Questa notte dalle 2 in diretta su Sky Sport 2 la decisiva gara-7 tra Boston e Washington; una serie in totale equilibrio fino a oggi in stagione giunta all’epilogo più atteso
“Siamo convinti di poter conquistare la vittoria contro Washington, affrontare Cleveland e andare a prenderci le Finals NBA”. Non c’è scaramanzia nelle parole di Avery Bradley prima di gara-7, l’unico del roster dei Celtics ad aver vissuto una finale di conference indossando la maglia bianco-verde, conquistata neanche a volerlo fare di proposito dopo aver vinto gara-7 contro i Philadelphia 76ers nel 2012. In quell’occasione il numero 0 era fuori a causa di un problema alla spalla, mentre adesso è una delle anime di una squadra che in lui, Isaiah Thomas e Al Horford ha la sua spina dorsale, evidente come non mai nell’incontro di due giorni fa in cui il trio ha realizzato l’81% dei punti messi a referto dai Celtics (74 su 91). “Beh, non credo che la pressione possa condizionare molto il mio modo di giocare. Ho lavorato talmente tanto che non può di certo farmi paura una sfida del genere”. Thomas infatti si è trovato a fronteggiare problemi e situazioni di scoramento ben più gravi di queste nel corso di una post-season iniziata da un mese ormai, ma all’interno della quale si sono addensate decine di storie, rimonte e sofferenze che fanno sì che la prima sfida contro Chicago sembra ormai lontana un’era geologica.
L’errore arbitrale sull’ultimo possesso in gara-6
A far discutere i giocatori della squadra del Massachusetts nelle ultime ore è stato quanto dichiarato nel Last 2 Minutes Report dalla NBA, in cui la lega al termine di ogni match da un giudizio sulla bontà o meno delle chiamate arbitrali che arrivano negli ultimi 120 secondi di gara. Dopo il fallo di Kelly Oubre su Kelly Olynyk nel finale (non duro come quello di gara-3), gli arbitri infatti non si sono resi conto che il cronometro avesse continuato a scorrere almeno per un secondo buono, lasciandone soltanto 1.7 a disposizione sull’ultima rimessa dei Celtics a differenza dei 2.7 di cui Boston avrebbe potuto beneficiare. “Una casistica per cui il regolamento non permette agli arbitri di utilizzare l’instant replay”, come specificato dalla stessa NBA. Isaiah Thomas però non ha dubbi sul fatto che un secondo in più sull’ultimo possesso di gara-6 gli avrebbe permesso di costruirsi un tiro di gran lunga migliore del precario tentativo finito soltanto sul secondo ferro. “Avrei potuto fare un altro palleggio. Probabilmente sarei riuscito a liberarmi di Markieff Morris, creando un po’ più di separazione. Ma quello che è stato, è stato. Non possiamo preoccuparci di questi aspetti. Mi brucia il fatto che alla fine siano stati loro a vincere e noi avremmo potuto sfruttare un’occasione in più, tutto qua”.
Il match che tutti sognano di giocare da bambini
“A ottobre avremmo pregato per essere in questa situazione. Vedremo cosa siamo in grado di fare”, racconta Bradley, che vuole lasciarsi alle spalle anche le polemiche legate alla scelta di andare vestiti in total black alla sfida del Verizon Center, rivelatasi poi in realtà un’arma che si è ritorta contro i Celtics. “Sono eccitanti delle sfide del genere – commenta Isaiah Thomas -. Tutti quelli che fanno questo lavoro sognano di giocare partite di questa importanza. L’ho sempre pensato: i campioni giocano per essere decisivi in situazioni come queste”. Al Horford invece di gare-7 ne ha disputate già quattro in carriera, la prima delle quali da avversario proprio dei Celtics. “L’energia del Garden quella sera era qualcosa di indescrivibile. Ti entrava sottopelle e sono convinto che Boston vinse quella partita proprio per quella spinta”. A rinfrancare i padroni di casa poi ci sono i precedenti, visto che nelle 127 giocate nella storia dei playoff NBA, ben 101 volte ad avere la meglio è stata la squadra scesa in campo davanti al proprio pubblico; il 79.5% dei casi che sommato al fatto che in stagione nei dieci incroci con Washington nessuno è riuscito a violare il parquet avversario, rinfrancano non poco il morale di coach Stevens.“Abbiamo lavorato per avere il fattore campo e siamo riusciti a ottenerlo – chiosa Horford -. E mai come adesso ne avremo un gran bisogno”.
La panchina, il solito problema degli Wizards
I punti dalla panchina, prima ancora del plus/minus, Net Rating e tutto il resto, sembrano essere invece il vero problema in casa Wizards, che speravano di risolvere in parte la questione a febbraio prendendo un giocatore come Brandon Jennings, che nel passaggio da New York a Washington però sembra aver smarrito per strada la vena realizzativa. Nelle sei sfide contro Boston infatti le medie del nativo di Compton sono tutt’altro che entusiasmanti: 1.7 punti in 13 minuti di utilizzo con il 18% al tiro. Diciotto per cento; davvero troppo poco per sperare di preoccupare la difesa dei Celtics, che con Jennings sul parquet del TD Garden in questi playoff concede agli avversari 90.4 punti su 100 possessi, ben al di sotto dei 111.4 subiti quando va ad accomodarsi in panchina. E pensare che la metà campo offensiva è quella in cui l’ex giocatore della Virtus Roma si trova evidentemente più a suo agio, come spiegano bene il -34.1 di Net Rating raccolto, il secondo peggior dato di squadra dopo quello di Bojan Bogdanovic, l’altra (al momento solo teorica) chiave di volta da sfruttare a gara in corso. I 6.3 punti raccolti di media in trasferta in combinata fino a oggi in post-season non sono il migliore biglietto da visita con cui presentarsi a una partita storica per i capitolini. Una gara che manca da 39 anni, proprio come la qualificazione alle finali di conference. John Wall e Bradley Beal lo sanno bene e lecitamente domanderanno ai propri compagni nello spogliatoio del TD Garden: se non ora, quando?