Il 2024 è stato il migliore anno della nostra vita (di certo il più veloce)

Piazza del Campo a Siena. Quai des Ardennes a Liegi. Via di San Gregorio a Roma. Promenade des Anglais a Nizza. Sechseläutenplatz a Zurigo. Piazza Cavour a Como. Può bastare? La miglior stagione da Eddy Merckx ’69: là tre monumenti e Tour . Qua, due monumenti e la tripla corona e in totale 25 vittorie per Tadej Pogačar, il Cannibale del nostro tempo. L’ultimo a quelle vette: Alessandro Petacchi nel 2005, ma era un velocista; per un altro all-around si deve risalire alle 26 di Sean Kelly 1984. Quarant’anni dopo, il 2024 – annus mirabilis – è già oltre la Storia e gli annali. È leggenda. A 26 anni, lo sloveno non ha trionfato in due corse: comunque podio alla Milano-Sanremo dietro Jasper Philipsen e Michael Matthews, settimo al GP Québec, test premondiale prima di chiudere da imbattuto fra Montréal, iride a Zurigo, Giro dell’Emilia e poker consecutivo al Lombardia . Ma è la qualità, oltre che il prestigio e la quantità, dei successi, ad averlo già proiettato nell’empireo dei grandissimi. E a speziarla col giusto pizzico di epica, oltre alle medie stratosferiche, è una stima tanto irreale quanto attendibile: 967 km in fuga sui 9959 km totali percorsi in 58 giorni di gara. Se sogniamo, non svegliateci. In medie stat virtus Mai, da quando esiste il World Tour, e figuriamoci pre-anni Duemila , si era andati così veloce: 42,229 km/h quella complessiva, nelle 36 corse da gennaio a ottobre, del massimo circuito professionistico; ben oltre i pur clamorosi 41,807 km/h del 2023. E vogliamo parlare delle imprese con fughe d’altri tempi, da ciclismo “eroico”, compiute in questa stagione? Pogačar ha stravinto il mondiale di Zurigo andandosene in solitaria ai -101,8 km, e chiudendo alla media di 42,4 km/h sui 273,9 km del circuito. Mathieu van der Poel, nella doppietta Fiandre-Roubaix che non si vedeva dal 2013, ha percorso i 270 km della Ronde a 44,481 km/h e i 259 km dell’Enfer a 47,802 km/h; entrambi record all-time. E pensare che neanche sono stati i giorni di corsa più veloci in quest’annata disputata a medie folli. Il 31 agosto – dunque già molto in là nella stagione – la quarta frazione del Renewi Tour , la Oostburg-Aalter di 178,5 km, si è corsa a 49,325 km/h. Un mese prima, il 12 luglio al Tour de France, la Agen-Pau di 165,3 km, a 48,821 km/h. Frazioni pianeggianti vinte in volata da Jasper Philipsen, non per caso trionfatore quest’anno – al photofinish, e pilotato dall’illustre co-capitano MVDP – della Sanremo più veloce di sempre: 288 km a 46,112 km/h. Spazzato via il primato di Gianni Bugno ’90: 45,806 km/h ma su 294 km. Un altro mondo. Più nel bene che nel male. Fa riflettere infatti che la 13ª tappa del Tour 2024 sia solo la nona più veloce nella storia della Grande Boucle: nel 1999, dunque in piena epoca buia del movimento, Mario Cipollini vinse allo sprint – su Erik Zabel e Stuart O’Grady – la 4ª frazione, la Laval-Blois di 194,5 km, a 50,36 km/h. Roba da cronoprologo ma di duecento km. Pogačar ha centrato – 26 anni dopo Marco Pantani – la doppietta Giro-Tour, completando la corsa rosa a 41,86 km/h e la gialla a 41,817. Come pietra di paragone, pur con l’asterisco del mischiare mele con pere per di più di epoche diverse, Jonas Vingegaard i suoi Tour li ha vinti con le prime due medie-record di tutti i tempi: 42,102 km/h nel 2022 e 41,408 nel 2023; Lance Armstrong, nello stesso 1999, a 40,273 km/h: appena la 14ª all-time. Strade Bianche, ottanta voglia di show Per puntare alla storica abbinata, Pogačar ha programmato di