Parigi Roubaix e Van der Poel, perché l'edizione 2024 entra nella storia

Ciclismo
Alberto Pontara

Alberto Pontara

van der Poel trionfa alla Parigi-Roubaix ed entra sempre più nel mito, dopo aver vinto il Fiandre solo una settimana prima. Questa edizione resterà nella storia per l'impresa del campione del mondo olandese e per altri record. A partire da quello di velocità

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Avete presente quando da bambini, in una giornata di libeccio e mare apparentemente calmo, vi scappava il pallone in acqua? Vi sembrava di poterlo raggiungere in due bracciate e invece il Super Santos volava via inesorabile, fino a perdersi al largo e non vederlo più. Devono aver provato questa sensazione, solo amplificata dalle vibrazioni del pavé e dalla fatica, Mads Pedersen e compagnia. A vedere Mathieu van der Poel, a 60 chilometri dall’arrivo, andare via in progressione: è lì, a 6 secondi, possiamo farcela. E invece, inesorabile, la sua sagoma si faceva via via più lontana, fino a perdersi nell’Inferno del Nord verso Roubaix, un mare non di acqua ma di pietre. Sono 3 i minuti di vantaggio del campione iridato al velodromo, il quinto distacco di sempre alla Parigi-Roubaix. L’olandese più che volante sembra un razzo supersonico: quando parte, con il suo attacco sprigiona cavalli di un’altra cilindrata, è un piacere vederlo. Il Fiandre una settimana prima, poi la Regina delle Classiche, una doppietta che entra nella storia dello sport, non solo del ciclismo. Alla Ronde avevano provato in ogni modo ad attaccarlo, la Visma-Lease a bike poi la Lidl-trek, un po’ tutti a turno. Lui aveva gestito e poi salutato tutti. Questa volta invece la sua Alpecin-Deceuninck  ha controllato e dominato la corsa fino a quando van der Poel ha deciso che poteva bastare così, che era il momento di salutare la compagnia e dirigersi verso la storia da solo, con tanto di colpetto affettuoso alla sua bici. Chi non ha visto correre Merckx, De Vlaeminck o Gimondi, oggi può immaginare cosa provavano tifosi, appassionati, tecnici ed esperti: questa generazione di fenomeni scatena fantasia, passione, godimento in ogni corsa. van der Poel, Pogacar, Vingegaard, Evenepoel, Van Aert, Pedersen, Philipsen, Roglic e…quanti fuoriclasse abbiamo la fortuna di vedere in quest’epoca nuovamente e finalmente d’oro del ciclismo. E in più, potendo godere di ogni istante della corsa grazie alle dirette integrali, e apprezzare tattiche, strategie e vita dentro il gruppo. Di questi ragazzi, terribili quando pedalano quanto alla mano, semplici e spensierati giù dalla bicicletta, ne parleremo tra 20, 30, 40 anni e più. Proprio come quegli altri, di quell’epoca così irreversibilmente lontana...

Una Roubaix che passerà alla storia, anche per una chicane...

La Roubaix 2024 passerà alla storia non solo per come ha vinto van der Poel. Verrà ricordata anche per la discussa sorta di chicane prima della foresta di Arenberg. Tanto rumore per nulla dirà qualcuno, ma il tema resta così come resta la natura del ciclismo, pericoloso per sua stessa essenza. Alla fine in quella tripla curva (destra, sinistra-destra) nessuno è caduto, non ci sono stati incidenti clamorosi in prossimità di quella variazione di percorso. Forse perché a quel punto si è arrivati con un gruppo già scremato e non numeroso, forse perché i corridori erano preparati mentalmente. Cercare di migliorare la sicurezza è sempre cosa buona e giusta, l’intento (con un intervento chiesto dall’Associazione dei corridori) era positivo, cercare di evitare a una velocità eccessiva l’ingresso ad Arenberg (uno degli stadi a cielo aperto del ciclismo: «Bada la gente», dice il “Magro”, e ha ragione). Van der Poel aveva commentato così, sui social, quella sorta di chicane: «È uno scherzo?» e forse non a torto. Ma i miglioramenti procedono anche per tentativi, e siamo fiduciosi che gli organizzatori affineranno anche questo tipo di precauzioni. 

