Formula 1, dov'era finita la ruota di Eddie Irvine?

Il 26 settembre del 1999 è passato alla storia come uno dei Gran Premi più sorprendenti della F1, sotto tutti i punti di vista. Sulla pista dal fatidico nome , si disputava la quattordicesima gara delle sedici pianificate dal calendario. Le sorprese iniziarono con un Gran Premio d’Europa condizionato da uno scroscio d’acqua che rimescolò le carte dalle prove ufficiali per tutta la gara. Eddie Irvine era orfano del suo condottiero Michael Schumacher, coinvolto nell’incidente del GP di Gran Bretagna . Redarguito a dovere da Jean Todt, l’irlandese che aveva già praticamente firmato per la Jaguar, si trovò ad un passo dal conquistare il titolo piloti, forse con un carico di responsabilità difficile da gestire. E così le ultime gare della stagione furono veramente una scommessa. Mika Salo, 'compagno di merende' di Eddie, sin dal tempo delle corse in Giappone, venne catapultano sulla rossa e si trovò anche lui nel frullatore. Quel famoso GP d’Europa venne stigmatizzato dal team come il gran premio del “due or die”, cioè o si vince e si guarda al Mondiale o tutto sarà complesso. Alle sette di mattina, mentre con il mio fido compagno e maestro Giorgio Piola facevo il giro dei box, vidi dei movimenti strani al muretto Ferrari. Era l’ing. Ignazio Lunetta, allora capo della strategia del team, che mostrava al box dei cartelli colorati con scritto sopra wet e dry, cioè asciutto o bagnato. Le previsioni del tempo davano nuvoloso e sereno durante quasi tutto il corso della gara, con qualche scroscio di pioggia, come era successo nel corso delle qualifiche. E così fu. La Ferrari numero 4 di Eddie Irvine si fermò ai box per un inaspettato pit stop, nel senso che lo avevano già chiamato ma lui aveva preferito rimanere fuori e al suo posto avevano fatto rientrare Salo. Poi la pista era cambiata e a Eddie non restava che ritornare ai box per il cambio gomme. La confusione fu bestiale; attorno alla sua monoposto tre treni di gomme, due di Salo e uno per Irvine. Improvvisamente la monoposto rimase sui cavalletti e una delle quattro gomme rotolò sotto i miei piedi, intanto che ero con il microfono in mano in collegamento con il telecronista Paolo Leopizzi. Non potevo parlare o muovermi e fermai la gomma con un piede. La scena paradossale la osservavo da una prospettiva di massimo 10 metri e la stavo raccontando in diretta ai telespettatori. Nel frattempo un meccanico si rivolse verso il mio sguardo e gli indicai la gomma sotto il mio piede facendo il gesto ok con la mano che mi rimaneva libera. I meccanici erano tutti vestiti allo stesso modo con il casco in testa, tranne Niegel Stepney, il capo di tutti loro. Quando gli si avvicinò quello con la gomma, lui inglese, si espresse a gesti meglio di un italiano. Gli fece segno da dove arrivasse, e il meccanico si girò verso di me e mi guardò ancora. Al che Niegel guardò anche lui il sottoscritto e in mezzo al rumore esagerato della corsia box, allargò le braccia con un significato diciamo minaccioso, promettendomi un futuro da lì a breve non proprio roseo se avessi sbagliato suggerimento. Fortunatamente per me tutto filò liscio e la gomma venne montata, ma Eddie aveva già perso preziosi venti secondi. Al termine della gara, davanti alla Ferrari giunta settima, ci fu un carosello incredibile di fatalità. Vinse la gara Johnny Herbert con la Stewart Ford, prima e unica vittoria della squadra. Arrivò secondo Jarno Trulli con la Prost, primo podio dell’italiano, al suo ultimo anno con la scuderia francese. Rimase a secco a pochi metri dal termine, quando era in quarta posizione, Luca Badoer con la Minardi, situazione che mai più si ripeterà per l’italiano. Di materiale per le interviste ce ne era a sufficienza, ma mi ritrovai da intervistatore ad essere intervistato. Io cercavo i protagonisti e i colleghi giornalisti mi vennero incontro chiedendomi come avessi trovato la gomma. Tutto era molto imbarazzante e alla fine cercai di liquidare tutti e tutto in breve. Solo poi mi resi conto di quello che era successo ad Eddie e del suo mondiale perso, anche se poi in realtà fu a Suzuka che trovò il definitivo ko per un treno di pneumatici poco performanti. Diventammo amici anche per questo piccolo dramma che lui scoprì dal padre solo a stagione finita. Non volli mai sapere chi fu il meccanico che perse la gomma, anche se mi dissero che fu indirizzato in un’altra società del gruppo. Solo dopo due anni, a Monza, mi venne incontro e si presentò e io rimasi stupito perché l’ ho sempre reputato come uno dei meccanici più professionali e gentili mai incontrato. Mi ringraziò, ma io onestamente non avrei mai potuto sapere chi ci fosse dietro quella tuta e quel casco; temevo solo la reazione di Niegel Stepney, il solo ad indossare un casco diverso dagli altri, guarda caso quello originale regalatogli da Eddie Irvine.

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