Corri Argentina, corri! Da Fangio a Colapinto, la storia dei piloti albiceleste

Per andare dall’enorme La Plata alla popolata Pilàr, nel nord-ovest della conurbazione della Grande Buenos Aires, viaggiando a bordo di una modesta utilitaria il cui navigatore sia sufficientemente lucido e il conducente non ancora completamente gonfio di mate, non occorreranno più di un paio di ore. È il tempo che separa — metro più, metro meno — l’abitazione di Gastòn Mazzacane da quella nella quale è nato Franco Colapinto. Il primo è stato l’ultimo pilota argentino a correre in Formula 1 , il secondo è arrivato fresco fresco dal Paese del tango al Parco di Monza per debuttarvi domenica scorsa alla guida di una Williams, peraltro chiudendo dodicesimo: meglio in un colpo solo di quanto non avesse fatto il predecessore in due stagioni , nel corso delle quali non era mai andato oltre il ventunesimo posto. Per andare da casa Mazzacane a casa Colapinto, insomma, in automobile ci vogliono meno di due ore. La Formula 1 ci ha messo invece 23 anni. Ventitré anni nel corso dei quali l’Argentina non è stata più rappresentata nella massima categoria del motorsport, nonostante il blasone, nonostante i venticinque piloti già consegnati alla storia e alla gloria e nonostante uno di essi in particolare avesse segnato un’era — Juan Manuel Fangio, tra il 1951 e il 1957— per ripetere la quale si dovette aspettare l’avvento di un certo Michael Schumacher da Hürth-Hermulheim nella seconda metà degli anni ’90 del millennio passato. Ventitré anni lunghissimi per un Paese che già aveva esultato quando Franco era stato 'eletto' terzo pilota della scuderia di Grove e che sperava presto o tardi in un suo esordio, in una promozione, giunta peraltro a sorpresa, una volta giubilato lo statunitense Logan Sargeant, e raggiunto l’accordo tra il Team Principal James Wovles e il management del pilota per un modico contributo alla scuderia di cinque milioni di dollari di qui a fine stagione. Ma l’occasione era ghiotta e nessuno ci teneva a farsela scappare. Così, nello spazio di un week-end, Colapinto si è trovato di colpo imbarcato sulla navetta della Formula 1, anziché su quella della Formula 2, sulla quale pensava avrebbe dovuto prendere posto per completare il suo campionato. E sul sedile di quella Williams sulla quale un altro argentino, indimenticato, Carlos Alberto ‘Lole’ Reutemann si sedette tra il 1980 e il 1982 negli anni più bui della sua carriera: seconda guida di Alan Jones, poi ribelle alle imposizioni del team, vincitore a MonteCarlo nel 1981, protagonista di un incidente in pit lane in Belgio nel quale perse la vita un meccanico della Osella, separato in casa e abbandonato a sé stesso, depresso per le conseguenze della guerra scoppiata nelle Falkland e le ovvie difficoltà sopraggiunte per un argentino ormai poco amato in Inghilterra. 'El Gaucho triste' si ritirò nelle pampas, si dedicò alle sue terre e ai suoi investimenti, diventò governatore della sua provincia, con 146 GP all’attivo, 12 vittorie, 45 podi e 6 pole positions. Oltre a un paio di apparizioni nel Rally. Colapinto avrà tempo per darsi alla politica. Al momento gli basterebbe allungare la sua carriera in Formula 1 oltre la fine del campionato in corso e magari sognare grandi imprese. Inutile dire che il sogno più grande è proprio quello di emulare un campeón come Fangio, che ha vinto per cinque volte il titolo mondiale e per due volte si è laureato vicecampione del mondo. Tutti i titoli di Fangio sono arrivati negli anni ’50. Inutili rincorse furono invece quelle di José Froilán González e Carlos Reutemann, rispettivamente nel 1954 e nel 1981. Del secondo abbiamo detto. Il primo, oltre ad essere pilota era anche un eccellente preparatore, era un valido pilota. Ed era nato in quella leggendaria città di Arrecifes, i cui abitanti anticamente credevano che seguendo il corso naturalmente roccioso dell’omonimo fiume sarebbero arrivati a incrociare