La leggenda di ‘Al’ Pease

Fino al giorno della sua morte, avvenuta il 4 maggio del 2014, Victor Pease si è goduto gli anni della meritata pensione nel suo verde ‘buen retiro’ di Sevierville, capoluogo del Tennessee, dove aveva stabilito la sua ultima residenza, dopo una vita avventurosa e ricca di ricordi da riordinare in stanze capaci, luminose e circondate dal verde e dalla buona musica. Del resto, Nashville, pur essendo poco più di tre ore lontana, fa sentire anche da queste parti la sua influenza e il vento che soffia oltre la Clingmans Dome trasporta note e spensieratezza anche in chi è sordo ai richiami del pentagramma. Un tempo grafico e pubblicitario, poi proprietario di uno studio artistico, Victor Pease divenuto dopo i sessant’anni - e fino alla veneranda età dei novantatré - abile restauratore di automobili per passione, fra i quaranta e i sessanta riuscì a ritagliarsi un ruolo importante nel mondo del motorsport canadese, che a fine carriera gli valse - era il 1998 - l’inserimento di diritto nella Canadian Motorsport Hall of Fame, per i successi ottenuti a livello nazionale. Fama eterna, che commentava con gli amici - con l’immancabile bicchiere di succo d’arancia alla vodka in mano - della quale era molto orgoglioso. Victor Pease, per tutti ‘Al’, accanto a campioni come Gilles e Jacques Villeneuve, Greg Moore, Paul Tracy e pochi altri. Per l’eternità. E senza neppure essere canadese di nascita. E senza nemmeno avere segnato un’epoca di successi indimenticabili a livello internazionale, ma anzi, più che altro avendo segnato un record negativo che finora nessuno ha mai battuto - e forse nessun altro mai più batterà - essendo stato il solo pilota di Formula 1 ad essere squalificato in gara perché troppo lento. Un primato del quale meglio non vantarsi troppo, in effetti. Che ora giace custodito dietro una lapide marmorea. Ma andiamo con ordine. Si diceva di Victor ‘Al’ Pease non canadese. Sì, perché il nostro eroe era nato in Inghilterra, a Darlington, nella contea di Durham, nel lontano 1921, il 15 ottobre, già famosa perché città sede della prima linea ferroviaria del mondo, realizzata dall’ingegner George Stephenson. Dopo gli studi decise di intraprendere la carriera militare arruolandosi nell’esercito britannico e servendo la Patria in India, in Rhodesia e in Egitto. Una volta smessa la divisa emigrò negli Stati Uniti e di lì, oltre il confine, in Canada. Era l’inizio degli anni ’50. Trovò impiego come grafico. Alle illustrazioni unì la passione per i motori, coltivata anche negli anni prestati sotto le insegne della Royal Air Force e - grazie alla sua caparbietà e buone amicizie - riuscì ad avviare una attività agonistica a livello locale che si rivelò subito soddisfacente e ne mise in evidenza il notevole talento e la tecnica, ben più evoluta dei suoi avversari nordamericani. Divenne subito il fenomeno da battere nelle gare sportive locali e nelle corse riservate alle monoposto e fece per anni man bassa di titoli regionali e di classe principale, al volante di auto della British Motor Corporation. Praticamente senza rivali. Nel 1964 si aggiudicò al Mosport Park di Bowmanville, nell’Ontario, il Sundown Grad Prix of Endurance insieme al suo co-pilota canadese Don Kindree, su una Austin-Healey 3000, in una giornata di pioggia torrenziale davanti solamente a 1300 spettatori. Era il ritorno di una grande classica dopo tre anni di sospensione per mancanza di fondi e Pease-Kindree se l’aggiudicarono in quattro ore, passando sul traguardo davanti alla Volvo P-1800 di Albert Hoogenbloom e Roly Stinson in ritardo di due giri. A questo successo seguirono una 1Hour Endurance su Austin Cooper e una gara di produzione su MGB. La stella di Pease diventò col passare dei mesi sempre più luminosa, il suo ‘peso specifico’ aumentò al punto da riuscire a imporre al Canadian Automobile Sports Club di accettare che i nomi degli sponsor potessero campeggiare sulle auto da corsa e infine allargò la rete delle proprie conoscenze eccellenti, fino a stringere rapporti importanti con la Castrol Oil Canada e riuscire ad acquistare una F1 originale Eagle T1, completa di motore Climax con la quale - grazie allo sponsor - richiedere di potersi iscrivere al Gran Premio di Formula Uno del Canada del 1967 in programma al Mosport Park. Il grande giorno non tutto andò come previsto. Il motore non si avviò sulla griglia di partenza e Pease perse sei giri nel tentativo da parte dei meccanici di riavviarlo. Una volta cambiata la batteria riuscì a prendere il via, ma finì in