Enzo Ferrari, la Scuderia, e i 95 anni di quelle sue 'gioie terribili'

95 anni, 16 mondiali costruttori e 15 piloti in Formula 1 , 11 vittorie assolute nella 24 ore di Le Mans , 5 Daytona, 7 Targa Florio, 7 Mille Miglia, più innumerevoli altri successi, due parole che sono l’essenza del motorsport: Scuderia Ferrari. Scelte dal fondatore, Enzo, quel 16 novembre del 1929 per dare una forma concreta al suo sogno d’infanzia, o meglio forse al secondo sogno dopo quello di fare il pilota. Cosa che, peraltro, aveva fatto anche a ottimo livello, ma senza riuscire a eccellere contro i mostri sacri dell’epoca come Nuvolari, Ascari, Farina e Fagioli giusto per citarne alcuni. Ma quell’esperienza segnò profondamente la sua vita e, soprattutto, la sua carriera. Alfa Romeo, con cui aveva corso e vinto in diverse occasioni, lo chiamò a Milano per costituire una squadra corse indipendente sia da loro sia da Pirelli, all’epoca i due soggetti più importanti nel mondo dello sport automobilistico italiano . E allora Ferrari, che aveva anche spiccate doti di meccanico e ottima capacità organizzativa, scelse insieme ad alcuni soci e finanziatori di dare il via alla Società Anonima Scuderia Ferrari. Data di fondazione ufficiale, appunto, 16 novembre 1929. Sono anni in cui il futurismo, con la sua fascinazione per il rapporto tra uomo, macchina e velocità prende piede e quindi quale migliore trasposizione dell’immaginario futurista di una Scuderia che contenga non uno, non dieci ma centinaia di cavalli, chiusi sotto un cofano di un auto da competizione? Centinaia più uno, un cavallo, o meglio un cavallino rampante, simbolo, ormai universale della Ferrari che Enzo aveva ricevuto in dono, dopo la vittoria da pilota nel 1923 nel 'circuito del Savio' dai genitori di Francesco Baracca, eroe dell’aviazione della Prima Guerra Mondiale. Quel cavallino, ridisegnato più rampante di prima e con la coda ritta al vento, messo su uno sfondo giallo canarino in uno scudetto con le lettere S.F. diventerà il simbolo, ben riconoscibile, delle vittorie di Ferrari. Sarà adottato da subito per identificare l’azienda ma solo nel 1932 comparirà sulle macchine da corsa quando l’Alfa Romeo, con le cui auto gareggiavano i piloti di Ferrari, darà il suo benestare. E con il cavallino sul cofano arrivò subito una prestigiosa vittoria con l’Alfa di Taruffi e D’Ipppolito alla 24 ore di Spa. Ferrari continua a gestire direttamente le vetture del biscione fino al 1937 e in quegli anni vince in Italia e non solo, potendo contare su piloti leggendari come Nuvolari e Fagioli. Vince la Targa Florio sull’infernale circuito delle Madonie, vince la 24 ore di Le Mans portando quindi il proprio nome ben al di fuori dei confini nazionali. L’Alfa Romeo da un lato beneficia dell’accordo fatto ma dall’altro scalpita per tornare a correre ufficialmente, cosa che fa nel 1937 appunto. La Società Anonima Scuderia Ferrari viene liquidata e Ferrari assunto come direttore sportivo direttamente dalla casa madre. Sarebbe potuta essere la fine della Scuderia , e noi oggi non saremmo qui a festeggiare i 95 anni e tutti i successi di cui sopra. Ma Ferrari non ha un carattere semplice: è bravo, anzi bravissimo, stimato dai piloti che lo riconoscono come uno di loro e da meccanici e progettisti con cui parla una lingua comune, ma non va a genio, per la sua scarsa malleabilità, ai dirigenti dell’azienda. Nel 1939, dopo appena due anni, lascia l’Alfa. Ha un fuoco che gli brucia dentro, vuole costruire le proprie macchine da corsa e vincere con il suo nome e il suo cavallino sul cofano. Ma non può perché ci sono dei vincoli nei contratti firmati con il suo ex datore di lavoro che glielo impediscono. Fonda allora la Auto Avio Costruzioni e, durante la guerra, si occupa della realizzazione di parti di aerei. In fondo, anche allora, aviazione e motorsport andavano già a braccetto. I primi circuiti in Inghilterra erano nati proprio sulle piste d’atterraggio e le tecnologie, tra motori ad alte prestazioni e la ricerca della leggerezza e delle forme filanti, condividevano gli stessi principi e spesso gli stessi materiali. Ferrari però vuole tenere i piedi, o meglio le ruote, ben piantate per terra, e scaduti i termini contrattuali comincia a progettare le sue macchine da corsa e a gestire la sua attività con una precisione maniacale che si avverte ancor oggi e che permea la produzione industriale del Cavallino. Per ogni auto uscita dal cancello di Maranello esiste infatti una scheda tecnica con i disegni dei pezzi e poi una lista compilata a mano o dattiloscritta in cui sono riportati tutti i singoli componenti con il rispettivo numero di punzonatura. Così per ogni singola