le barriere coralline della lontana Australia. Una balla diffusa dal primo 'storico' del luogo, il dottor Luis Pacuse, poi smentito dai fatti, dal progresso e travolto dall’urbanizzazione successiva. José Froilán González, detto ‘El Toro de la Pampa’, corse ventisei Gran Premi saltando dalla Maserati a un team privato Talbot-Lago, fino ad approdare in Ferrari e chiudere poi in Vanwall. Una decina di anni di corse per smaltire la nostalgia delle corse Nascar in patria, nelle quali correva su una Chevrolet 4 cilindri facendosi chiamare ‘Canudo’, perché la sua famiglia non sapesse della sua passione. Chiuse la carriera con 15 podi e tre poles. Nulla al confronto di Juan Manuel Fangio che in F1 ebbe il piacere di guidare l’Alfa Romeo color rosso sangue di bue, la Maserati, la Mercedes, la Ferrari. Per il pilota argentino di origini chietine , insomma, solo prime scelte. Era a quei tempi quel che oggi chiameremmo un ‘top driver’ che, vista la brevità degli impegni stagionali, tuttavia corse appena 51 GP, vincendone 24, salendo 35 volte sul podio e partendo 29 volte dal palo. Numeri incredibili se contrapposti a quelli di una classica meteora dei tempi ‘eroici’ come fu senza dubbio Alfredo Pián, pilota della scuderia di Achille Varzi, che partecipò a un solo Gran Premio di F1, a MonteCarlo, alla guida di una Maserati. Era indubbiamente più a suo agio in Argentina nelle categorie assimilabili alla Nascar dell’epoca. Stando ai numeri, Fangio vinse circa la metà delle gare alle quali partecipò , il che è sufficiente a mantenerlo vivo nella memoria e nella Hall of fame dei più grandi di sempre. Tra i piloti che corsero almeno dieci GP, l’Argentina non puo’ dimenticare lo sfortunato Onofre Augustin Marimón, figlio d’arte , drammaticamente scomparso durante le prove del GP di Germania sul vecchio Nürburgring — nel 1954 — a bordo di una Maserati 250F. Aveva trent’anni. Aveva corso appena 11 gare e conquistato due podi. Oppure Carlos Menditéguy, abile giocatore di polo con la passione per le macchine da corsa, pilota Gordini e Maserati, autore di dieci partenze e un podio tra il 1953 e il 1960, presenza quasi impalpabile nei box, che aveva fatto più rumore nell’anno in cui aveva rimpiazzato Manuel Andrada nell’El Trébol accanto al fratello Julio e ai fratelli Luis e Heriberto Duggan in sella a un cavallo. Altra presenza non indimenticabile della folta pattuglia argentina di atleti polivalenti in F1 è stato poi Roberto Mieres, pilota e velista, con all’attivo 17 Gran Premi su Gordini e Maserati fra il 1953 e il 1955, 19° nella classe Star ai Giochi Olimpici di Roma, ovviamente su un’imbarcazione mossa dal vento. Per ritrovare un pilota a tempo pieno bisogna correre avanti agli anni ’90, fino a Esteban Eduardo Tuero nato a Caballito, una delle aree più densamente popolate fra le conurbazioni della capitale. Pilota svezzato sui kart, Tuero — a dispetto del fisico non proprio da atleta — riuscì dapprima a distinguersi in patria e approdare in F. Renault Argentina e in F. Honda. E a 16 anni a conquistare il suo primo titolo vero. Nel 1995 decise perciò di fare il grande salto e approdare in Europa per correre nella F3 Italiana e nella F2000 . Nel 1998 GianCarlo Minardi decise di dargli una reale opportunità e lo schierò in F1, terzo pilota più giovane a debuttare, a 19 anni e 320 giorni. Finì la stagione a zero punti e — nonostante avesse l’opportunità di proseguire — preferì rescindere il contratto per 'motivi personali' e ritirarsi. Anni dopo dichiarò: "Ero troppo ragazzino!". Infine Ricardo Héctor Zunino. Dieci partenze in F1 e nessun punto conquistato fra il 1979 e il 1981 al volante di Brabham e Tyrrell. Una vita dentro e fuori: nel 1979 in Canada sostituì Niki Lauda, nel 1980 in Francia fu sostituito da Héctor Rebaque. Una volta ritiratosi si dedicò all’imprenditoria nel settore dell’accoglienza alberghiera nell’Area Metropolitana di San Juan. Ma come abbiamo detto, gli argentini