Giampaolo: "Mi piacciono le nuove idee di Conte. E che bravi De Zerbi e Fabregas..."

Parli di calcio con Marco Giampaolo e ti suona strano pensare che un allenatore così da oltre due anni sia fuori dal campo. Non si è fermato un attimo in questo lungo periodo dall’ottobre del 2022 quando si consumò l’addio alla Samp: tanto calcio, in Tv e dal vivo, in Italia ed in Europa, perché non si finisce mai di imparare e si può continuare a crescere. Poi c’è chi riesce anche a ‘proporsi’ in modo più convincente sul mercato ma questo si sa è un limite del personaggio Giampaolo e lui stesso non fa fatica ad ammetterlo: “Io non faccio nulla per promuovermi, non sono capace e non l’ho mai fatto. Credo al lavoro sul campo, al rapporto con i giocatori e non dedico tempo ad altro, forse sbagliando ma sono fatto così”. Le occasioni arriveranno, negli ultimi mesi non sono mancati alcuni contatti ma è troppo importante scegliere un futuro giusto per lui dopo le ultime esperienze negative prima al Milan, poi al Torino e infine come detto alla Sampdoria: “Non posso sbagliare la scelta, devo rientrare in una squadra che abbia delle caratteristiche tecniche che mi sono consone. Una squadra che abbia un buon tasso tecnico da proporre, che sappia giocare”. Le ultime esperienze negative forse sono servite proprio a capire questo: “Non tutti gli allenatori sono uguali e incidono in maniera identica e con gli stessi tempi e non parlo soltanto del modo in cui fanno giocare le squadre. E’ una questione di caratteristiche proprio come per i giocatori, non c’è un peggio né un meglio. Non credo che un allenatore debba adattarsi e basta. E’ compito della società, che sceglie l’allenatore, mettere a disposizione i calciatori giusti alla proposta di gioco che si vuole fare. Poi il calcio cambia in continuazione di anno in anno e un allenatore deve essere in grado di stare al passo”. E negli ultimi due anni tante cose sono cambiate. Adesso la normalità è diventata l’aggressione uomo su uomo a tutto campo e gran parte delle squadre ama giocare in questo modo, molto diverso dalla concezione di Giampaolo: “E’ vero, soprattutto in Italia ma ci son tante sfumature. Si può difendere anche uomo contro uomo ma poi, quando si entra in possesso di palla bisogna avere un’idea di gioco da sviluppare. Oggi è difficile andare in pressing avendo come riferimento lo spazio perché quasi tutte le squadre sanno uscire bene da dietro. Sono cambiate anche le caratteristiche che si chiedono ai calciatori. Un centrocampista per esempio oggi deve sapere fare tutto, sia la fase da palleggiatore che quella da incontrista ma se chiedi a me ancora prediligo il centrocampista che sappia giocare. E’ vero poi che i grandi calciatori sono in grado di fare tutto”. Quali sono diventati i ruoli chiave per questo calcio? “Sicuramente il portiere. Nel calcio di oggi è lui veramente l’uomo libero, quello che ti può dare la superiorità numerica sia nella fase di uscita dal basso con il pallone sia con il lancio lungo, che diventa uno schema ben definito. Il portiere oggi deve avere proprietà tecniche, balistiche, cognitive e la gittata lunga e può diventare un elemento che fa la differenza. Quando sono stato al Torino avevo Milinkovic Savic. Lui è un esempio di portiere con queste caratteristiche. Posso citare fra i più bravi Maignan o la scelta della Juventus di puntare su Di Gregorio pur avendo Szczsney. Per il gioco di Thiago Motta Di Gregorio è certamente più adatto. Il portiere ideale però è quello scelto da Guardiola per il City. Ederson ha i piedi e la testa di un centrocampista. Guardiola resta sempre il più bravo perché sceglie i giocatori che ritiene adatti alla sua idea e li mette nelle migliori condizioni di esprimersi e poi riesce sempre a modernizzarsi. Ho letto ultimamente alcune critiche perché il gioco del City ogni tanto adesso si affida anche al lancio lungo. Ma quella è un’esigenza legata proprio al modo in cui le squadre affrontano il City andando spesso in pressione alta. Direi che è uno sviluppo ulteriore che Guardiola ha messo al suo gioco potendo contare su