Il Napoli frena ma rimane al secondo posto. L’Inter vince, li raggiunge, e avanza la sua nomination. Sei punti di distanza dalla Juve e sei ragioni per essere la vera rivale di Cristiano Ronaldo & Co. Più chance per l’Inter o per il Napoli?
È un’etichetta che non piace praticamente a nessuno, due parole: Anti-Juve. Chiedetelo e provate (se ci riuscite) a farvi dire di sì. Non da Carlo Ancelotti, non da Luciano Spalletti. Perché quella è la domanda scomoda per eccellenza: confrontarsi coi più forti che da sette anni non solo vincono ma dominano il campionato. Lo sa bene il Napoli, in passato qualche volta anche la Roma e meno l’Inter che sembra solo ora definitivamente risorta e pronta a guardare verso nuovi orizzonti. Essere per eccellenza la rivale dei bianconeri pesa: “Noi Anti-Juve? No, ci manca ancora qualche gradino” - ha detto, onesto, Mauro Icardi, anche dopo la vittoria sulla Lazio sesta di fila in A. Spalletti? “Più che Anti-Juve siamo l’Anti-Noi” - è la sua filosofia, temendo quelle ricadute non nuove dalle parti di San Siro. E della stessa musica è anche Carlo Ancelotti, già da settembre: “Noi l'anti Juve? Non ci interessa essere anti qualcuno, pensiamo solo a crescere ed essere competitivi”. La sentenza finale? Per loro - diremmo se fossimo a X Factor - è no. Ma quali sono le ragioni del sì?
INTER, autostima e fiducia
Parola d’ordine “consapevolezza”, è quella che cambia una squadra e la proietta verso nuovi obiettivi. Guardarsi ed esserne sicuri: siamo forti. L’Inter? Non sembra affatto lontana da quella parola, specie dopo il convincente 0-3 esterno sul campo della Lazio. Padroni del campo, raramente in sofferenza e con un Handanovic costretto sì a qualche parata ma mai troppo complessa. I nerazzurri stanno facendo il loro calcio, Spalletti nel post punzecchia e sottolinea più i lati negativi del secondo tempo, ma il cambio di rotta rispetto al passato è evidente. La svolta della stagione ha una data precisa: martedì 18 settembre, nella sfida al Tottenham preceduta da quattro punti su dodici in campionato e che ha dato la scossa. Sempre loro: Maurito prima e Vecino poi. Uomini chiave che stanno prendendo per mano squadra e stagione.
Fattore Icardi
Tra i singoli c’è anche certamente Brozovic, nella sua posizione strategica in mezzo al campo che ha fatto tornare l’Inter “Epic” nella scorsa stagione, guidando la rimonta fino al quarto posto Champions. Anche i nazionali post Mondiale stanno facendo bene, ma chi trascina tutti è innegabilmente il capitano Mauro Icardi. L’inizio di stagione? Negativo, perché Maurito mai aveva dovuto aspettare la sesta giornata per trovare il primo centro in campionato, ma poi… sei gol nelle ultime cinque partite. Sette in stagione. Il secondo centro contro la Lazio è valsa la sesta rete per l’argentino negli ultimi sette tiri in porta tentati in campionato. Settima personale delle ultime nove di squadra dei nerazzurri in A. Non solo: dei quattordici giocatori con almeno 4 gol in stagione Icardi è quello che tocca di meno la palla: 191 volte. Riepilogo semplice: al primo pallone buono è decisivo, e quando tira… segna.
Difesa blindata
Davanti e dietro: la consapevolezza del primo punto in elenco si equilibra nei due successivi. Se l’attacco continua a far bene col cinismo di Maurito, dietro le cose vanno ancora meglio. Sei appena i gol subiti (nei top 5 campionati europei meglio solo City, Liverpool e Atletico Madrid), e cinque le partite con Handanovic da imbattuto. De Vrij è il nuovo mattone inserito nel muro già eretto da Skriniar, ma la forza di Spalletti sta anche in un centrocampo bravo nel filtro e nell’abilità di ruotare i propri uomini. Miranda ne è l’esempio perfetto, dentro per tutelare l’ex Lazio dalla bordata di fischi e prodigioso in quel recupero del primo tempo su Immobile che forse avrebbe potuto cambiare la partita. E se non ci pensano loro c’è sempre lo sloveno coi guantoni, non certo costretto agli straordinari come un tempo ma anche lui decisivo nella serata dell’Olimpico.
NAPOLI, abitudine a lottare
Scendendo più a Sud le motivazioni sono sicuramente più alte: merito di tre stagioni mai sotto al terzo posto, per lo più proprio alle spalle di quella Juve che a volte sembrava prendibile ma che poi non lo è mai stata per davvero. Ancelotti ha dato il cambio a Sarri, ma il gruppo — al netto di qualche perdita - è sempre lo stesso. Quello abituato ai piani alti e senza vertigini da ormai molto tempo. Persi sì Jorginho e Reina, fondamentali in campo come nello spogliatoio, ma acquistati Ruiz e Verdi. Prima ancora l’ultima (e unica) cessione pesante fu Higuain. Stop, parola d’ordine: continuità. E quella consapevolezza che l’Inter sta raggiungendo dalle parti di Napoli è realtà già da molto tempo, per questo è arrivato ormai il momento di alzare l’asticella.
Talento e gol
Se Napoli brilla è sicuramente merito dei suoi giocatori offensivi. La punta di diamante è ovviamente Lorenzo Insigne, che anche il suo capitano Hamsik ha eletto come “miglior calciatore italiano”. Mai come quest’anno. Già otto gol in dodici partite: segna in campionato (6) come in Champions (2), dove ha fatto ruggire il San Paolo all’ultimo respiro contro il Liverpool, finalista dello scorso anno. Meglio della squadra di Ancelotti solo la Juve, con 21 centri a 19. Merito di Lorenzo “il Magnifico” ma anche di Mertens (5), Milik (3), con anche Verdi e Ounas in gol in attesa di Callejon. L’altra arma Napoli che ha segnato il cambiamento di gestione tecnica: addio ai fedelissimi, benvenuto alle rotazioni. Così che l’alternativa può essere la vera arma in più della stagione.
Valore aggiunto
E alla fine c’è proprio lui: Carlo Ancelotti. Il passaggio al 442 non meno importante del passaggio dall’integralismo di Sarri e dei suoi titolarissimi all’elasticità con cui l’ex - tra le altre - di Juve e Milan ha sempre adattato moduli e tattiche ai giocatori a disposizione. Più quell’abilità a vincere che ormai fa parte del suo DNA, un possibile perfetto punto d’incontro con quell’abitudine ai piani alti (ma mai altissimi) del Napoli degli ultimi anni. Campione praticamente ovunque: già in Italia, più Inghilterra, Francia e Germania. E d’Europa tre volte. Successi costruiti sui campioni e dentro lo spogliatoio, dove Ancelotti ha sempre fatto quadrare i conti, gli umori e le motivazioni. “Leader calmo” che ha prestato la sua esperienza in un libro scritto a sei mani con Chris Brady e Mike Forde. Essere una guida e conquistare menti, cuori e vittorie: Ancelotti sa bene come farlo. E forse non c’è nessuno meglio di lui per vincere per davvero.