macchina. Negli archivi di Maranello, preziosamente custodita, esiste anche un'altra scheda: quella per il cancello della ditta, l'ingresso dello storico stabilimento di Maranello. Anche per quell’oggetto sono riportati i disegni tecnici e l’elenco di ogni singola parte numerata e punzonata. Come da indicazioni del Commendatore. Con queste meticolosità Ferrari costruisce, nel 1940, la Auto Avio 815 che diviene, di fatto, la prima macchina da corsa da lui progettata e realizzata. Poi, nel 1947 la 125S, nel suo rosso scuro ben diverso dall’attuale, finalmente la prima macchina a poter utilizzare il nome Ferrari. Con la 125S arrivano anche i primi successi: alla seconda gara, il Gran Premio di Roma sul circuito delle Terme di Caracalla, Franco Cortese conquista la prima vittoria di una Ferrari. E se andate a Roma, tra il circo Massimo, la sede della FAO e lo stadio di atletica Nando Martellini, da qualche parte c’è anche una targa a ricordare quell’evento. Ma la storia della Scuderia non fu tutta trionfi. Del resto nel motorsport la linea che divide il successo dal fallimento e la gioia dalla tragedia, è spesso molto sottile. La Ferrari esordisce, dato abbastanza noto, in Formula 1 nel 1950, anno del primo mondiale. E da allora è stata l’unica a partecipare a tutte le edizioni. La prima vittoria arriva nel 1951 a Silverstone con Josè Froilan Gonzalez, connazionale e rivale della leggenda Juan Manuel Fangio , che lotta poi per il titolo fino all’ultima gara. Il primo mondiale piloti arriva nel 1952 con Ascari su una Ferrari 500, con 6 vittorie consecutive nelle ultime sei gare di un campionato composto da 8 Gran Premi. Ora Ferrari ha vinto ovunque: su strada, in pista, in Italia e all’estero ma il futuro è sempre in bilico, economicamente e agonisticamente. Come nel 1957, quando le rosse devono vincere la Mille Miglia per poter risollevare le sorti, economiche prima che agonistiche, della casa del cavallino. Perché la Formula 1 era prestigiosa, ma costosa, e le sponsorizzazioni di peso erano ben di là da venire. Le aziende come la Ferrari vivevano molto dei proventi derivanti dagli ingaggi dei gentleman driver che pagavano per correre, dei premi per le gare e della pubblicità che seguiva i trionfi e aiutava a vendere le vetture GT. Per la casa di Maranello quella Mille Miglia sarà però una "gioia terribile”, come l’avrebbe definita lo stesso Ferrari: ai primi tre posti, con Taruffi, Von Trips e Gendebien in classifica fa da contraltare il terribile incidente del Marchese Alfonso de Portago in cui, oltre a pilota e navigatore, muoiono 9 spettatori, di cui 5 bambini. Da quell’anno le gare di velocità su strada vengono praticamente abolite in tutta Italia. Gettando in ulteriore difficoltà la Scuderia. Ma Enzo Ferrari va avanti tra grandi trionfi, grandi tragedie e anche qualche decisione sbagliata. In Formula 1 i sempre più numerosi team inglesi, quelli che lui sprezzantemente definisce “garagisti” per l’esiguità dei mezzi e l’artigianalità nel costruire le monoposto, trovano soluzioni innovative. Il motore viene spostato al posteriore ma Ferrari, abituato a pensare ai cavalli davanti al carro, fatica ad adattarsi. Lo fa solo nel 1961 e un simpatico piccoletto americano, Phil Hill, vince il mondiale, anche a causa della scomparsa del suo compagno di squadra Von Trips che muore a Monza, alla penultima gara, in un tremendo incidente. La Scuderia resta però impegnata su più fronti: gli anni ’60 sono quelli della sfida Ferrari - Ford in pista a Le Mans e a livello industriale. Nel 1963 Ford va ad un passo dall’acquisto dell’azienda, è tutto definito: Ferrari avrà due aziende separate a livello industriale e sportivo e a Maranello arriveranno i soldi per guardare con serenità al futuro. Quando però il fondatore viene a sapere che ogni programma sportivo dovrà essere approvato dagli americani manda tutto a monte. E continua per la sua strada, che lo porterà a collaborare prima e ad essere acquisito poi dal gruppo FIAT. Granitico nelle sue certezze, il Commendatore non sempre riesce a fidarsi e ad ascoltare chi gli sta vicino: alla fine di ogni gara, lui che raramente si allontana da Maranello, pretende un rapporto dettagliato del fine settimana. In questi rapporti, dattiloscritti e tutt’ora conservati negli archivi di Maranello, venivano riportati tutti i dati: dalle condizioni atmosferiche alla cronaca delle varie sessioni, alle impressioni dei piloti e dei meccanici, a eventuali guasti o inconvenienti subìti. Da questi rapporti Ferrari traeva le proprie conclusioni e prendeva le decisioni. Serviva qualcuno in pista, soprattutto nel settore tecnico, di cui fidarsi ciecamente. A soli 27 anni arriva