Eroi dell'Unità d'Italia: i 90 anni di Martini, il ct saggio

Ciclismo
Alfredo Martini (a sinistra) alla presentazione del Giro d'Italia (Ansa)
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Venerdì 18 febbraio compie gli anni un fiorentino atipico, l'uomo che ha coperto d'oro il ciclismo italiano, guidandolo per 23 anni da ct. "Bartali non mollava mai, Coppi il più grande, Merckx il più forte, ma il mio Bugno...". L'ALBUM DEL CICLISMO

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Le foto: Franco Ballerini, una vita a due ruote

Il buonsenso, l' altruismo, il dialogo, i toni pacati. Gli occhi svegli e la mente lucida. Sempre. Questo è Alfredo Martini, l'uomo che ha coperto d'oro il ciclismo italiano, guidandolo per 23 anni da commissario tecnico (1975-1997), che venerdì prossimo, 18 febbraio, compirà 90 anni. "Si diventa Alfredo Martini - dice lui - crescendo piano piano, avendo tanta buona volontà e mettendosi a disposizione degli altri".

La storia di Alfredo Martini, fiorentino atipico, è un viaggio lungo un secolo fatto su due ruote, dal ciclismo epico a quello dei "mercanti di veleni". Dalla biciclettina color argento, con cui a otto anni andò per la prima volta a veder passare lungo le strade di casa Alfredo Binda, all'ammiraglia della nazionale da cui ha guidato alla conquista dell'oro mondiale Moser (1977), Saronni (1982), Argentin (1986), Fondriest (1988), Bugno (1991-92), e portando all'Italia anche 7 medaglie d'argento e 7 di bronzo. Anche per questo, ma soprattutto per il suo essere Alfredo Martini, questo novantenne che ha sempre una parola per tutti, che si ferma per strada a stringere le mani, che va a vedere le corse con la passione intatta del ct, è circondato d'affetto. Ma l'elogio non gli piace. "Sono una persona normale e se rifletto sulla mia vita vedo più difetti che pregi, ma li tengo per me. E se penso ai progetti sono più quelli non realizzati di quelli compiuti".

Uno lo ha realizzato, quello di essere un maestro. "Ma ho imparato tanto da Binda, il mio primo ct. E un altro maestro è stato Girardengo, il primo a capire l'importanza dell' alimentazione. Poi sono arrivati i mercanti di veleni e hanno ammorbato il ciclismo". Nella valigia della vita di Martini ci sono tanti scompartimenti, alcuni sono sempre occupati. Sono quelli destinati "ai libri di Victor Hugo", "ai quaderni dedicati ai miei appunti e alle mie riflessioni. Dopo ogni mondiale facevo una relazione di 20 pagine", "al ricordo della vittoria di tappa a Firenze al Giro del 50, alla maglia rosa conquista nella Locarno-Brescia, 295 km, la più lunga di quello stesso Giro".

E i Mondiali? "Sì, bei ricordi, ma non ditemi quale preferisco. Sono tutti uguali, come uguale è l'affetto che ho per tutti i ragazzi che con me hanno corso". Tutti uguali, ma Gianni Bugno... "Era troppo buono, poteva vincere molto di più. Ma è stato il corridore più completo negli ultimi 30 anni".

E gli altri campioni? "Bartali non mollava mai, Coppi il più grande, Merckx il più forte, ma dobbiamo ricordare Nencini, Gaul, Koblet e poi Bitossi, Hinault, Indurain, Armstrong, Moser, Saronni, Bettini e molti altri che ho tutti nella mia testa e nel mio cuore". Uno è Franco Ballerini, che ha amato come un figlio. "Sì. Non credo ancora alla sua morte. E' il dispiacere più grande della vita". La morte del Ballero, il ct giovane, vincente e amato, il suo erede morale, è il dolore, e la gioia? "Mi piace ricordare le chiamate di Binda in nazionale nel 1948, '49, '50".

In un secolo di vita, Martini ha visto mille Italie. "Il caso Ruby? Lasciamo stare. Dico che prima un politico per una idea andava al confino. Ma l' Italia che mi piace di più è quella del dopoguerra: c'era tanta solidarietà". Nella valigia della vita di Martini c'è un posto vuoto: cosa ci mette? "Le foto, molte a colori e poche in bianco e nero. Ne ho una con Bugno in maglia iridata e Franco (Ballerini, ndr) che ci guarda". E' la sintesi dei 90 anni di Martini, il ct saggio.