Pogačar, Ain’t No Mountain High Enough

«Ain’t no mountain high enough Ain’t no valley low enough Ain’t no river wide enough To keep me from getting to you, babe» No, non ci sono montagne abbastanza alte per Tadej Pogačar. Ain't No Mountain High Enough, brano della Motown portato al successo da Marvin Gaye , descrive bene lo stato d’animo di chi vede lo sloveno sfrecciare in salita, stracciando avversari e il “concetto stesso di competizione” . Canzone allegra e spensierata, come lo sguardo del capitano della UAE Emirates-XRG, mai in affanno, sempre sorridente, persino nei momenti di massimo sforzo. Non ci sono montagne alte abbastanza per lui, neanche i Pirenei e la salita di Hautacam. Hautacam toglie, Hautacam restituisce. Nel 2022 Pogačar aveva conosciuto il sapore, amaro, della sconfitta, contro il suo storico rivale Jonas Vingegaard . Pogi se l’era segnata con un circoletto rosso questa tappa dell’edizione 2025. Perché anche il più forte, già tra i più grandi di sempre, può avere dei conti da regolare con il passato, il gusto della rivincita, anche a distanza di anni e di imprese storiche. Hautacam è stata uno spartiacque di questa Grande Boucle dell’Anno Domini 2025. Sin dalla vigilia di questo Tour avevamo scritto che, sulla carta, la Visma | Lease a Bike era la squadra più forte “contro” il corridore più forte . A -12 km dalla vetta invece la corazzata dei ‘Calabroni’ si è sciolta come un cubetto di ghiaccio al sole di questa torrida estate. E il cambiamento climatico, così drammatico di questi tempi, diventa anche caos agonistico. Jonas Vingegaard mette i suoi a tirare ma, appena cominciata Hautacam, ultima salita della 12ª tappa, in testa ci tornano gli uomini della UAE Emirates-XRG. Jhonatan Narváez tira come un dannato, quando ai -11,8 km dall’arrivo in cima allunga e a quel punto parte, inesorabile, lo sloveno. Ormai neanche si alza più sui pedali, Pogačar. Vingegaard prova a stargli a ruota, resiste a qualche metro per un tempo che a Vingo deve essere sembrato infinito ma che per noi osservatori è stato minimo, volato come fanno quei momenti in cui lo stupore relativizza tempi e distanze. Bandiera bianca del danese, è troppo, anche per un fuoriclasse come lui, il ritmo indiavolato del Re Sole del ciclismo contemporaneo. È in quegli undici 11,8 km che, in tutta probabilità, si è deciso il Tour de France 2025. Pogačar a Hautacam ci arriva da solo e rifila al rivale la bellezza di 2’10’’. L’altro capace di stare sotto i 3 minuti di distacco è il giovane tedesco Florian Lipowitz, a 2’23’’. Il compagno alla Red Bull-Bora-hansgrohe di Primož Roglič ha davanti a sé un futuro radioso: è terzo in classifica generale e, a meno di crolli clamorosi, non si vede chi possa scalzarlo dal podio finale e dalla maglia bianca. Certo, il Tour è spietato e una crisi, una volta si chiamavano ‘cotte’, è sempre dietro l’angolo, come le cadute . Lipowitz ha approfittato del mesto ritiro di Remco Evenepoel. Il belga, a parte la cronometro di Caen, è apparso sempre in difficoltà quando la strada cominciava a salire, come se non disponesse della stessa cilindrata degli altri due fenomeni, Vingegaard e Pogačar. Nella seconda prova contro il tempo, la cronoscalata della 13ª tappa con arrivo in quota a Peyragudes, certo non adatta alle sue caratteristiche, ha dovuto subire l’onta di essere ripreso all’arrivo dal danese, partito 2 minuti dopo di lui. Poi il ritiro, alla 14ª tappa, con un gesto finale che gli rende onore e che forse segna un piccolo cambio di passo nel suo atteggiamento, spesso troppo nervoso: si avvicina a un bimbo, gli regala la borraccia, un attimo di tenerezza e forse di consapevolezza. Poi sull’ammiraglia, “le Tour est fini”. Evenepoel sa che dovrà riflettere sui suoi ritiri nei grandi Giri , sugli avversari troppo forti per lui nelle corse a tappe di tre settimane, dovrà capire bene quali sono gli obiettivi su cui puntare in questa fase della sua carriera. Se tornare a disputare il Giro d’Italia per provare a conquistare la maglia rosa, forse più alla sua portata , o focalizzarsi di più sulle classiche, gare nelle quali può sprigionare tutta la sua classe e la sua enorme potenza. Ma l’obiettivo di vincere il Tour, almeno per ora, per Remco è inavvicinabile, e tale rischia di restare almeno fino a quando ci saranno quegli avversari e in quello stato di forma. Torniamo a Tadej e a Jonas. Pogačar ha rafforzato il proprio primato nella 13ª tappa, con una cronoscalata semplicemente lunare. Altri 36 secondi, in 10,9 km, rifilati al danese, con un Roglič che ruggisce come un leone ferito e piazza, a 1’20’’, un terzo posto di tutto rispetto. Dopo la 15ª tappa, con la vittoria per distacco di Tim Wellens a Carcassonne , ecco il secondo e ultimo giorno di riposo. Per tanti un sollievo dopo gli altissimi ritmi delle prime due settimane di corsa. La classifica generale parla chiaro: Pogačar ha 4’13’’ su Vingegaard e 7’53’’ su Lipowitz. Un dominio che pare non scalfibile, a meno di clamorose crisi e di eventi imponderabili. A rigor di logica, non si capisce come e quando la corsa al podio finale di questo Tour de France possa riaprirsi. E l’Italia? L’Italia ha ancora la maglia verde, è sulle spalle di Jonathan Milan: ha 28 punti di vantaggio su Pogačar. Pochi. Soprattutto se devi competere con la voracità di vittorie del fenomeno sloveno. Martedì, per esempio, c’è il Mont Ventoux. Roland Barthes scriveva del ‘Gigante della Provenza’: “Il Ventoux ha la pienezza della montagna, è un dio del male al quale bisogna offrire sacrifici”. I provenzali, in modo più popolare, amano dire che folle non è tanto chi sale sul Ventoux, ma chi ci ritorna. Cultura alta e bassa si ritrovano: il Ventoux è terribile, esigente. Può far cadere ma anche elevare. Difficile credere che Pogačar non voglia lasciare un altro segno. Il suo segno. Poi le Alpi , infine – domenica – i Campi Elisi. Sentiamo già in sottofondo una musica, le note di Charles Aznavour che intona For me formidable - Tu exagères .

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Alberto Pontara