correre meno e allenarsi non di più ma “meglio”. Salta dunque gli interi gennaio e febbraio, compresa la corsa 'aziendale' – l’UAE Tour – e comincia la sua trionfale cavalcata vincendo subito la 'Classica del Nord più a Sud d’Europa'. La perla sterrata che il mondo ci invidia, una ufficiosa 'sesta monumento' che anticipa di due settimane la Sanremo: la seconda corsa e primo grande obiettivo stagionale di Pogi. La classica delle crete senesi che ha vinto nel 2022, e da allora porta nel cuore. La 17ª edizione prevede una trentina di chilometri in più , giusto per indurirla un altro po’. E così il tratto di sterrato più lungo e celebre – il Monte Sante Marie, intitolato all’unico triplettista Fabian Cancellara – stavolta dista 85 km dal traguardo. Un’enormità per gli umani, non per l’Alieno di Komenda. Come farà per tutto l’anno, il fenomeno sloveno attacca non solo sul punto più duro , ma pure più simbolico: che sia appunto il Sante Marie, ai -81 km da Piazza del Campo, o come poi sulla Redoute nella sua Liegi, o la Coma di Sormano ai -48,5 km dal suo quarto Lombardia consecutivo. "A 80 km dall’arrivo sembravamo già cadaveri pedalanti, tutti tranne uno – dirà all’arrivo uno trasfigurato Tom Pidcock, primo nel 2023 e tra i favoriti al back-to-back – Quando Tadej è scattato non ho fatto in tempo a pensare “Ma questo che diavolo fa?” che già era scomparso. Non ho parole per definire cosa ha combinato". Una dichiarazione di resa maestà. "Con me, Merckx o Maertens, Pogačar non avrebbe mai fatto quasi 90 km da solo in testa" – Roger De Vlaeminck I CINQUE MONUMENTI - Philipsen, un lampo a Sanremo Jasper Philipsen vince la 115ª Classicissima di primavera bruciando in via Roma, dopo 288 km da Pavia, l’australiano Michael Matthews, al terzo podio sanremese , e lo stesso Pogačar. L’asso sloveno era con l’iridato e vincitore uscente Mathieu van der Poel l’altro super favorito, che però era al debutto stagionale su strada dopo l’inverno coronato col sesto titolo iridato nel ciclocross. E a cui seguirà, in questo suo ennesimo anno magico, pure quello nel gravel , neanche fosse un pugile capace di unificare la corona di campione del mondo ma in tutte le categorie: asfalto, fango, sterrato. Il finale su e giù dal Poggio è – dal 1960 – "l’ultimo quarto d’ora di umanità" che vale una carriera. Pogačar ci prova due volte, ai -6,5 km e ai -5,9 km. Ma qualcosa nella sua UAE Emirates non funziona, specie con Marc Hirschi e Diego Ulissi. La Alpecin-Deceuninck implementa allora il proprio piano B, che due volte Tom Pidcock e una Matej Mohorič stavano per far saltare. Ci pensa così nientemeno che sua maestà VDP, in versione ultimo vagone extralusso, a tirare la volata – la 34ª all-time di un gruppetto ristretto a giocarsi la Sanremo – al compagno Philipsen, imbattibile in questi arrivi alla Beppe Saronni, l’ultimo a vincere qui in maglia arcobaleno. Lo imiterà nel 2025 il suo pupillo Pogi? Bravi, comunque, i nostri: Alberto Bettiol quinto, dietro l’ex iridato Mads Pedersen dopo il trionfo solitario in settimana alla Milano-Torino; Matteo Sobrero ; Davide Bais nei dieci in fuga per 220 km con pure l’allungo ai -18 km. Last but not least, sfortunato Filippo Ganna, per guai al mezzo proprio sul più bello: in discesa, dopo aver scollinato terzo con Pogačar e VDP. Quarantaquattresima vittoria e prima monumento per Philipsen, neo-26enne il 2 marzo, secondo alla Roubaix dietro VDP nel 2023, l’anno in cui vinse quattro tappe e fu maglia verde al Tour. E terza Sanremo a un belga dopo Wout Van Aert e Jasper Stuyven nelle ultime