in Formula 1 sono stati venticinque prima di Colapinto. Chi sono gli altri protagonisti dimenticati o semisconosciuti dell’automobilismo del Paese del Sole di Maggio? Nel 1953 su Maserati corse il suo unico Gran Premio, proprio come Alfredo Pián, Oscar Alfredo Gálvez, che — a dispetto della carriera poco appariscente nella massima categoria — fu invece uno dei piloti più vincenti nel suo Paese nel Turismo Carretera, conquistando ben 5 titoli e 43 vittorie insieme al fratello minore Juan . Entrambi con i baffetti hollywoodiani, Oscar anticipò Graham Hill, Juan fece il verso a Clark Gable. E che dire di Oscar Larrauri, ventuno volte iscritto e otto soltanto partito con la fragile EuroBrun — di passaporto italo-svizzero — nata a Senago e finanziata dal magnate elvetico Walter Brun, co-fondata da Giampaolo Pavanello, spinta da motori prima Ford e poi Judd… Arrivato a fine anni ’80 per guidare una Ligier Ford Cosworth, venne rimpiazzato da Raùl Boesel e dirottato nella periferia lombarda a sudare nelle prequalifiche. Spesso invano. O di Clemar Bucci, disegnatore e costruttore prima ancora che pilota, iniziato alla velocità da un midget autocostruito e partito 5 volte dal via, quattro su Gordini e una su Maserati con medesime sfortune. Riscattandosi in Patria col brevetto del mitico Dogo SS-2000 fabbricato a Munro, nella provincia di Buenos Aires, un avveniristico due porte a trazione posteriore, prototipo presentato con successo all’Esposizione del Confort Umano del 1970. Nel 1997 la Sauber ingaggiò in Argentina un pilota preceduto dai suoi soprannomi: ‘Norber’, ‘Beto’, ‘El gigante de Arrecifes’. Unico pilota certo della squadra svizzera era Johnny Herbert. Mentre Nicola Larini non riusciva a ritrovare continuità dopo tre anni di assenza dalle corse e Morbidelli — anch’egli collaudatore Ferrari — stentava, si pensò che Norberto Fontana potesse risolvere ogni problema. Quattro Gp e zero punti. Fontana finì in Giappone, in F. Nippon, dopo che anche la Tyrrell gli preferì Ricardo Rosset per la stagione successiva. Quattro Gp corsi. A differenza di Miguel Ángel Guerra che a quattro GP venne iscritto nel 1981, ma riuscì a correrne solo 1, su Osella. Già, perché Angelito non passò le pre-qualifiche negli altri tre appuntamenti e decise che per lui l’esperienza in F1 poteva benissimo terminare così. Tuttavìa la passione non lo abbandonò, continuò a correre in altre categorie in Argentina e diventò vicepresidente della Top Race nel 2004, prima di diventare nel 2017 Direttore Sportivo della squadra ufficiale Renault Sport nel Sùper TC 2000 e curare la carriera del figlio Lucas Ariel, campione 2014 della Top Race Series. Chi ricorda Pablo Birger? È una domanda forse da rivolgere soprattutto agli argentini. Arrivato dal Turismo Carretera, corse in F1 con Gordini fra il 1953 e il 1955 solo due Gran Premi. Non lasciò un grande ricordo di sé. Non fu un pilota molto fortunato, vinse poco. Poi contro di lui si accanì il destino e — come spesso accade — la strada lo tradì dopo anni di rischi corsi e scansati in pista. Trovò infatti la morte ancora relativamente giovane, a soli 42 anni, lungo la Ruta Provincial 7 di Lujàn — a una settantina di chilometri a ovest della capitale Buenos Aires — in un violento scontro frontale contro un altro veicolo che procedeva in senso opposto. E Jorge Alberto Daponte? Anche lui morì a soli 39 anni. In circostanze poco chiare che, a distanza di 61 anni, ancora non fugano l’ombra del suicidio. All’attivo due GP in Formula 1 nel 1954 alla guida di una Maserati. Misteriosi i motivi della eventuale scelta fatale. E che dire de ‘El Turco’ o ‘El Califa’, Nasif Moisés Estéfano? Un GP corso su Maserati nel 1960, truffato da un intermediario circa un accordo con la De Tomaso, poi scomparso a soli 41 anni, il 21 ottobre del 1973 durante il Gran Premio de la Recontrucción Nacional, quando un guasto ai freni provocò una serie di capottamenti della sua Ford Falcon, proiettandolo