, strette e in ferro battuto bianco all’uscita di un tunnel strettissimo dove i giocatori sbucavano in campo a due a due. 

Lo stadio di Highbury tra le case dell'omonimo quartiere, nel nord di Londra - ©Getty
Highbury: a sinistra il portone di ferro battuto nero, a destra gli ex manager dell'Arsenal George Graham e Arsene Wenger davanti al busto di Herbert Chapman - ©Getty

L’orologio che sovrastava la Clock End, le reti molto profonde che inghiottivano i palloni e con i pali di sostegno dietro verdi. Più tardi avrei scoperto una strettissima scala a chiocciola che portava in tribuna stampa sopra le panchine (beh non centrale, più spostato verso sinistra) e sulla tribuna difronte le postazioni di commento a strapiombo sul campo su un balconcino (per arrivarci bisognava scavalcare il muretto) di ferro appeso tra le due tribune. 

L'iconico orologio in cima alla Clock End a Highbury - ©Getty

Il mito di Wembley

Wembley ha sempre rappresentato non solo per me il mito. Era un punto di arrivo per tutti. Giocatori, dirigenti, giornalisti tifosi. Le due torri erano il simbolo della grandezza e dei trofei. Aveva mille difetti dell’età. Si è retto fino al nuovo millennio dal 1923 al 2000 sul fascino della storia e tanto bastava. Per andare nelle postazioni commento c’era un montacarichi di ferro e all’uscita una signora che ti offriva thè e sandwich con un signore che ti regalava un programma (uno contato) che forse erano lì dalla "White Horse Final", la prima della storia della FA Cup giocata lì. Tutto era maestoso, uguale e un po' impolverato, e il bello era quello. 

Invasione di campo sul prato di Wembley al termine della "White Horse Final" del 1923, la prima finale di FA Cup vinta 2-0 dal Bolton sul West Ham - ©Getty
Una visione dall'alto del vecchio Wembley con le due celebri torri - ©Getty

Arrivavi con la metro dal centro e quelle due torri che ti guardavano in modo un po' severo ti facevano sentire bene, orgoglioso. Oggi non ci sono più ed è un vero peccato anche se in un certo senso giusto. Highbury era però il mio sogno. Me lo sono goduto tutto e resterà per sempre il MIO stadio. Da bambino avevo fatto il giro guidato e avevo giurato a me stesso che un giorno sarei tornato da giornalista. Quando ho messo per la prima volta la cuffia in testa lì...