cinque, la 23ª nella storia, che questa edizione ha già riscritto. E non solo per la media-record. Piccola coda polemica. "Milano ama il ciclismo" si lodano le istituzioni meneghine. "Si parte da Pavia perché probabilmente non c’è più quella sensibilità che noi ci aspettavamo dalla città di Milano", la voce inascoltata di Mauro Vegni, dal 2012 direttore corse RCS . Dopo Abbiategrasso, seconda partenza consecutiva fuori città. Se la verità sta nel mezzo, il mezzo dove sta? I CINQUE MONUMENTI - MVDP, il cielo con un mito Fiandre e Roubaix con l’iride addosso: come solo Rik Van Looy ’62, l’Imperatore di Herentals che ci ha appena lasciati, il 17 dicembre. Quasi come se avesse ormai davvero visto tutto. Filotto leggendario per Mathieu van der Poel nell’Inferno del nord più veloce d’ogni tempo: 47,802 km/h di media, stracciato il suo stesso record del 2023. Il bis consecutivo mancava da Tom Boonen 2008-2009, la doppietta muri-pavé da Fabian Cancellara 2013. Il 29enne fenomeno olandese ormai non corre più solo per i contemporanei, ma per i posteri. Cinque giorni di gara su strada nel 2024: primo a Harelbeke, Fiandre e Roubaix, secondo alla Wevelgem battuto allo sprint da Mads Pedersen, decimo al debutto stagionale alla Sanremo ma correndo per Philipsen, che difatti l’ha vinta. E che poi al Velodromo, come l’anno prima, gli si è piazzato subito dietro, stavolta sverniciando in rimonta lo stesso Pedersen e Nils Politt, a sua volta terzo al Fiandre per declassamento di Michael Matthews. Mai una squadra aveva vinto le prime tre monumento dell’anno: l’Alpecin-Deceuninck ci è riuscita con Philipsen in via Roma e le doublé di VDP. E come ciliegina, tutte e tre con la media più alta di sempre. Quanto ad attacchi pogačariani, Mathieu alla Harelbeke era partito ai -44 km, alla Ronde ai -45 km. Qui, sui 259.7 km totali, con precisione chirurgica giusto ai -59.7 km: per trovare un assolo-record ai -60 km bisogna infatti tornare indietro di trent’anni, ad Andrei Tchmil 1994. E i 3’00” tondi-tondi di distacco sono roba da Johan Museeuw 2002: 3’04” su Steffen Wesemann. Nel dopoguerra, 'meglio' solo i 5’21” di Eddy Merckx su Roger De Vlaeminck nel 1970, i 4’16” di Franco Ballerini sui compagni Andrea Tafi e Wilfried Peeters nel triplete telecomandato-Mapei del 1998 e infine i 4’08” di Felice Gimondi su Jan Janssen nel 1966. Aggiungi un posto a tavola, ché c’è un mito in più. I CINQUE MONUMENTI - Come le Liegi: una tira l’altra Braccia e indici al cielo: per Darija, che da due anni li guarda da Lassù. Al rientro un mese dopo aver dominato il Catalogna vincendo tutte le maglie , Pogačar centra alla Liegi-Bastogne-Liegi il bis che, per la perdita della mamma della fidanzata Urška Žigart, non aveva potuto tentare nel 2022. E poi mancato per caduta nel 2023. Un anno fa aveva corso tutto il giorno dietro per risparmiare energie, e si era rotto lo scafoide sinistro. Quest’anno ha corso tutto il giorno davanti per evitare rischi. E gli è andata bene. Perché due maxi-cadute hanno spezzato il plotone. Una ai -120 km, la seconda ai -97.5 km e questa è costata al gruppo di van der Poel fino a 1’30”. Lì, la corsa dell’iridato sembrava già finita. Invece, ai -70 km eccoli di nuovo tutti insieme appassionatamente. Ma coi big rientrati già più stanchi degli altri. La UAE Emirates, con un monumentale – è il caso di dirlo – Domen Novak, fa corsa dura. E quando lo sloveno si defila, è il suo connazionale e capitano a partire. Sulla Redoute, la côte-simbolo. Ai -34.8 km, settimo attacco più lungo in 110 edizioni della Doyenne. Da più lontano