fuori dall’abitacolo… Si parlò di un sabotaggio per favorire il rivale Héctor Luis Gradassi. Nonostante ciò Estéfano venne ugualmente proclamato campione post mortem. Non una grande consolazione. Venticinque argentini in Formula 1 prima di Colapinto, dalle glorie di Fangio alle disgrazie di Birger, Daponte, Estéfano. Ma quanti ne sono passati. E quanti altri ne abbiamo dimenticati… o forse ne avete dimenticati… io no… : Alejandro De Tomaso, celebre fondatore della De Tomaso Automobili S.p.A., nato a Buenos Aires e morto a Modena ventuno anni fa, nato pilota automobilistico, in F1 nella seconda metà degli anni ’50 con la Scuderia Centro Sud di Guglielmo Dei e con la O.S.C.A. di Ettore Maserati. Due GP all’attivo. Mamma di ricca e nobile stirpe spagnola. Orfano a cinque anni del papà, Antonio De Tomaso, figlio di immigrati, argentino di prima generazione, i cui avi italiani avevano probabilmente cognome ‘Di Tommaso’ poi mal trascritto, socialista, poi dissidente, ministro dell’agricoltura con il presidente Austìn P. Justo. E ancora Roberto Bonomi, appassionato e ricco possidente, un GP all’attivo con la Scuderia Centro Sud. Ottavo in una Targa Florio insieme a Onofre Augustin Marimón. O Jesùs Iglesias, un solo GP all’attivo su Gordini nel 1955, papà di Ricardo Ismael e Juan Carlos, entrambi ottimi piloti in Turismo Carretera negli anni ’70 e zio di Nicolàs, ottimo pilota di Top Race V6 TC. E infine — per non far torto a nessuno — Alberto Rodrìguez Larreta, detto ‘Larry’, una sola partenza in F1 nel 1960 su una Lotus, morto per arresto cardiaco a soli 43 anni. Adolfo Carlos Schwelm-Cruz, detto ‘Teddy’, un solo Gp in F1 corso nel 1953 su una Cooper proprio in Argentina, costretto al ritiro per problemi tecnici dopo venti giri. Juan Manuel Bordeu, ‘figlioccio sportivo’ di Juan Manuel Fangio che in lui aveva intravisto un potenziale campione, che ha in carriera una sola pre-qualifica in Formula 1 nel 1961 sulla mitica UDT Laystall Racing di Reg Parnell , nel Gran Premio di Francia, quando il team qualificò la macchina guidata da Lucien Bianchi. Quando toccò a lui, a Goodwood, ebbe un gravissimo incidente che gli impose un lunghissimo stop e gli troncò la carriera in F1. Serio, introverso, testardo, orgoglioso, chiuse la parentesi nella massima categoria. E poi, naturalmente, Alberto Crespo, originario del tradizionale barrio di Belgrano, che fece la sua unica apparizione nel circus nel 1952, senza prendere parte alla corsa, nel box della ‘Scuderia Enrico Platé’, fondata dall’omonimo imprenditore italo-svizzero, in attività fra il 1950 e il 1952 per undici Gran Premi. E adesso è il caso di ricucire il discorso iniziato venticinque piloti fa… E di riprenderlo proprio dal suo incipit. Per andare dall’enorme La Plata alla popolata Pilàr, nel nord-ovest della conurbazione della Grande Buenos Aires, viaggiando a bordo di una modesta utilitaria il cui navigatore sia sufficientemente lucido e il conducente non ancora completamente gonfio di mate, non occorreranno più di un paio di ore. E’ il tempo che separa -metro più, metro meno- l’abitazione di Gastòn Mazzacane da quella nella quale è nato Franco Colapinto. Gastòn Mazzacane è stato l’ultimo argentino in ordine di tempo a correre in Formula Uno rima dell’approdo di Franco Colapinto. Figlio d’arte, il papà Ugo ha ‘nome’ come pilota di turismo argentino, Gastòn è partito dai Kart grazie al sostegno economico della ‘Cerveceria y Malteria Quilmes’, una industria di birra molto quotata e assai presente sul mercato delle sponsorizzazioni locale . Dopo i primi successi minori e la seconda posizione nella F3 sudamericana, vince la F2000 italiana da ‘rookie’. A 21 anni eccolo in F3000 ma non riesce a sfondare, gli servono tre stagioni per ottenere buoni risultati e punti. Tuttavia la Minardi gli offre un contratto come tester nel 1999 , quindi nel 2000 diventa uno de piloti titolari della squadra di Formula Uno. A Melbourne, nella