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NBA Finals 2019, il sogno di Alfonzo McKinnie e del suo amico "italiano", Keifer Sykes

NBA

Mauro Bevacqua

Il n°28 dei Golden State Warriors e la point guard vista ad Avellino quest'anno sono cresciuti assieme a Chicago, compagni prima al liceo e poi al college e insieme sono finiti anche in un documentario (Chi-town). A Toronto per gara-2 si sono rincontrati: Alfonzo McKinnie ci ha raccontato tutto

WARRIORS, GARA-3: DURANT FUORI, OTTIMISMO PER THOMPSON

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OAKLAND — Il suo ruolo in una squadra che potenzialmente può schierare un quintetto di All-Star è, gioco forza, limitato — e per ora in queste finali NBA Alfonzo McKinnie ha giocato rispettivamente solo 10 minuti in gara-1 e 8 in gara-2, prendendosi in tutto 7 tiri, segnandone 3 e collezionando anche un paio di air ball e qualche errore con cui tradisce l’emozione di giocare a un livello per lui impensabile fino a pochi mesi fa. Non c’è però in tutte le Finals 2019 una storia personale più bella di quella del ragazzo di Chicago, mai scelto dalla NBA e oggi parte della rotazione di una squadra da molti considerata tra le più forti di sempre. Del suo travagliato cammino per arrivare nella lega — passando dagli East Side Pirates della seconda lega lussemburghese fino ai Rayos de Hermosillo della Liga Nacional de Baloncesto Profesional messicana — vi abbiamo già raccontato ma una delle più belle storie che lo riguarda ci porta invece molto più vicino a noi, a quell’Italia dove ha appena concluso la sua ultima stagione Keifer Sykes — dopo esperienze pure per lui esotiche, tra Corea del Sud e seconda lega turca — eliminato con la sua Avellino ai playoff dall’Olimpia Milano solo poche settimane fa e ora (si dice) nel mirino di Venezia. “My man Keifer — lo apostrofa appena gli chiediamo di raccontarci il loro rapporto Alfonzo McKinnie — è uno dei miei migliori amici, siamo cresciuti assieme, se non ero io a casa sua era lui a stare da me tutto il tempo; abbiamo giocato al liceo assieme e poi anche gli ultimi due anni di college, quando mi sono trasferito a Wisconsin-Green Bay e l’ho raggiunto”. Assieme oggi sono finiti anche in un documentario, Chi-town (visto anche in Italia, presentato al Torino Film Festival e proiettato proprio durante le finali NBA anche a Milano), che racconta il percorso sportivo e umano di Sykes, partendo da quella Chicago che per ogni giocatore di pallacanestro nato negli anni ’90 — McKinnie è del 1992, Sykes del 1993 — vuol dire inevitabilmente trionfi e anelli. “Sono cresciuto a Chicago per cui non potevo non subire l’influenza di Michael Jordan e dei Bulls, forse la miglior squadre di sempre. Anzi — racconta — mi sono appena riguardato il tiro che MJ ha segnato contro i Jazz in gara-6 e sono rimasto senza parole. Con ogni probabilità si tratta di uno dei migliori momenti della storia delle finali NBA, ancora di più per me perché sono di Chicago e tutti noi in città siamo cresciuti con il sogno di diventare come Michael Jordan e vincere tutti i titoli che ha vinto… Io al tempo ero giovane, non capivo realmente cosa stesse succedendo in città ma riguardare oggi quelle immagini, vedere quello che era in grado di fare e finalmente comprendere realmente cosa stava compiendo è stato qualcosa di davvero eccezionale”. Anche perché oggi McKinnie — come Jordan 25 anni prima di lui — è qui a giocarsi una finale NBA, con la possibilità di mettersi al dito un anello, iscrivendo così il suo nome tra quelli da ricordare nella lunga lista di giocatori usciti dalla città dell’Illinois. “Tutti riconoscono che noi giocatori di Chicago giochiamo duro, c’è una certa fisicità comune a tutti i giocatori della lega — gente come Patrick Beverley ma anche come Tony Allen, che molti avversari definivano il difensore più duro da affrontare in assoluto. La città produce giocatori di questo tipo, che giocano al massimo, con grande energia — e poi allo stesso tempo poi ci sono gli Anthony Davis e i Derrick Rose, campioni a cui Dio ha concesso in dono un talento unico che però anche loro portano in campo quella durezza, fisica e mentale, tipica della città”.

McKinnie: "Sogno di incontrare Keifer da avversario nella NBA"

McKinnie per essere sopravvissuto a questo tipo di competizione cittadino, emergendo fino ad arrivare sui palcoscenici NBA, di certo fa di questa durezza una delle sue caratteristiche ma a vederlo parlare del suo viaggio fino alle finali NBA e della splendida amicizia che lo lega a Sykes viene quasi naturale fare il tifo per un ragazzo che sta vivendo un sogno probabilmente considerato da lui stesso a lungo irrealizzabile, raccontato con un sorriso contagioso che trasmette tutto l’entusiasmo di trovarsi in campo a giocarsi il titolo NBA 2019. “Perché tra me e Sykes ero io quello che sembrava destinato a finire a giocare oltreoceano mentre lui è sempre stato il n°1, il giocatore a cui mi sono sempre ispirato, quello sicuramente destinato alla NBA [nel documentario si vede McKinnie prendere parte al Draft party organizzato a casa di Sykes nel giugno 2015, festa rovinata dalla mancata chiamata nella NBA, ndr]. Keifer era il giocatore a cui davamo la palla se in campo eravamo nei guai, perché faceva sempre accadere qualcosa: due volte consecutive giocatore dell’anno della Horizon League, è una point guard che sa fare tutto in campo, sa segnare, sa agire come facilitatore per i suoi compagni, sa reggere difensivamente sulle point guard avversarie. Non potrei essere più felice nel vedere i suoi continui miglioramenti, nel vedere che gran giocatore è diventato, perché so benissimo tutte le ore che abbiamo trascorso in palestra a lavorare assieme. Sono convinto che possa essere in tutto e per tutto un giocatore NBA e possa ancora trovare un posto in uno dei 30 roster della lega: sarebbe bellissimo poterlo affrontare da avversario, un giorno”, dice sciogliendosi in un sincero sorriso. Intanto — ricordandosi di quei giorni da ragazzini in cui i due erano inseparabili — McKinnie ha scelto di condividere proprio con Sykes il sogno avverato della sua carriera: “Ci sentiamo ogni giorno, mi chiama sempre, parliamo di pallacanestro ma non solo, anche della nostra vita in generale. Mi ha sempre detto che avrebbe voluto venire a vedermi giocare una partita di playoff e così mi ha raggiunto a Toronto per gara-2, perché quale miglior occasione di una partita di finale NBA?”. E un’ora abbondante dopo la vittoria Warriors di gara-2, sul parquet di una Scotiabank Arena ormai deserta, li abbiamo visti proprio assieme, scambiarsi battute e sorrisi. McKinnie in abiti borghesi, dopo la doccia in spogliatoio, e Sykes con la maglia blu n°28 dei Golden State Warriors indossata fino a pochi minuti prima dal suo miglior amico.