solo Joseph Bruyère 1976, Bernard Hinault 1980, Didi Thurau 1979, Merckx 1972, Jacques Anquetil 1966 e Ab Geldermans 1960. Per Tadej, comunque, robetta rispetto ai suoi -81 km della Strade Bianche, che solo lui e Philippe Gilbert hanno vinto nello stesso anno della Liegi. Piazzato a 1’39” il redivivo francese Romain Bardet ; a chiudere il podio VDP, la cui grandezza si misura – anche – con la volatona di gruppo regolata con 2’02” di ritardo sull’amico-rivale che lo ha raggiunto a sei monumenti. Fiandre, tre Lombardia e due Liegi per il 25enne Tadej; tre Fiandre, Sanremo e due Roubaix per il 29enne Mathieu. I dioscuri di un’epoca già mito. Tra le donne, Elisa Longo Borghini seconda come nel 2023. Stavolta non dietro l’olandese Demi Vollering, terza, ma battuta in volata dalla australiana Grace Brown, che nell’anno sarà tre volte d’oro contro il tempo: olimpionica a Parigi e iridata sia nell’individuale, sia nella staffetta mista . Per Tadej sette successi in dieci giorni di gara, per Elisa sette podi in 14. La parità dei sessi in una generazione di fenomeni, e avviati entrambi a vincere il loro primo Giro d’Italia. I CINQUE MONUMENTI - Poker filato al Lombardia "Coppi conforme". La prima pagina de l’équipe, l’indomani del poker consecutivo di Pogačar nella 'Classica delle foglie morte' come solo l’immenso Fausto, è l’istantanea che immortala un anno vissuto pericolosamente . Mai neppure in discussione la sua seconda monumento stagionale . E altra mega-fuga solitaria: stavolta dai -48.4 km dal traguardo di Como. La perfetta chiusura di un cerchio magico: dal 2 marzo alla Strade Bianche al 12 ottobre al Lombardia. Come lui nessuno mai, o perlomeno mai così dominante. Unico atleta maschio a vincere l’oro olimpico sia a crono sia in linea e quello mondiale contro il tempo, bissato dopo quello di Stirling 2003, Evenepoel finisce secondo ma a 3’16”. E parliamo di un altro con le stimmate del fuoriclasse, terzo e maglia bianca al Tour, che a neanche 25 anni vanta già un palmarès eccezionale. GRANDI GIRI - La Roma eterna di Pogi Per il secondo anno in fila, a Roma sfila in rosa un imperatore sloveno. Mentre finisce 3-3 fra i re delle volate Tim Merlier e Jonathan Milan. Sono gli ultimi verdetti del Giro #107, meraviglia fra le meraviglie di Roma, per la sesta volta arrivo finale, la seconda consecutiva. Per Pogačar , 125 km di passerella. Come Merckx ’73 per lui anche sei tappe di cui cinque in maglia di leader, tenuta 20 giorni su 21 come Chioccioli 1991 e Indurain 1992. Un dominio da Re Sole, più illuminante che illuminato dispensando ovunque spettacolo, borracce e sorrisi. A 25 anni, alla sua prima 'Festa di maggio', già tre grandi giri vinti e sempre a podio nei sei disputati: terzo alla Vuelta 2019, due volte primo e secondo negli ultimi quattro Tour. Primo podio in una corsa di tre settimane invece per Dani Martínez, il quinto per Geraint Thomas, secondo dietro Primož Roglič nel 2023, ma con distacchi da musica da camera all’intervallo: 9’56” al colombiano, 10’24” al gallese. Roba che mancava da Vittorio Adorni 1965: 11’24” su Italo Zilioli. Roma come nel 2023 non ha portato bene a Milan, attardato da un problema meccanico ai -9 km dal traguardo. Rientrato in gruppo ai -4.5 km con un numero folle e un paio di scie benevole , il 'gabbiano Jonathan' – seconda ciclamino su due – non ha potuto dispiegare tutta la sua potenza come invece ad Andora, a Francavilla al Mare e a Cento. E così ha pareggiato il conto Merlier, già primo a Fossano e a Padova. Decimo successo in stagione per il 31enne belga, il