2 gennaio 1960, muore Fausto Coppi: il grande Airone ha chiuso le ali

“Il grande airone ha chiuso le ali”. Così scriveva Orio Vergani, penna sublime prestata al giornalismo sportivo e cantore delle imprese di Fausto Coppi, nell’articolo per il “Corriere della Sera” il giorno dopo la morte del Campionissimo. Il 2 gennaio 1960 l’Italia è in lutto: ha perso un simbolo, non solo sportivo, un ragazzo fattosi uomo durante la guerra, capace di resuscitare il Paese dalle macerie a colpi di scatti e imprese. Una delle prime stelle globali nel mondo dello sport, il marketing e i social sessant’anni prima del loro avvento, tra una pubblicità e un’ospitata in televisione al Musichiere con il suo nemico-fratello Gino Bartali. Il pezzo pubblicato quel gelido 3 gennaio sul “Corriere” spiega in maniera esemplare cosa è stata la vita di Fausto Coppi: potenza e fragilità, fino alla fine. “Ora che le ali del campionissimo si sono chiuse, non si può non ricordare quante volte la sua carriera e la sua vita stessa corsero rischio di essere spezzate da quello che si chiama abitualmente un banale incidente, una caduta come un ragazzo ne fa a centinaia, cavandosela con una sbucciatura ad un gomito o ad un ginocchio. Mai nella forsennata vertigine della corsa, quando la ruota della bicicletta va saettando a disegnare il sospeso fra la vita e la morte sul ciglio di un burrone: ma a metà di una pedalata senza storia, a passo di carovana, a passo di trasferta” Gli anni della Guerra, gli infortuni e la morte di Serse Vergani spiega in poche righe tutta la malinconica sfortuna di questo fenomeno della natura, nato e cresciuto in un paesino dei colli tortonesi, venuto alla ribalta per “ragioni di forza maggiore”, nel senso che la sua forza, potenza ed eleganza sui pedali erano tali da non poter essere notate. Coppi e la guerra che gli toglie gli anni più floridi della carriera : tornerà in sella nella primavera del 1946 dopo aver combattuto in Africa, dove rimase a lungo in un campo di prigionia inglese, perso tre stagioni e una miriade di possibili vittorie. Coppi e gli infortuni: nel 1950 si rompe il bacino in tre punti diversi, l’anno dopo tocca alla clavicola. In quel ciclismo di eroici, la sfortuna più grande è quella che tocca al fratello Serse, uno dei suoi punti di riferimento, in gruppo e nella vita. Sempre al suo fianco, a tirargli la ruota e tagliargli il vento, fido gregario e confidente, perde la vita dopo una tragica caduta sui binari del tram di Torino nel finale del Giro del Piemonte del 1951. Coppi e l’amore: il matrimonio con Bruna Ciampolini, la storia proibita con Giulia Occhini, ‘la Dama Bianca’ , l’opinione pubblica avversa e la disapprovazione del Vaticano. La condanna della coppia per abbandono del tetto coniugale e adulterio, l’esilio a Buenos Aires per poter dare il proprio cognome al frutto del loro amore, Faustino. Insomma, Coppi sembra aver già pagato dazio alla sfortuna e quando si avvia al finale di carriera, pensa solo al suo futuro e a quello della famiglia. Nel 1959 accetta di entrare nel progetto che vede Gino Bartali a capo di una squadra, ‘the last dance’ prima del ritiro definitivo già programmato per il 1960. I due grandi rivali uniti, per l’ultima volta, come accadde all’inizio della carriera di Fausto, vent’anni prima. “Fragilità fu la compagna sinistra di quest'uomo che per tanti anni sembrò un ragazzo, il ragazzo più forte di tutti, sostenuto da una energia quasi magica, una forza da racconto delle fate un trittico su cui poggiava il misterioso sistema delle sue capacità fisiche - cuore, polmoni, muscoli — nascondeva, quasi invisibile, un punto di estrema vulnerabilità”. Il viaggio in Africa, la malaria. E Geminiani... Alla fine del 1959, Coppi viene invitato nell’Alto Volta per una serie di eventi e criterium, unendo l’utile al dilettevole e prodigandosi anche in alcune battute di caccia, disciplina molto amata dal Campionissimo. Insieme a lui altri ciclisti di primo piano come Jacques Anquetil e il suo grande amico Rapahel Geminiani. L’Airone e ‘le grand fusil’ erano in camera insieme. Rientrati a casa, entrambi accusano febbre e malessere. A Coppi fu diagnosticata una ‘influenza asiatica’, Geminiani entrò in coma e fu ricoverato in ospedale con una diagnosi drammatica: Plasmodium Falciparum, la malaria. Diventa tristemente famosa la frase con cui i medici dell’ospedale di Tortona rispondono alla moglie del ciclista francese, che prontamente avverte della malattia e della cura salvavita, il chinino: “Voi curatevi i vostri pazienti, che noi curiamo i nostri”. Un vetrino letto male e troppa superficialità costano a Fausto Coppi la vita. “Io rimasi otto giorni in coma, altro che storie: mi ritengo un miracolato. Quando mi svegliai era il 5 gennaio. Fu mia moglie a dirmi che Fausto era morto”, ha ricordato Geminiani in un’intervista al “Giornale” nel giorno del suo 80° compleanno, lui che si è spento lo scorso luglio a 99 anni... "Ettore dammi aria": l'ultima borraccia del gregario Coppi muore alle 8.45 di mattina del 2 gennaio 1960 in un letto dell'ospedale di Tortona. Paolo Viberti nel suo libro “Coppi, l’ultimo mistero” racconta le ultime ore del Campionissimo. "Ettore, dammi aria", chiede sul letto di morte a Ettore Milano, suo fidato gregario e compagno di mille battaglie. Gli dà ossigeno. L’ultima borraccia. Racconterà in seguito: "Ebbe tre rantoli spaventosi: dopo il terzo le lenzuola si abbassarono di colpo, come se quella meravigliosa macchina d’ossigeno si fosse staccata per sempre". L’Italia si fermò improvvisamente: la notizia fece immediatamente il giro del mondo, pur senza l’ausilio del web e dei social. Il tam tam della radio, le edizioni straordinarie dei quotidiani , i pianti in mezzo alla campagna e i pellegrinaggi verso Tortona e Castellania. Arriva anche Gino Bartali, l’altra metà della mela. Non ha bisogno di tante parole, si dirige verso mamma Angiolina, che dopo Serse vive un altro lutto contro natura, con la morte del secondo figlio. La abbraccia, i due piangono insieme. E con loro tutto un Paese. “Fausto vinse sempre senza mai sorridere, quasi non credendo mai totalmente in se stesso. Sembrava sempre soprappensiero come stranamente e fissamente in ascolto di una qualche voce interna che gli andasse mormorando dentro una incomprensibile parola. Quella parola segreta non era: ‘Fortuna’. La guigne, vecchia parola dei tempi lontanissimi delle antiche corse su strada, ha rotto il filo della sua vita fragilissima, come un piccolo soffio di vento spezza il filo di una tela di ragno coperta di brina là sulle siepi invernali del suo paese di campagna”.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

2 gennaio 1960, muore Fausto Coppi: il grande Airone ha chiuso le ali