un attaccante come Haaland, non è certo un adattamento”. Oltre al portiere ci sono altre priorità? “Nel calcio dell’uno contro uno gli esterni vanno scelti con cura. Tornando alla Juventus per il calcio di dominio che vuole fare Thiago Motta la scelta di puntare su esterni di grande qualità è quella giusta. Peccato che nelle grandi squadre in Italia in quel ruolo ci siano quasi solo stranieri e questo ha un effetto anche sulla Nazionale che infatti deve giocare in un modo che penalizza inevitabilmente i vari Politano, Chiesa, Orsolini o Zaccagni che sono gli unici o quasi ad avere queste caratteristiche. Altro ruolo fondamentale è quello dell’attaccante, che deve essere in grado di saper giocare ma anche di avere delle profondità, un attaccante che non sia bravo solo sul corto ma che sappia allungare la squadra quando serve”. C’è un modulo di gioco che prediligi in questo momento? “Penso che non esista più un sistema di gioco e basta. I numeri sono un’esigenza giornalistica ma oggi, anche nell’analisi che si fa, andrebbero distinte le due diverse fasi di attacco e di difesa. Tutte le squadre attaccano con un modulo e si difendono con un altro. C’è chi attacca con 4 uomini, chi con 5 e i più coraggiosi anche con 6. Nella fase difensiva spesso si gioca 5 contro 5. Voglio dire che le strategie delle squadre cambiano in funzione dei giocatori che si hanno molto più che in passato. Ricordo che il Barcellona fu una delle prime squadre a giocare con Messi come falso nueve in una fase in cui non si difendeva 1 contro 1. Quando Messi veniva incontro si liberava lo spazio e si creavano occasioni. Oggi non sarebbe possibile perché ci sarebbe sempre un difensore incollato alle spalle e quindi oggi c’è bisogno di un attaccante con caratteristiche diverse per quel ruolo”. Dell’attuale serie A cosa ti è piaciuto di più per ora? “Il Napoli fa cose molto interessanti. Si vede che il tempo in cui è rimasto fermo Conte è stato bravo ad approfondire altre cose. Sta sviluppando idee nuove direi quasi avanguardiste. Il dominio del gioco, diverse sfumature nella costruzione con la palla che ti mettono in difficoltà, la posizione di Kvara e Politano che si accentrano, i terzini che spingono molto, la costruzione anche a sei su un lato. Vedo molte cose nuove e fatte benissimo, certo la possibilità di lavorare tutta la settimana aiuta molto. Mi piace molto il Como, l’idea di gioco di Fabregas è chiara e i giocatori scelti per attuarla mi sembrano giusti: penso a Nico Paz che mi ha fatto una grande impressione ma anche a Strefezza, Sergi Roberto e Fadera, tutti giocatori che valorizzano l’idea dell’allenatore. Poi l’Empoli, un posto dove sanno di calcio e hanno un settore giovanile pazzesco. Come l’Atalanta è un modello per tanti club economicamente più forti, l’Empoli andrebbe invece studiato da tutte quelle squadre che non hanno grandi possibilità e che vogliono provare a fare calcio a certi livelli. La Lazio sta facendo molto bene, Baroni ha fatto la sintesi di quello che era successo un anno fa quando si è passato da Sarri a Tudor, due allenatori agli antipodi, e lo sta facendo al meglio. Tornando al discorso delle caratteristiche, credo che lui sia un allenatore che riesce ad adattarsi bene nelle varie situazioni. L’Inter come qualità e come rosa resta la più forte, ha un canovaccio ben collaudato e Inzaghi sa sfruttare al meglio i giocatori a disposizione. Stesso discorso per l’Atalanta che cambia sempre molto ma che trova sempre i giocatori adatti a Gasperini e che ha in attacco gente come Lookman e De Ketelaere perfetti per il calcio di oggi”. All’estero invece oltre a Guardiola e al City? “In Premier certamente mi piacciono molto Arsenal e Aston Villa e poi seguo sempre De Zerbi. Al Brighton ha fatto cose splendide, a tratti è stato entusiasmante, e adesso quando posso guardo con curiosità il Marsiglia”. Se l’occasione di tornare in panchina arrivasse dall’estero? “Nessuna preclusione. Come ti dicevo la mia sarà una scelta tecnica e non certo economica, quindi se ci saranno le condizioni sono pronto anche ad andare all’estero”.