testa coda dal lato opposto rispetto ai box e la macchina non ripartì, ancora per problemi di batteria. Pease scese dalla macchina, di corsa sotto la pioggia e in salita si precipitò a prendere una terza batteria e tornò a sostituirla , ma la gara era oramai definitivamente compromessa e il risultato finale fu impietoso, nonostante la buona volontà: non classificato. Le disavventure patite nel corso del Gran Premio non demotivarono Pease, ma lo convinsero invece a insistere e a lavorare ancora più sodo per ritentare l’anno seguente. Ripensò agli inizi al volante della sua Riley e a quanti giovani aveva ispirato ed emozionato in quasi quattordici anni di rincorsa alla Formula 1. Lucidò la targa d’ottone vinta come ‘Pilota dell’anno 1964’ su una MG alla mitica 500 km di Bridgehampton e ripensò agli incoraggiamenti della stessa Castrol Oil a non mollare. Aveva debuttato in Formula 1 a 46 anni, non c’era motivo di non riprovare. Magari evitando che Brabham si ripetesse… Sì, perché la cosa che più gli bruciava non era il ritiro in sé, la storia delle batterie inaffidabili, la corsa sotto la pioggia. Ma che Jack Brabham nel frattempo lo avesse doppiato per ben 43 volte… Inaccettabile. Ma il feeling con la Formula 1 non scattò neppure nel 1968 quando - pure se iscritto - non riuscì a prendere parte alla corsa per una negligenza dei meccanici che, nel tentativo di migliorare le prestazioni, non finirono in tempo il lavoro per rimandarlo in pista. La manovella del motore aveva ceduto: solo ‘Al’ smontando il motore trovò una chiave a brugola fra gli ingranaggi. La seconda delusione fu ancor più cocente della prima. Ma Victor ‘Al’ Pease era un tipo testardo. E nel 1969 si ripresentò ancora ai nastri di partenza del Gran Premio del Canada di Formula 1, al volante della solita Eagle TF1 da 2,7 litri motorizzata Climax FPF4 del 1966 stavolta esercitata dal team John Maryon, a scanso di dubbi. Ma la macchina oramai aveva tre anni e per diversi mesi era stata esposta in una mostra a Montreal . In verità le qualifiche non furono pessime. Pease le chiuse 17° su venti partecipanti… Tuttavia, in gara la Eagle di ‘Al’ si rivelò lentissima - qualcuno ironizzò dicendo che, visti i precedenti, il pilota stesse guidando con eccessiva prudenza - e presto iniziò a subire il doppiaggio da parte di tutti gli altri piloti sul tracciato. Il comportamento di Pease incominciò a diventare d’intralcio al normale svolgimento della competizione e oltremodo pericoloso, visto che - probabilmente innervosito dalla situazione - ‘Al’ prese a rendere difficili i sorpassi alle macchine che sopraggiungevano. Al 22° giro, quando ormai tutti avevano già percorso più del doppio dei suoi giri, in pista apparve una bandiera. Quella che sventolò davanti agli occhi di Pease fu una bandiera nera, la bandiera della squalifica, che viene esposta quando una macchina viene giudicata pericolosa per le altre vetture in gara. Una serie di contatti aveva coinvolto Silvio Moser, Jean-Pierre Beltoise e Jackie Stewart . Ken Tyrrell era andato su tutte le furie e aveva abbandonato il muretto chiedendo di fermare Pease, che in quel momento percorreva il 22° giro mentre Jacky Ickx finiva il 46°. Detto fatto. Pease tornò ai box e finì così la sua triste e sfortunata esperienza in Formula 1. Pease continuò a correre in Formula 5000 e Formula A, ottenendo a 49 anni la sua ultima vittoria. E rimane tuttora uno dei piloti canadesi più vincenti tra gli anni '50 e '60 col singolare e triste primato di aver-non-aver partecipato a tre Gran Premi di Formula 1: nel primo estromesso dalla classifica, per non aver completato la distanza minima prevista dopo aver fatto registrare una velocità media di soli 69,4 km/h, nel secondo fermato da una chiave a brugola e nel terzo per essere il solo e unico pilota di Formula Uno a essere stato squalificato in corsa perché troppo lento. Ma non si trattava di un perdente. Lo immagino, ancora dieci anni fa prima di abbandonare questa terra, sul patio della sua casa nel verde di Sevierville, con il suo succo di arancia alla vodka in mano, arzillo novantaduenne, mentre getta un’ultima occhiata ai suoi trofei e alle sue adorate macchine, mentre prepara la valigia per l’aldilà. Con la morte che - al voltante del nero carro rombante - gli mette fretta. E lui, placido a sorriderle e sussurrare fra sé e sé… “sono riuscito a rimanere nella storia della Formula Uno senza dannarmi l’anima a trecento all’ora, non mi dannerò l’anima certo per correre all’altro mondo… Quasi quasi mi porto dietro una brugola…”.