Il ginocchio sinistro ha costretto sia Curry che Irving a fermarsi in quest’ultima parte di stagione. Entrambi puntano a recuperare per la post-season, ma le previsioni non fanno ben sperare i tifosi di Golden State e di Boston: la prima serie playoff è a rischio
Steph Curry e Kyrie Irving si sono incrociati spesso e volentieri negli ultimi tre anni alle Finals NBA. Le due migliori point guard della lega secondo molti, di certo le più vincenti dell’ultimo trienno che anche al termine di questa stagione sperano di ritrovarsi sul parquet a inizio giugno. Golden State e Boston però dovranno fare a meno di loro per un bel po’, viste le notizie arrivate nelle ultime ore sulle loro condizioni fisiche. Il numero 30 degli Warriors, uscito infortunato sul finire di terzo quarto nella sfida vinta contro Atlanta, si è sottoposto a esami più approfonditi che hanno confermato la prima diagnosi: distorsione al legamento mediale del ginocchio sinistro di secondo grado. Irving invece, rimasto a riposo “per scelta” nelle ultime uscite dei Celtics, nelle ultime ore si è sottoposto a un’operazione sempre al ginocchio sinistro per risolvere e alleviare la tensione all’interno delle giunture sofferenti. “È una situazione che si è creata come conseguenza dell’usura e dell’operazione subìta durante le Finals 2015”, raccontano i medici per spiegare il senso di un intervento perfettamente riuscito. Questo permetterà di alleviare l’irritazione e il problema al tendine della patella, l’osso del ginocchio che ha spesso dato fastidio a Irving. Una questione delicata e complessa che preoccupa i tifosi e gli appassionati che sperano di rivedere entrambi il prima possibile sul parquet. Difficilmente però le due point guard torneranno in campo in regular season. L’obiettivo è quello di essere abili e arruolabili il prima possibile nella post-season, magari già dalla prima gara playoff, certamente non più tardi della fine d’aprile. Fare previsioni esatte al momento è impossibile, ma qualche considerazione sui due infortuni possiamo farla.
Capitolo Curry: il rischio è restare fuori per sei settimane
Tutti attendevano i risultati degli esami medici definitivi di Curry, a cui è stata confermata la diagnosi: distorsione al legamento mediale di secondo grado. Cosa vuol dire? Tre settimane di riposo lontano dal campo (condite con dosi massicce di fisioterapia) e poi il ritorno dallo specialista soltanto a regular season praticamente finita. Il secondo controllo infatti detterà poi la definitiva tabella di marcia per il rientro sul parquet, che a questo punto in complessivo arriverà almeno tra un mese. Per avere un’idea dei tempi di recupero, basta guardare agli altri giocatori che in questa stagione hanno subìto un infortunio dello stesso tipo: Lonzo Ball è rimasto fuori 14 gare, Blake Griffin 15 ed entrambi hanno trascorso più di cinque settimane lontano dal parquet. Kevin Durant invece l’anno scorso restò fuori 19 partite, sempre a causa delle conseguenze dovute allo scontro con un compagno che gli era franato sulle gambe. Sembra dunque finita la regular season di Curry, che tra gare saltate a causa dei problemi alle caviglie e quest’ultimo infortunio chiuderà con sole 51 partite disputate; la seconda peggiore stagione per numero di gare della sua carriera. Una regular season in cui Curry stava viaggiando con 26.4 punti, sei assist e cinque rimbalzi, protagonista in un attacco che con lui sul parquet viaggia a 120.4 punti su 100 possessi. Il miglior dato individuale raccolto da un giocatore negli ultimi 20 anni con almeno 50 gare disputate. Una differenza che pesa anche su una corazzata come gli Warriors: con lui sul parquet infatti Golden State ha raccolto 41 successi e dieci sconfitte (80.3% di vittorie), senza il record crolla a 13-8 (62%). Coach Kerr dovrà dunque far quadrare il cerchio in una situazione complicata in questo finale di regular season: senza i suoi All-Star che rientreranno alla spicciolata e ormai lontano da Houston e dal primo posto a Ovest.
Capitolo Irving e l’emergenza infortuni in casa Celtics
Se Golden State piange, Boston non ride. Irving infatti è il terzo giocatore dei Celtics che negli ultimi dieci giorni è stato sottoposto a un intervento per risolvere un infortunio (Daniel Thies e Marcus Smart gli altri due), complicando non poco i piani di Boston. Assenze che si aggiungono a quelle di Jaylen Brown (facendo i dovuti scongiuri, dovrebbe rientrare contro Sacramento) e del lungodegente Gordon Hayward. I bianco-verdi, proprio come gli Warriors, hanno dovuto rinunciare a inseguire la vetta della Eastern Conference a causa del roster decimato. Una stagione in cui Irving ha limitato in maniera evidente il suo sforzo, tre minuti in meno di media sul parquet rispetto a 12 mesi fa: 24.4 punti, cinque assist e quattro rimbalzi in 31 minuti. Esclusa la stagione da rookie, quella che lo ha impegnato meno sul campo. L’operazione è stata poco invasiva, ma i tempi di recupero previsti parlano di 4-6 settimane, puntando alla metà di aprile come data rispetto alla quale fare valutazioni. Durante la regular season infatti, che impegnerà i Celtics in maniera relativa in queste ultime gare (il 23^ calendario in ordine di difficoltà, contro avversarie che mediamente hanno un record di vittorie inferiore al 50%), si può anche fare a meno del numero 11. Ma ai playoff la musica cambia. E Irving è il primo a esserne consapevole.