quarto in questa edizione per la Soudal Quick-Step di Julian Alaphilippe, super combattivo della corsa e vincitore a Fano in una delle cartoline rosa di questo Giro. Uno dei migliori disegnati da Mauro Vegni. Suspense ed emozioni ogni giorno. Le sei-tappe-sei di Pogačar; le volate imperiali di Milan, Merlier, Olav Kooij. Fughe avventurose con Benjamin Thomas, Pelayo Sánchez, Valentin Paret-Paintre, la rivelazione Georg Steinhauser, Andrea Vendrame. Crono stellari con Pogačar e Ganna. Il rinascimento italiano con il 20enne Giulio Pellizzari. Le cinque tappe vinte dai nostri. La maglia bianca di Antonio Tiberi che ci mancava da Fabio Aru 2015 e il suo quinto posto al debutto al Giro. È stato anche, a 41 anni, il 18° e ultimo – record di Miro Panizza eguagliato – di Domenico Pozzovivo. Un altro apostrofo rosa di questo meraviglioso 'Amore infinito' dal fascino senza tempo. GRANDI GIRI - Tadej III, anatomia di un “Re Solo” Sto-ri-co. Il Tour #111 dei record, il primo partito dall’Italia: tre tappe , da Firenze a Torino attraverso l’Emilia-Romagna, cuore e motore dell’investimento congiunto. Il terzo di Pogačar, che in giallo ha dominato – se possibile – come e più che in rosa, se non altro di fronte alla superiore concorrenza. Al Tour, diciamocelo senza giri di parole, ci vanno i più forti al mondo, di ogni specialità. E stress e pressione sono incomparabili. Sei tappe al Giro e altrettante al Tour , superate le 3+8 rosa-gialle dello stesso 'Cannibale' del ’70. Prima doppietta 26 anni dopo Pantani; la settima di sempre con Coppi, Anquetil, Merckx, Hinault, Roche e Indurain. Lo sloveno ha stravinto pure la crono di Nizza, unico a chiudere i 33,7 km sotto i 40 minuti e sopra i 43 km/orari, anzi quasi a 44 . Dietro e con lui stesso podio all’arrivo e nella generale: secondo a 1’04” Jonas Vingegaard, vincitore delle ultime due edizioni, staccato di 6’17” in classifica; terzo a 1’14” il campione del mondo di specialità Remco Evenepoel, al debutto e prima maglia bianca belga di miglior giovane, a 9’18”. È stato il Tour dei primati: su tutti le 35 vittorie di Mark Cavendish, tornato a correre apposta per prendersi da solo il record che condivideva col solito Merckx. Il Tour delle prime volte e degli omaggi alle carriera: la maglia gialla nell’ultima boucle di Romain Bardet, e quella di un ecuadoriano, la maglia a pois di Richard Carapaz, primo sudamericano a vestire le maglie dei tre grandi giri e per lui anche la tappa di SuperDévoluy oltre al premio di più combattivo di questa edizione. Il Tour della storica prima maglia verde africana dell’eritreo Biniam Girmay, vincitore di tre tappe come il rivale e predecessore Jasper Philipsen, non per niente i velocisti resistenti più forti al mondo. E, perché no, anche il Tour delle lacrime: di gioia per Anthony Turgis, Victor Campenaerts ed Evenepoel; di umanissima e comprensibile sopraffazione per Vingegaard, sopravvissuto – e con lui altri big come Primož Roglič e lo stesso Remco – alla terribile caduta del 4 aprile al Giro dei Paesi Baschi. Per Jonas, una vittoria al fotofinish su Il Rivale e col secondo posto il quarto podio in fila alla Grande Boucle. Doveva essere il primo Tour con i big four per la prima volta insieme. Ma è mancato Roglič, caduto e ritiratosi dopo 12 tappe; mentre il vero miracolo, per Vingo, più ancora del piazzamento, è stato esser lì a giocarsela dopo aver temuto di morire e pensato di smettere. GRANDI GIRI - Roglič, per la quarta Vuelta In 89 anni e 79 edizioni, come Primož solo lo spagnolo Roberto Heras, l’altro a centrare il poker, e