gara di esordio, parte dal fondo. Dopo 22 giri si ritira per un problema al cambio, ma il distacco dal compagno di scuderia Marc Gené era già abissale. Pilota lento anche in qualifica, solo in due occasioni riesce a schivare l’ultima fila della griglia. Al Nürburgring arrivano al traguardo in nove, Mazzacane è ottavo a due giri. A Indianapolis ha un guizzo prima del cambio gomme e per qualche giro resta davanti a Mika Hakkinen e tiene la terza posizione. Il resto è da dimenticare. Prova a chiudere con Arrows e Prost per proseguire la carriera ma non è competitivo abbastanza. In Prost dura quattro gare, poi viene sostituito dal brasiliano Luciano Burti. È il 2001. Da allora passeranno ventitré anni prima che un altro argentino rimetta piede in F1. Franco Alejandro Colapinto dallo scorso anno fa parte della Williams Driver Academy. Prima di debuttare a Monza, in F1 aveva corso le prove libere del GP di Gran Bretagna di Silverstone. Nato con i Kart a nove anni — ora ne ha ventuno — a tredici ha vinto il suo primo titolo in argentina, per poi mettersi alla prova nel campionato continentale. Nel 2018 ha conosciuto le monoposto in Spagna salendo su una F4, poi grazie a Fernando Alonso ha disputato l‘intera stagione 2019 conquistando dieci pole positions e undici successi e vincendo il suo primo campionato di categoria. Passato da F. Renault e Toyota Racing, vincendo la classifica ‘rookie’, nell’ottobre del 2020 ‘assaggia’ nei test la F3. Corre la F. Regional Europea, la European Le Mans Series e la 24h di Le Mans. A novembre del 2021 MP lo richiama per i test di F3 ma lui si accorda con Van Amersfoort per il campionato 2022: vince 2 gare, conquista 1 pole e 5 podi. Nel 2023 inizia con MP in F3 e chiude in F2. Quest’anno, dopo una vittoria e tre podi in F2, debutta in F1: 18° in qualifica e 12° in gara. Colapinto ha fatto bene, considerata l’inesperienza e anche il non avere neppure completato il suo primo e unico anno in Formula 2. Al venerdì si era ritrovato tra le mani la FW46 che aveva già saggiato solo nelle prime libere di Silverstone e la qualifica è stata ovviamente difficile. In corsa il risultato deve tuttavia tenere conto anche delle buone prestazioni che storicamente — negli ultimi anni — le monoposto britanniche hanno sul tracciato di Monza. Un dato utile in ottica gara per un pilota abituato a lottare e che non si tira mai indietro. L’argentino è risalito di sei posizioni, non ha commesso errori, ha chiuso a meno di 14" dal compagno di scuderia Albon, già più esperto di lui. Può dirsi soddisfatto James Vowles, può dirsi soddisfatto Colapinto. Ma un sedile dovrà sudarselo nei GP rimanenti, poiché quello sul quale siede ora è già promesso a Carlos Sainz. Impossibile attendersi che un rookie in F2 prendesse una macchina un po’ male in arnese e la conducesse a fare miracoli, ma certo nessuno gli ha messo pressione e lui errori non ne ha commessi. La scelta di Grove è stata premiata, quella di Colapinto economicamente azzardata considerando il limite di disponibilità di ‘posti a sedere’ nel circus e chi c’è ancora col biglietto in mano che aspetta la poltrona. Ma se Williams voleva e vorrà capire quanto potrà contare sull’argentino tutto ciò ha un senso, se questo servirà a mettere ad Albon un pulce nell’orecchio ha una logica, se sarà utile ad aprire una porta a Colapinto avrà un motivo, se sarà stato solo uno sgarbo a Mercedes sarà stato appena un gioco politico a costo zero . Intanto la macchina è tornata intera ai box, i budget cap e i bilanci respirano, Vowles ha una opzione in più, Colapinto ha la sua chance. E l’Argentina torna ad essere protagonista nella massima categoria del motorsport. In nome di Fangio e di tutti quei piloti che abbiamo ricordato, e che in molti hanno dimenticato in fretta, che ne hanno fatto un gran bel pezzo di storia in Formula 1. "La memoria non conia più monete. E tuttavia qualcosa c’è che resta, e tuttavia qualcosa c’è che geme..."