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Honda anomala: l'analisi sulla crisi della casa giapponese

MotoGp

Paolo Beltramo

Da un paio di stagioni la Honda è in difficoltà, tanto in MotoGP quanto - in parte - in Moto3. Non si può non pensare al passato, alla grandezza del sogno Honda nelle corse, ai capolavori realizzati, alla genialità profusa in progetti scaturiti da menti sopraffine. Ritornerà sulla cresta dell'onda... a meno che, chissà, non faccia come negli anni '60 e si ritiri per tornare con qualcosa di rivoluzionario

MARQUEZ E LA HONDA, UNA STAGIONE DA DIMENTICARE

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Sono un paio d’anni che quanto sta accadendo alla Honda in MotoGP, ma in parte anche in Moto3, mi fa pensare. Basti dire che lo scorso campionato l’unica categoria del Motomondiale dove un mezzo col nome “Honda” poteva vincere un titolo fosse la Moto2 dove si corre con motori Triumph… Così mi è spesso venuto in mente il suo passato, ho pensato alla grandezza del sogno Honda nelle corse, ai capolavori realizzati, alla sua straordinaria, assoluta unicità, alla qualità e inventiva, alla genialità profusa in progetti scaturiti da menti sopraffine e innovative, realizzati, creati in metalli comuni, ma forgiati, lavorati con arte, resi nobili, elaborati da persone eccezionali, da mani artistiche, con precisione sopraffina.

La storia di Honda nelle corse è sempre stata diversa da ciò che vediamo oggi: dopo aver “distrutto” un pilota come Jorge Lorenzo, annichilito Pol Espargaro, massacrato Joan Mir e Alex Rins, pure l’eroico, coraggioso, finora mai domo Marc Marquez ha dovuto arrendersi alla scarsa competitività della RC213V. Qualcosa di inimmaginabile fino a qualche anno fa anche se va tenuto presente che di Honda che vince c’è quella power-unit marchiata Red Bull sulle macchine di Max Verstappen e Sergio Perez, quindi attenti a dare per sconfitta una casa che, se vuole, prima o poi vince.

Le case europee hanno reso difficile la situazione di Honda (e Yamaha)

A rendere così difficile la situazione Honda (e anche di Yamaha) in MotoGP c’è soprattutto la bravura e la genialità di Ducati che ha lavorato su un aspetto colpevolmente trascurato dai giapponesi come l’aerodinamica e altre idee come l’abbassatore. Più leste a seguire il trend sono state le altre due case europee, Aprilia e KTM. Un po’ per mentalità, ma soprattutto per l’agilità della catena decisionale. Io comunque credo che i giapponesi non dormiranno sulle batoste e reagiranno. A meno che dietro a ciò non si nasconda una volontà di ritiro in vista di un futuro diverso con una componente elettrica se non del tutto a batteria. Vedremo, ma nel frattempo le moto che si vendono sono quasi tutte quelle con motori a combustione interna, più leggere e agili, capaci di autonomie ben maggiori. Quindi come quelle che corrono oggi.

Il grande ritorno della Honda a Silverstone nel 1979

Torniamo però a quel passato di Honda nelle corse che mi lascia sempre con una sensazione di bello nel cuore. Il mio primo approccio con Honda alle gare di velocità è stato a Silverstone nel 1979, il giorno del grande ritorno della Casa dell’Ala Dorata dopo il ritiro degli anni ’60. Fino a quel GP di Gran Bretagna (tra l’altro bellissimo con un duello mozzafiato Roberts-Sheene fino all’ultimo metro con vittoria dell’americano), in pista c’erano soprattutto Suzuki RG 500, la stragrande maggioranza e qualche Yamaha più la Morbidelli di Graziano Rossi. Ma nell’ex aeroporto inglese esordisce la NR 500. Una quattro cilindri a V 4 tempi che tentava di contrastare l’egemonia oramai assoluta dei 2 tempi con innovazioni e idee che ne hanno fatto, secondo me, uno dei più bei pezzi.- di meccanica della storia dei motori. Ecco perché: 4 cilindri sì, ma con pistoni ovali per avere 8 valvole, due bielle, due carburatori, due scarichi, doppio condotto di aspirazione e scarico, due candele per cilindro. In pratica erano vietati gli 8 cilindri e Honda ha fatto un 4 con le dotazioni di un 8. Il rosso sul contagiri cominciava a 20.000 giri per cercare di contrastare il vantaggio del ciclo utile ad ogni giro dei 2 tempi che giravano intorno agli 11/13.000 ed ottenere la stessa potenza (nei puri numeri risultato ottenuto 110/130 cv). Ma non basta. Il telaio era monoscocca portante in alluminio (quella che sembrava la carena era il telaio, come in una monoposto di F1) e attacco del forcellone coassiale con l’uscita del pignone così da non avere problemi di “tiro catena” (per il nostro Mauro “Sankio” Sanchini sarebbe un dramma…hehe) e i radiatori erano a sfioramento come in quell’epoca aveva fatto anche la Brabham in F1. E poi foderi delle forcelle in carbonio, cerchi in lega componibili. Il capo progetto era Soichiro (un nome, una storia, una garanzia…) Irimajiri. Allora si usava far crescere i giovani ingegneri lasciandoli liberi di costruire moto che sembravano astronavi extragalattiche, neanche fossero registi di fantascienza.