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Certo è che più ragione di tutti ce l’ha Sonny Colbrelli, ultimo italiano vincitore a Roubaix, che prima della partenza ha detto: «Un consiglio ai corridori? Sopravvivere fino all’arrivo». Sì, perché la Roubaix è l’essenza stessa del ciclismo anche e soprattutto perché è una corsa a “eliminazione”: forature sul pavé (chiedere a Van Aert lo scorso anno), cadute, guasti meccanici sono elementi intrinsechi del ciclismo (Giovanni Bruno lo spiega bene QUI). Sarà un caso, ma la caduta più importante di giornata è avvenuta in uno dei tratti in apparenza più “innocui”. E ha tagliato fuori dalla corsa le speranze tricolori: Jonathan Milan, Elia Viviani ritirati e gara di Alberto Bettiol subito compromessa. 

Il record di velocità, un altro record

Media oraria: 47,802, avete letto bene. La Roubaix più veloce di sempre, un ritmo pazzesco considerando i 29 settori di pavé per oltre 55 chilometri corsi sulle pietre. Un ritmo impressionante, un segno di un ciclismo che tra materiali, allenamenti, preparazione, studio e alimentazione ha portato i corridori a sfidare – e spostare più in là – ogni limite. C’è un’immagine che forse più di tutte fa capire l’andatura – devastante – sostenuta dai corridori: Tom Pidcock che, inquadrato, sbuffa e con il polso fa il segno della sgasata quando si corre in moto. Un’immagine che vale più di mille parole. C’è un altro record, tra gli altri, che questa Roubaix porta con sé: la Alpecin-Deceuninck conquista le prime tre Classiche Monumento della stagione, mai successo prima: Sanremo, con van der Poel nei panni del gregario di lusso per la vittoria di Jasper Philipsen e poi Fiandre e Roubaix con il campione iridato (e altra doppietta con Philipsen secondo), sulle orme di un mito come Rik Van Looy del 1962. E segno che anche la Visma-Lease a Bike si può battere. Una corazzata che, oltre a Wout Van Aert, ha perso poco prima della partenza Dylan van Baarle. La sorte, in questa stagione, certo non sta aiutando i “calabroni”. 

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Paperino e Gastone “atomici”

Chissà se Van Aert ha guardato la corsa in tv. E, da “Paperino atomico”, avrà pensato ancora una volta di avere avuto la fortuna/sfortuna di correre negli stessi anni di “Gastone” van der Poel, pure lui atomico e forse galattico. L’olandese sembra baciato anche dalla buona sorte dei campioni: quando “vuole” vincere non ci sono forature e ostacoli che tengano; e se scivola, come al mondiale di Glasgow, per lui è roba da niente. È una dote – e che dote – anche questa. van der Poel in questa Roubaix ha scritto una pagina di storia. Eppure, in tanti avevano sulle strade di Francia anche striscioni e cartelli per Van Aert. Il belga è un Poulidor contemporaneo, un “eterno secondo” però amato tanto quanto l’olandese e talvolta forse di più. Caso del destino, Raymond Poulidor è il nonno di VDP. Fece breccia nel cuore dei francesi e non solo per la sua rivalità con Anquetil al Tour: “Maître” Jacques vinceva e “Poupou” arrivava puntualmente piazzato. Eppure, Poulidor era amatissimo. Il nipote ne ha invertito i destini familiari e destinato il rivale Van Aert al ruolo che fu del nonno. Ma nel ciclismo anche arrivare secondi può farti entrare nel mito. Ora aspettiamo che Van Aert si rimetta in sella dopo la terribile caduta nella Attraverso le Fiandre e ci auguriamo altri duelli entusiasmanti, come ci hanno abituato fin da quando erano ragazzini. Perché senza Ettore non c’è Achille. E senza epica il ciclismo che cos’è?