nella Scuderia l’ingegner Mauro Forghieri. Ci resterà fino al 1984, quando si dimetterà per contrasti con la FIAT che voleva ristrutturare il reparto corse. Insieme Ferrari e Forghieri, con l’aiuto di gente come Luca Cordero di Montezemolo e Marco Piccinini e piloti come Surtees , Lauda e Scheckter vinceranno 54 Gran Premi, 4 titoli piloti e 7 costruttori. I due vivranno anche un mondiale perso da Lauda al Fuji nel ’76 , l’ultimo titolo mondiale del cavallino prima dell’era Schumacher con Scheckter nel 1979 e la tragedia di Villeneuve. Villeneuve che per Ferrari era quasi un terzo figlio. Villeneuve a cui Ferrari e i suoi perdonavano le intemperanze in pista e fuori, restando incantati dalle folli imprese che faceva al volante, e anche le guasconerie da pilota d’altri tempi: nella Scuderia infatti si stava già pensando e realizzando un cambio semiautomatico azionabile con dei pulsanti al volante, precursore di quello che ormai adottano tutti in Formula 1 e non solo, ma Gilles l’aviatore era fortemente contrario. Si impuntò direttamente con il commendatore: “Se togliete la leva del cambio io me ne vado”. La leva rimase, Villeneuve non cambiò mai squadra. Se ne andò, volando nella leggenda, solo a Zolder nel 1982 con quel tragico incidente. E Ferrari da quel giorno rimase un po’ più solo in quei bui anni ’80, avari di successi. Nel 1988 ormai novantenne, se ne andò anche lui, il grande vecchio, il Fondatore. La Scuderia quell’anno vinse un’unica gara in una stagione dominata dalla McLaren: il GP di Monza. La prima gara dalla scomparsa di Enzo Ferrari. Senza di lui, con la Fiat a prendere il controllo, finirono gli anni ’80. Arrivarono i ’90 ma i successi continuarono a mancare. Le macchine ora si progettano al computer e il genio inglese John Barnard, con la sua antenna tecnologica lontana da Maranello, prova a riportare il mondiale che manca ormai da troppo tempo. Introduce, finalmente, l’innovazione del cambio al volante, che farà scuola e si rivelerà decisiva. Con Prost e Mansell al volante andò ad un passo dal centrare il mondiale, con il francese fermato nella sabbia di Suzuka da Ayrton Senna. Poi altri anni faticosi con poche, pochissime vittorie, la gioia di Jean Alesi, amatissimo dai ferraristi in Canada nel ’95 e la ricostruzione. Enzo Ferrari era morto da 5 anni quando a Maranello, dalla Peugeot, arrivò Jean Todt, il piccolo Napoleone del Motorsport. Forte dei trionfi e della gestione con pugno di ferro alla Dakar e nel mondiale Sport Prototipi, il francese sembrava l’uomo giusto per riportare il mondiale a Maranello. Ma mancavano dei tasselli, che arrivarono pian piano: Ross Brawn e Rory Byrne dal lato tecnico e sportivo e poi Michael Schumacher. Due mondiali con la Benetton prima del dominio con la Ferrari dal 2000 al 2004: metodico, intelligente, capace di portare la squadra nella sua direzione e di lavorare con loro fino a notte fonda in anni in cui il coprifuoco obbligatorio non esisteva e i test non avevano limiti di chilometri. Amava vivere in quella che era stata la casa di Ferrari a Fiorano, per essere vicino al circuito e in pista al mattino presto per cominciare a macinare giri ma anche per sentirsi parte della storia del Cavallino. A Ferrari sarebbe piaciuto per passione, dedizione e per quel piede pesante e incredibile. Chissà se invece avrebbe amato Kimi Raikkonen, schietto, pilota d’altri tempi per la capacità innata di guidare veloce e imparare qualsiasi mezzo da subito, ma anche di vivere in un mondo tutto suo. Al Commendatore comunque piacevano i vincenti e l’ultimo con il Cavallino in F1 è stato lui, nel 2007. Con l’appendice del costruttori nel 2008. Il resto è storia recente di piloti cresciuti in casa a Maranello e di una squadra che sta risalendo la china in Formula 1 e che ha fatto ritorno a Le Mans. E che ritorno: due vittorie in fila con la 499P nella 24ore. Con due equipaggi diversi che di Ferrari hanno molto, essendo cresciuti sportivamente a Maranello. Da Pier Guidi ai due Antonio, Giovinazzi e Fuoco, da Calado a Molina e Nielsen. Per riassumere i 95 anni della Scuderia Ferrari non sono bastati innumerevoli libri, film, fumetti, serie TV, racconti e opere d’arte. Impossibile racchiudere tutto in qualcosa che per sua definizione è limitato. Si può tentare di fare un piccolissimo excursus per dare un assaggio, un’idea, un suggerimento della grandezza sportiva, tecnologica e di talento che è stata ed è la casa del Cavallino. Si può tentare ma alla fine si può solo arrendersi e dire: "Buon compleanno Scuderia Ferrari. Altri cento, mille anni di quelle che il tuo papà chiamava "le mie gioie terribili"".

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