unico con lo svizzero Tony Rominger a vincerne tre consecutive. Per la primula roja, 35 anni poi compiuti il 29 ottobre, e terzo nel 2023, quinto grande giro in carriera. Gli manca solo il Tour, sfiorato nel 2021 contro il tempo alla penultima tappa del primo Tour di Pogačar. La crono finale di Madrid, 24.6 km piatti-piatti, vinta dallo svizzero Stefan Küng per 31” sul leader della generale, ha solo suggellato il podio già scritto il venerdì, terzultima tappa, sull’Alto de Moncalvillo con la terza vittoria parziale di Roglič e blindato col secondo posto di Enric Mas sabato sul Picón Blanco. Ben O’Connor, 12 giorni in rosso dopo la mega fuga-bidone alla sesta tappa, sale a 2’36” sul suo primo podio in un grande giro; Mas, già tre volte piazzato a Madrid, stavolta è terzo a 3’13”. Ritiratosi per cadute il redivivo Wout Van Aert , le sue maglie sono andate a due australiani: a Kaden Groves, tre vittorie parziali come il belga, la verde della classifica a punti; a Jay Vine quella a pois blu della montagna. Ma negli occhi resterà di più WVA in lacrime, seduto sul bagagliaio aperto dell’ammiraglia, col ginocchio sanguinante. Un’immagine-simbolo dell’ennesima stagione per lui sfortunata, seppur con la magra consolazione del bronzo olimpico a cronometro dietro Remco e Ganna. Miglior squadra, neanche a dirlo, la UAE Emirates. Primo degli italiani Lorenzo Fortunato, 16° a 40’43”. Piazzati qua e là Marco Frigo e Filippo Zana; Mattia Cattaneo e Filippo Baroncini terzo e quarto nell’ultima crono, col duplice colpo di calore di Antonio Tiberi abbiamo perso la bianca di miglior giovane , andata al talentuoso danese Mattias Skjelmose. E' il nostro unico uomo di classifica di una Vuelta non scontata, ma – senza i Big… Three al via – mai in discussione. MONDIALI E OLIMPIADI - Remco & Pippo, i Signori del tempo Un mondiale contro e oltre il tempo: tre volte storico. Remco Evenepoel conferma l’oro iridato 2023 e lo bissa a quello olimpico di Parigi 2024. Primo atleta maschio a vincere crono iridata e olimpica nello stesso anno. Con lui sul podio, prima doppietta azzurra iridata nella specialità: argento a Filippo Ganna per soli 6 secondi e 43 centesimi; bronzo a 54”44 Edoardo Affini, fresco di titolo europeo. Sui non banali 41.6 km di Zurigo, solo il 24enne belga ha chiuso oltre i 52 km/h di media; e solo i suoi compagni di podio oltre i 51: 52.156 Remco, 52.051 Pippo, 51.279 Edo. 2-2 nell’albo d’oro per Remco e Pippo, che si son spartiti quattro degli ultimi cinque mondiali a cronometro. E sempre loro primo e secondo, gli unici a finire in testa in tutti e tre gli intertempi: con Tarling lui pure oltre i 54 orari dopo 12.5 km; poi solo loro due oltre il muro dei 49 km/h ai 26.6 km e dei 50 km/h ai 36.7 km. Da poster e per i posteri, dopo l’iconica esultanza a Parigi con la bici alzata sotto la Tour Eiffel, quella pure a braccia al cielo come al traguardo di una prova in linea. Neanche la catena saltata sulla rampa a 25” prima del via ne ha scalfito la sicurezza del predestinato. Storica doppietta olimpico-mondiale, sui 29.9 km della gara femminile, anche per la 32enne australiana Grace Brown, già sicura – salvo ripensamenti – di ritirarsi a fine stagione. Argento per 16” all’olandese Demi Vollering, che per 4” perderà poi, tradita dalle compagne, un emozionantissimo Tour dalla polacca 'Kasia' Niewiadoma. E bronzo per 56” alla statunitense Chloé Dygert, due volte iridata e campionessa uscente. Sei giorni dopo tornerà sul podio nella prova in linea, dietro Lotte Kopecky – iridata anche nel 2023 – e davanti a Longo