Leclerc come Sun Tzu a Monza: quando la tattica aiuta il talento

Le vittorie della Ferrari sono destinate a essere diverse, sono il frutto di qualcosa di onirico che accade e si manifesta oltre la normale considerazione. Sono qualcosa legato a fenomeni poco governabili dalla ragione e proprio per questo scatenano entusiasmi incontrollabili. Perché, diciamolo, la Ferrari rappresenta quella parte di noi che esprime quasi cromosomicamente l’essenza italiana. Che nella versione migliore è un detonatore di eccellenze incomparabili, e a livello aziendale certamente Ferrari lo è, ma che nel corpo a corpo della competizione sportiva si esprime con qualcosa di unico. Nel bene e, a volte, anche nel male. Stavolta è andato tutto bene e il godimento del popolo rosso è massimo anche in considerazione del fatto che quando vinci senza avere la macchina migliore è un po’ come quando nel calcio vinci un derby al 95’ su autogol dopo aver patito per tutta la partita. Vinci dopo che per molti minuti ti sei detto che non ce l’avresti fatta, che gli altri ti avrebbero ripreso e che io l’avevo detto che dovevamo fare come gli altri… Invece no. A Monza abbiamo assistito ad un’autentica lezione di management aziendale. Sì, aziendale. Tutte le scuderie avevano un piano, una strategia. Ma all’interno della strategia c’è un aspetto, si chiama tattica, che il grande manager sa quando usare e quando invece tenere nel cassetto. Qui Vasseur c’entra poco, nel senso che non è lui a prendere determinate decisioni. Ma è lui, e questo è un merito non contestabile, a scegliere chi deve reagire in pochi secondi e decidere come passare dalla strategia alla tattica. La strategia senza la tattica è la via più lenta verso la vittoria. Significa che andare di sola strategia può anche essere garanzia di vittoria, ma il suo contrario, ovvero la tattica senza la strategia, è “il rumore prima della sconfitta”. Lo teorizzava Sun Tzu, generale e filosofo cinese vissuto tra il VI e il V secolo prima di Cristo. Le quattro grandi scuderie che si palleggiano le vittorie di tutti i Gran Premi avevano una strategia. Ovvero fermarsi due volte per il cambio di pneumatici. Su una pista, seppur riasfaltata e in alcuni punti modificata, che storicamente prevede una sola sosta. Anche perché il rettilineo dei box di Monza è uno dei più lunghi di tutto il Mondiale e con le velocità che si sviluppano lì fermarsi per il pit-stop è ulteriormente penalizzante. Ma evidentemente non avevano previsto una variazione tattica. Ovvero rendersi conto in corso d’opera che le condizioni del degrado degli pneumatici potessero essere diverse dal previsto. Leclerc ha vinto una gara facendo un capolavoro, siamo tutti d’accordo. Ma ha semplicemente, si fa per dire, fatto quello che normalmente si fa a Monza. Dove si cambiano le gomme una volta sola. Sono gli altri a non aver ‘letto’ correttamente la consistenza del degrado e ad aver reagito di pancia modificando una interpretazione che a Monza ha una sua letteratura consolidata. Scelta rischiosa? No, rischiosa no. Coraggiosa forse sì. Ma, occorre ripetersi, la Ferrari ha fatto quel che normalmente si fa a Monza. Sono gli altri ad aver fatto qualcosa di diverso. Sbagliando. Ed è per questo che le vittorie della Ferrari sono speciali. Esattamente come le sue sconfitte. Qualcosa che per essere spiegato necessita una pescata nel pensiero filosofico. Ora il Mondiale, paradossalmente, è un po’ più vicino a Verstappen . Ha vinto Leclerc, ha vinto Verstappen e ha vinto Liberty Media. Che avrebbe gradito assai poco una seconda parte di stagione dominata da Verstappen come il tri-campione ha fatto nella prima. Abbiamo ancora otto gare, alcune su circuiti classici ed altre su ‘non-circuiti’. La sensazione che la girandola di emozioni non sia finita è molto consistente e che quel che pensavamo in primavera è destinato a farsi portare via dal vento d’autunno. Se e quando arriverà.