Il ritorno di Pioli a San Siro: l'arte di innamorarsi del Milan

Nascere interista, riscoprirsi milanista. E innamorarsi del Milan. Lo hanno chiamato ‘padre Pioli’ quando è arrivato. C’era un po’ di ironia, visto il momento disastrato dei rossoneri. Negli anni, ‘padre Pioli’ è diventato un santone, e tornare a San Siro alla guida di una squadra diversa in qualche modo, ne siamo certi, gli porterà più di qualche farfalla nello stomaco. Perché il legame con il Milan è diventato indissolubile. E indissolubile è rimasto: non importa se il rapporto lavorativo si sia concluso. Importa quello che si è costruito. E sappiamo tutti cosa si è costruito. Inter, il passato Pioli è arrivato, o meglio tornato, a Milano tra tanti dubbi. Il Milan lo ha chiamato, lui ha risposto ‘presente’ ma era chiaro che avrebbe dovuto lavorare su quel suo passato interista che lo ha riguardato da allenatore. E se vogliamo, anche un po’ da tifoso: lo aveva detto lui stesso negli anni precedenti alla sua avventura in rossonero, che era cominciata con tutte le premesse di essere un traghettatore. Aveva preso il posto di Giampaolo nell’ottobre del 2019 e aveva esordito con un 2-2 casalingo contro il Lecce di certo non esaltante: gol del giallorosso Calderoni quasi al fischio finale, con Donnarumma battuto. Sembrava l’inizio della fine, ma qualcosa cambia: arriva Ibra, le cose iniziano a sistemarsi anche se non migliorano in maniera sensibile. Poi, il lockdown di marzo. E forse la svolta parte proprio da lì. All-in Nel dramma della pandemia, Pioli è bravo a creare un rapporto speciale con i suoi giocatori: tante riunioni via Zoom per tenere il gruppo compatto, mentre parallelamente si lavora per trovare un sistema di gioco diverso. “Puntiamo tutto sulla ripresa, vediamo come andrà” è quello che in buona sostanza dice l’allenatore allo staff e ai giocatori. Un tentativo di all-in, che da un traghettatore ci si può aspettare. Nel poker bisogna rischiare: giochi e vedi come va. Alla ripresa del campionato, il Milan porta a casa 29 punti in 11 partite: 9 vittorie e 2 pareggi. Di fatto, vince quel mini-torneo e Pioli riesce a ottenere la riconferma: era la linea di Maldini e Massara, diversa da chi avrebbe preferito Rangnick e un progetto tutto diverso. Pioli firma due anni di contratto. È l’inizio… dell’inizio. Secondo posto e ritorno in Champions nella stagione 2020/21 dopo anni di assenza, lo scudetto l’anno dopo. Non è solo una questione di trofei , ma di rapporti: l’allenatore è diventato compagno, padre, fratello maggiore di tanti ragazzi. È diventato un simbolo per i tifosi, l’emblema di una rinascita faticosa, arrivata quasi per caso ma non del tutto per caso: perché certe qualità le hai dentro e le porti sempre con te. Pioli ha sempre creduto nella forza del gruppo: la mattina allenava i giocatori, il pomeriggio li frequentava. Voleva capire sempre come stessero, come andasse anche la loro vita familiare. È ‘on fire’, diventa quasi un tormentone. Si innamora. Del Milan e di Milano, dove spesso torna: lo ha fatto anche nei giorni scorsi, durante la pausa delle nazionali. Ha lasciato amici, rapporti. E ha sempre vissuto ad altissima intensità la sua avventura rossonera: a Milanello si presentava quasi sempre alle 7 del mattino. Magari dopo aver fatto colazione in un bar a Solbiate Arno, a 2 kilometri dal centro sportivo che raggiungeva a piedi. Le camminate non erano da solo: con lui spesso c’era il figlio, Gianmarco, che ora non fa più parte del suo staff, così come altri storici collaboratori. Perché la vita cambia e quella di ‘padre Pioli’ è stata davvero ‘on fire’. Prima, durante e dopo il Milan. Con il cui ambiente ha instaurato un rapporto bello. Autentico. Come quei regali che ogni anno faceva ai suoi giocatori e al suo staff: weekend sul lago di Como, iPad, scooter o delle grigliate a Milanello. Anche questo è servito a unire e tenere un gruppo diventato bellissimo. E a far tornare il Milan a vincere.

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Peppe Di Stefano