L’arrivo di quella specie di navicella aliena fu mitico: un hangar affittato da Honda guardato a vista, tecnici di tutto il mondo, scatoloni chiusi, impossibilità di avvicinarsi. La guidavano Takazumi Katayama e Mick Grant, ma la cosa non partì molto bene per una serie di motivi: innanzitutto allora non c’era elettronica. Niente controlli di trazione, antisaltellamento (soltanto un primordiale sistema meccanico sulla frizione), niente iniezione (per quel numero di giri ancora non ne esisteva una capace di tenere il ritmo) e in più la partenza era a spinta… Insomma un sogno che in pratica, quando si doveva correre, si trasformava in incubo per via della difficoltà di avviamento, dei saltellamenti in staccata, del motore brusco e nessuna delle modifiche degli anni successivi riuscì a rendere quella genialata competitiva. Era semplicemente arrivata troppo presto e poi i pistoni ovali, le 8 valvole per cilindro ecc. furono soluzioni vietate nei regolamenti, purtroppo. Comunque averla vista, riguardare le foto dove si vede che la moto sui divideva in 2 pezzi con avantreno a carena da una parte, motore dall’altra e poi gli sviluppi con radiatori normali, telaio a tubi e altre soluzioni meno avveniristiche mi fa sorridere per la genialità assoluta di quelle persone, di quell’azienda, per la libertà creativa e il budget del quale disponevano.

Honda, i 2 tempi e Spencer campione nel 1983

Dopo poco Honda si convertirà ai 2 Tempi e comunque arriverà con qualcosa di nuovo e inedito come la NS 500 a 3 cilindri (esordio nel 1982, campione nel 1983 con Freddie Spencer) poi venduta anche a piloti privati orfani della Suzuki RG 500, la 2 cilindri per i privati, la NSR 4 cilindri a V reale con 2 alberi motore, fino alla 500 ad iniezione elettronica usata da Itoh ad Hockenheim, alla innovativa RC 211V a 5 cilindri della MotoGP nel 2002 e delle RC 212 V4 800 e 213 1000 vincenti prima delle ultime versioni.

La RC 149 del 1966 il pezzo migliore del museo Honda

La NR 500 però non è la base della genialità Honda nelle corse, ma forse la vetta più alta anche se non sono proprio sicuro. Dopo le gare a Suzuka, circuito di proprietà Honda si è andati a Motegi, altro circuito della casa che però ha in più qualcosa di straordinario anche se è molto meno bello come tracciato: il Museo. Lì dentro c’è tutta la storia di Honda sia nelle gare, sia nella produzione, sia nelle moto, sia nelle auto. Se vi piacciono i motori, quello è il Paradiso Terrestre anche perché ci sono molti pezzi “non Honda” esposti come la Suzuki di Sheene, una MV di Hailwood… Il pezzo più pazzesco è però, secondo me, la RC 149 del 1966, una 125 a 5 cilindri 4 tempi 4 valvole per cilindro. Detto così lascia perplessi, ma guardiamo bene: significa una cilindrata unitaria di 25cc con 4 valvole. Come dire una 500 a 20 cilindri, una 1000 a 40 cilindri e 160 valvole… Certo è una somma di fantasia, ma negli anni ’60 c’era il rock, il pop, il mondo cambiava e in Giappone inventavano e realizzavano moto da corsa da impazzire come pure la 250 a 6 cilindri (anche Yamaha era avantissimo). Certo non soltanto laggiù, anche da noi Guzzi con la sua 8 cilindri 500, MV con le 3 e 4 cilindri e il prototipo della 350 6 cilindri facevano sognare. Comunque aver sentito almeno una volta, come mi è capitato, la 250 6 cilindri in moto con Valentino Rossi che le dava gas tra tecnici in camice bianco seri e orgogliosi del loro lavoro di manutenzione restauro è stato indimenticabile.

Honda è Honda, tornerà sulla cresta

Insomma, tutto questo mi è venuto in mente guardando come è ridotta Honda nel Motomondiale di questi anni, quanto in basso sia finita pur avendo un pilota come Marc Marquez, attualmente abbattuto, demotivato, stanco, frustrato. Ma Honda è Honda. Io credo che ritornerà sulla cresta, troppa la tradizione, le capacità, l’orgoglio, la potenza di quella che è la casa più grande del mondo. A meno che, chissà, non faccia come negli anni ’60 e si ritiri per tornare con qualcosa di rivoluzionario. E poi, magari, doversi ricredere e fare come con i 2 tempi allora. Staremo a vedere, sono curioso.