Borghini. Per Dygert, con tre medaglie pesantissime , il più gradito dei ritorni dalla terribile caduta di Imola 2020. Per Elisa, oltre ai due podi iridati e lasciando stare i piazzamenti, ennesima stagione eccezionale: secondo Fiandre, Freccia del Brabante, il Giro per 21” sulla belga Kopecky. E come chiosa l’Emilia vinto 'alla Pogačar' sotto il diluvio ma sfoggiando anziché la maglia iridata, la nuova tricolore, la quinta in linea nel suo personalissimo guardaroba. Delusa dalla sé vista a Parigi, a quel nono posto ha risposto 'alla Longo'. Citazione doverosa, dunque, per l’urlo e il furore di Kristen Faulkner, la statunitense olimpionica in linea capace di lasciare a 58” due campionissime quali la 'Cannibale' olandese Marianne Vos e la solita Kopecky. MONDIALI E OLIMPIADI - Appuntamento a Zurigo Tadej – che aveva rinunciato all’olimpiade di Parigi per un mondiale su misura per lui - se ne va addirittura ai -101.8 km. Serve aggiungere altro? Il resto è apoteosi, con Ruanda 2025 – la prova iridata, si vocifera, più dura degli ultimi anni – come plausibilissimo bis. Per l’Italia, una memorabile débâcle: con l’eccezione belga di Moorslede 1950 mai senza azzurri in top 20 nel dopoguerra. Giulio Ciccone, primo dei nostri ma 25° a 6’36”, saprà almeno riscattarsi con un dignitosissimo podio al Lombardia dietro gli extraterrestri Pogačar ed Evenepoel. E le scuse del Ct Daniele Bennati per un’Italia mai in gara suonano come una resa annunciata. Parafrasando il suo ex omologo baskettaro Simone Pianigiani, in un memorabile timeout: "fate a cazzotti almeno…". Il bello è che chiunque ci abbia provato, andando troppo vicino al sole, si è subito bruciato. Come l’australiano Ben O’Connor a Oropa al Giro e il nostro Bagioli in tre chilometri a Zurigo. Quel gran pezzo dell’Emilia Un numero da urlo, nella terra di Berselli: il Sud del nord e il Nord del sud. Sotto il diluvio, spunta l’arcobaleno non in cielo ma su San luca. E il pubblico è in delirio. Era là solo per lui, per vederlo alla prima in maglia iridata. E lui non solo non li ha delusi, li ha esaltati stradominando come a Zurigo. Stavolta 'solo' dai -37.7 km. Jorgenson – vincitore della Parigi-Nizza, non l’ultimo arrivato – resiste duecento metri. Battuto da Enric Mas nel 2022 e da Roglič nel ’23, 'Pogi' ci aveva messo su il circoletto rosso. E l’iride addosso ha fatto il resto. Dietro di lui, a 1’54” Pidcock, il promettente Davide Piganzoli e il 38enne Michael Woods, primo nel tappone al Puerto de Ancares alla Vuelta e bronzo nel durissimo mondiale di Innsbruck 2018. "Il Giro d’Emilia è una corsa in cui era stato battuto due volte. E questo non gli piace. Per lui era importante vincere qui" – Mauro Gianetti, dg UAE Emirates Buon principio, buona fine Neanche a sceneggiarlo apposta, il 2024 si è chiuso come si era aperto. Su strada con Pogačar che ha vinto al debutto stagionale la Strade Bianche e alla fine l’Emilia. Nel cross, con Van der Poel che il 4 febbraio a Tábor , dove nel 2015 vinse il primo, aveva brindato al sesto mondiale, il quinto in fila; e l’ha finito preparando l’assalto al settimo dominando dal 22 al 29 dicembre in 5 gare su 5 di Coppa del mondo. L’ultima in Francia a Besançon, dove anziché sgommando in Lamborghini Revuelto color oranje come tre giorni prima in Belgio a Gavere, è arrivato e ripartito con un volo privato. Come un divo del cinema. Perché è lui, con Tadej e Remco , il volto del ciclismo nel 2024. Un anno forse sin troppo magico per ripetersi. Il migliore della nostra vita.

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